Vivere con il prurito: non è una punizione divina

Chi è affetto da patologie che provocano prurito va incontro a problematiche di tipo sociale, psicologico, emotivo e lavorativo

Un antico mito greco, che sarebbe stato scritto da Esiodo attorno al VII secolo avanti Cristo, narra che Zeus punisse il re di Argo, Preto, colpevole di aver offeso Dioniso, rendendo pazze le sue tre figlie e colpendole con una malattia della pelle chiamata “knyos”, termine che tradotto può significare tanto prurito quanto scabbia. La leggenda continua raccontando che per salvare le tre donne il Re Preto si rivolse all’indovino Melampo che, intercedendo per lui con gli dei, riuscì a guarirle restituendo loro tanto la sanità mentale quanto una pelle sana. Quella che apparentemente sembra una leggenda antica, ha in realtà spunti interessanti specie per il suo significato allegorico. Nell’antichità, è quasi superfluo dirlo, i miti quando non avevano una funzione moralizzatrice, svolgevano l’importante ruolo di tramandare le conoscenze di un popolo da una generazione all’altra, fossero esse sociali, legislative, mediche o tecnologiche. Andando al di là del significato immediatamente fruibile del racconto, ossia che non bisogna offendere gli dei, quindi, c’è una seconda chiave di lettura piuttosto significativa: il prurito e la scabbia erano considerate malattie invalidanti già nell’antichità tanto da essere viste come una punizione divina, che spesso portava alla pazzia e l’unica speranza di guarirle era quella di rivolgersi a indovini/guaritori, ritenuti capaci di alleviare le sofferenze proponendo creme, balsami o unguenti lenitivi. Che il prurito sia un fastidio, certo non di origine divina, purtroppo è ben noto a chi è costretto a convivere con questo sintomo, tipico di molte malattie croniche della pelle, come la Dermatite Atopica. Si sà che la gravità clinica varia notevolmente a seconda dell’età del paziente, delle caratteristiche fisiologiche della sua pelle e del suo sesso, ma il prurito è il sintomo più comune nelle varie fasi della malattia, siano esse acute o di remissione. Ma come si può vivere con il prurito? Il “libro bianco” realizzato dai membri dell’Associazione Nazionale Dermatite Atopica (ANDeA) spiega che non si arriva mai a una vera accettazione del problema, e il peso portato dal paziente è notevole in ogni fase della sua vita. Quando la malattia fa il suo esordio in età infantile, infatti, il bambino è più irritabile e finisce con il ferirsi nel tentativo di grattarsi, necessita quindi di attenzioni particolari da parte dei genitori nel tentativo di distrarlo, e di cure continue per alleviarne la sofferenza. Quando la malattia si manifesta più avanti nell’infanzia, come testimoniano numerosi studi, il piccolo può andare incontro a problemi emotivi e comportamentali. Le madri dei bambini affetti da DA – secondo i questionari compilati dagli stessi genitori – giudicano problematico il comportamento emotivo dei loro figli, con una maggiore propensione a mostrare angoscia di fronte a limitazioni o stimoli improvvisi e nuovi. E non solo: denunciano come frequenti i problemi nel sonno, maggiori attaccamento, ansia, ricerca di attenzione e, inoltre il prurito, specie se grave influisce anche sulla concentrazione. Le ricerche condotte sui bambini più grandi riportano un aumento della prevalenza di problemi emotivi (40%) e disturbi della condotta (10%) tra i bambini con dermatite atopica, e addirittura la prevalenza complessiva di difficoltà psicologiche è stata considerata maggiore di quella attribuita ai bambini pur affetti da leucemia o epilessia. In un uno studio cross-sectional del 2007 che analizzava i dati di 92.642 bambini statunitensi, è stato valutato che i bambini con dermatite atopica avevano maggiori probabilità di soffrire di un disturbo da deficit di attenzione/ iperattività, depressione, ansia, disturbo della condotta, o autismo. Un quadro psicologico già di per se delicato che, nel caso le manifestazioni della malattia perdurino durante l’adolescenza, viene peggiorato dai frequenti fenomeni di bullismo e di isolamento sociale, cui spesso vanno incontro i pazienti da parte dei coetanei, con un aumento del rischio di ideazione suicidaria e di tentato suicidio. E non finisce qui, purtroppo. Le stesse ricerche sembrano dimostrare che il legame tra la dermatite atopica e la presenza di problemi emotivi e comportamentali persistono spesso anche quando la malattia del bambino/adolescente va in remissione. La situazione non sembra migliorare per i pazienti adulti, che in Italia sono oltre 36.000 di cui oltre 7.700 presentano una forma grave. I costi sociali per il paziente, dovuti in special modo all’intenso e costante prurito, sono notevoli in quanto esso incide sui livelli di stress e sulla qualità del sonno finendo con l’avere ripercussioni sulla vita privata, rendendo difficile la sfera relazionale, e anche quella professionale. Tutto ciò causa disagio nel contatto con gli altri e un diffuso senso di frustrazione oltre a ripetuti episodi di discriminazione. Senza contare, poi, alle molteplici rinunce e attenzioni che il paziente deve operare in ogni momento della sua giornata: dalla scelta dell’abbigliamento a quella dei prodotti cosmetici e dei saponi. Ma soprattutto, frequentemente, il paziente finisce con l’isolarsi anche a causa della scarsa informazione sulla patologia. “E la sensazione che percepisce il soggetto – come ha spiegato Mario Picozza, Presidente dell’Associazione ANDeA ai tempi della sua creazione – è quella di non essere compresi fino in fondo neanche dai propri famigliari, amici e conoscenti”. Figuriamoci dalla società “altra” se è vero, come risultò da uno studio condotto nel 2018 da SICS (Società Italiana di Comunicazione Scientifica e Sanitaria) che per quanto riguarda il livello di conoscenza e percezione della DA e dei suoi impatti clinici, psicologici e sociali, nell’attuale sistema assistenziale, il 63% dei rispondenti esprimeva un giudizio negativo al quesito posto (il 57% una conoscenza scarsa e il 5,34% molto scarsa). Si dichiarava consapevole del disagio il 36,07% e poco più dell’1% considerava il proprio ivello di conoscenza e percezione ottimo. Un problema che riguarda purtroppo anche i medici di medicina generale che lamentano come la letteratura a disposizione tratti prevalentemente le forme del bambino oppure come riduca la malattia e il prurito a una semplice manifestazione di una pelle irritata. Ma, come ha ricordato il il prof. Giuseppe Monfrecola, Presidente SIDeMaST nel suo intervento a margine della presentazione della campagna nazionale di sensibilizzazione sulla DA, intitolata di “Dalla parte della tua pelle”: “Se è vero che solo in Italia si stima che la Dermatite Atopica rappresenti un problema per circa il 10% degli adulti e il 20% dei bambini, facendo il suo esordio già nei primi mesi di vita proseguendo poi nell’infanzia e nell’adolescenza, potendo perdurare in età adulta, non è escluso il suo esordio in età adolescenziale-adulta e anche in quella geriatrica. In questi casi spesso la malattia non viene neanche riconosciuta”. Oppure viene affrontata nel modo sbagliato senza il dovuto aggiornamento soprattutto perché il problema è identificato come uno dei principali motivi di abbandono terapeutico (secondo gli specialisti con una percentuale che arriva all’11,43% dei casi). Per questo è essenziale che si svolgano campagne di sensibilizzazione, incontri e dibattiti, e si diffondano pubblicazioni come il libro bianco: per garantire al paziente che non è solo e intorno a lui c’è un aumento della consapevolezza che i suoi gesti, incluso il grattamento, non verranno male interporetati. Vanno poi garantiti i trattamenti attualmente disponibili: dalle soluzioni topiche ed emollienti che intervengono sul prurito e sulla gestione della secchezza cutanea, alle terapie sistemiche indicate in pazienti gravi che non rispondono ai prodotti topici ma che richiedono, per il profilo di tollerabilità, un’attività di monitoraggio attento e continuativo. Uno scenario terapeutico in continua evoluzione e che vede affacciarsi sul mercato molecole promettenti e innovative.