Una vita segnata dalla vitiligine

di Alida Depiase, International Liaison Board di Vitiligosupport.org – Supporting Member ESPCR (European Society Pigment Cell Research)

Il racconto personale e toccante di una donna affetta da Vitiligine, patologia esteticamente invalidante, che ha reagito creando una sua linea di prodotti 

La vitiligine, riconosciuta fin dai tempi più remoti, ha avuto nei secoli una cattiva reputazione, suscitando reazioni di ostilità e pregiudizi, basati su credenze profondamente impresse nelle varie culture e mai sradicate. Erodoto (450 a.C.) nel suo “Clio”, narra che gli stranieri che avevano “peccato contro il sole” venivano allontanati dalla città. Nel testo sacro buddista “Vinay Pitak”, (624-544 a.C.), il termine “kilas” si riferiva alle chiazze bianche della vitiligine e chi ne era affetto non era eligibile a cariche pubbliche. Hieronimus Mercurialis nel 1500 riteneva che “vitiligo” derivasse dal latino “vitium”, ovvero difetto/colpa. A tutt’oggi, in alcuni paesi, come l’India, è ben difficile che una donna con vitiligine trovi marito, a meno che non fornisca una cospicua dote compensatoria. Nei paesi dell’area musulmana la vitiligine è un valido motivo per chiedere il divorzio. In Italia, una carriera in Polizia, Guardia di Finanza, Carabinieri, Esercito, Marina, è subordinata a una pelle integra, dunque tassativamente preclusa a chi è affetto da vitiligine. Dal mio punto di vista, nel terzo millennio questa discriminazione è intollerabile.

Come è iniziata

vitiligineComparve all’improvviso, indesiderata e inattesa, una prima apparentemente innocua chiazzetta bianca. Ne sarebbero seguite altre, che nel tempo si sarebbero congiunte, fino a ricoprire di bianco intere aree. Come avviene per la vitiligine nella sua forma più frequente, la “generalizzata”, l’evoluzione è variabile e imprevedibile. Il decorso nel mio caso era lento e progressivo, e fasi di stabilità che potevano durare anni, si alternavano a improvvisa riattivazione. Chi ne è colpito tende a mettere in relazione l’apparire della malattia, o il suo scatenarsi dopo un periodo di quiescenza, con un episodio di forte stress. Stress fisico, provocato da un incidente, un intervento chirurgico, una ferita, una gravidanza, la menopausa. Stress psicologico, causato da un abbandono, un divorzio, un rovescio economico, un lutto, la perdita del lavoro. In quanto a me, avevo 9 anni e i miei genitori si stavano separando. Ho pensato tante volte, negli anni successivi, che quella prima innocente macchietta bianca era la richiesta da parte mia – non ero in grado di esprimermi diversamente – di lasciar da parte liti e incomprensioni, per tornare ai giorni felici che avevo vissuto con loro. Il viso iniziò ad essere colpito prima dei 30 anni, ”Perché proprio a me? Perché proprio intorno agli occhi, come un panda…” Lo sfiguramento che ne derivava e l’impossibilità di tenerne a bada la progressione compromettevano la qualità della mia vita e si riflettevano nella sfera familiare, psicologica e sociale. Di più: mi rendevo conto che le inoffensive chiazze bianche suscitavano negli sconosciuti diffidenza, piuttosto che simpatia e comprensione. A sentimenti di vergogna e di colpa, seguivano, giorno dopo giorno, cambiamenti nelle abitudini, nello stile di vita, nel modo di vestire: “Stivali, maglione a collo alto e guanti, ora non bastano più… vi-ti-li-gi-ne… pronunciavo e ripetevo questa parola, la scandivo, la sillabavo, provavo a mangiarla come lei mangiava me. L’attacco è quasi esile, discreto, un soffio dolce e musicale, ma è nella progressione, nel suo estendersi che acquista il ritmo incalzante dell’angoscia. Come cambiano le regole, i pensieri, mentre le macchie mi si distendono lungo il corpo? Le macchie non sono stabili ed Io non sono stabile. Sono un paesaggio che muta di continuo…”. “Nei primi otto anni la situazione rimase quasi del tutto invariata, poi, due anni fa, le chiazze hanno ricoperto, all’improvviso e con insistenza, l’intera superficie dei piedi, dei gomiti, delle natiche, delle mani” (1).

Il medico che si limitava, in prima istanza, ad allargare le braccia, a suggerirmi schermi solari per evitare che la pelle normalmente pigmentata si scurisse e che risaltasse ancora di più il candore abbagliante delle mie macchie, era conscio di rischiare la mia scomparsa come paziente, attratta  com’ero da proposte più allettanti. Ebbe così inizio un lungo peregrinare da un dermatologo all’altro, in tutta Italia, e persino all’estero. Le informazioni, le proposte di terapie erano confondenti e in contrasto tra loro. ”Prenda tanto sole. Non prenda sole. Lei è giovane, ci sono nuove cure. Non si guarisce. Potrebbe provare con la medicina omeopatica”.

Ippocrate, 460°a.C., nel ”Prognostico” osservava che ”si può curare facilmente se le chiazze sono recenti, in pazienti molto giovani”. Straordinariamente, la prognosi degli antichi, osserva il dermatologo, è ancora oggi applicabile a gran parte delle terapie in uso. Dall’antica medicina egiziana del tempo dei faraoni sappiamo che si praticava la PUVA, grazie al sole e agli psoraleni del frutto essicato dell’amni maius, pianticella che cresce spontaneamente sulle rive del Nilo. Dai libri di medicina coreana del 1600 sappiamo che esisteva una primitiva fototerapia, con pomate a base di zolfo, arsenico e mercurio. Secondo gli antichi trattati di medicina indiana, la psoralea caprifolia (ancora psoraleni!) veniva somministrata sia oralmente che per via topica, ”finché sulla pelle si formano delle bolle, quando si rompono, inizia la repigmentazione”. Per la vitiligine, malattia importante che colpisce dall’1 al 2% della popolazione mondiale, indipendentemente da etnia, età, stile di vita, sesso, non esiste a oggi un farmaco dedicato. Le cure più note, fototerapia, microfototerapia, laser a eccimeri, cortisone e immunomodulatori topici, attivatori della pigmentazione, integratori, trapianti di melanociti, richiedono investimento di energie psicologiche e disponibilità di tempo. Come paziente ricordo, tra le varie terapie affrontate, quella con le gocce d’arsenico degli anni ‘60, e qualche anno dopo la PUVA (pastiglie di psoraleni più UVA), che aveva suscitato forte entusiasmo da una parte e dall’altra dell’Oceano in medici e pazienti. Dopo alcuni decenni, avrebbe deluso i suoi stessi fautori, Lerner e Fitzpatrick, per i risultati parziali e a volte effimeri. Come non ricordare che prima di veder apparire un’iniziale ripigmentazione, mi abbronzavo talmente che le chiazze bianche risaltavano in modo da rendere imbarazzante la vita quotidiana di relazione e lavorativa? Di più: come potevo non tener conto dei rischi di carcinogenesi, cataratta, photoaging, dovuti all’accumulo di esposizione agli UV negli anni? Come non tener conto che alla repigmentazione poteva seguire un’incontrollabile ricaduta? La “golden standard” ora è la fototerapia UVB a banda stretta, arrivata in Italia dal 1998. Molti ospedali sono oggi attrezzati e si paga un ticket. Non c’è bisogno di medicinali, i tempi di esposizione sono brevi, i raggi non penetrano nel derma come l’UVA, agiscono più superficialmente. Dopo un congruo numero di sedute, l’inizio di repigmentazione non tardò ad arrivare, e una grande vecchissima chiazza sulla schiena, una nuvola mi disse qualcuno, si riempiva di lentiggini che piano piano confluivano e dai bordi il pigmento si spingeva verso l’interno. Il mio ospedale non era attrezzato, viaggiavo tre volte alla settimana per raggiungerne uno a 50 chilometri da casa e se ne andava un intero pomeriggio. Rinunciavo, dopo diversi mesi, per sfinimento. Dopo le terapie, comparivano ogni volta gli stessi sentimenti di preoccupazione e sensi di colpa, per aver egoisticamente inseguito le mie esigenze di terapie, privando la mia famiglia di tempo, attenzioni e dedizione. Alla fine degli anni ’70, ho messo a punto, come autodifesa, un primo colorante. Funzionava su di me talmente bene che un dermatologo mi disse ”se ci fosse la possibilità che lo usino anche miei pazienti… la sua vitiligine non si vede più”. Dopo quella prima lozione, ne misi a punto altre con gradazioni di colore diverse, e nacque così a una gamma di prodotti di Camouflage per la Vitiligine. I risultati: la gratitudine di chi ritrova in se stesso fiducia e rinnovato entusiasmo nell’affrontare il quotidiano. Nel corso degli anni i prodotti si sono evoluti e se ne sono aggiunti di nuovi, per dare una risposta adeguata e sempre più soddisfacente alle richieste dei miei clienti, con i quali ho sempre tenuto un contatto diretto e da cui ho imparato molto. ”Mi ha dato indietro la vita”, ”non ho più vergogna a mostrarmi in pubblico”, “porto di nuovo maniche corte”, “non metto più le mani in tasca”, sono frasi ricorrenti che mi gratificano e danno un senso al mio lavoro. In quegli anni il Camouflage, o Trucco Correttivo, veniva sottostimato, mentre oggi la comunità scientifica internazionale gli dà importanza pari a un intervento di tipo medico estetico o psicologico. Nel 2012, “I ricercatori del Dipartimento di dermatologia della “Mount Sinai School of Medicine”, New York, hanno setacciato la letteratura scientifica per individuare gli studi sugli effetti del camouflage. Hanno visto che questo tipo di approccio può avere senz’altro ripercussioni positive sulla qualità di vita di chi soffre di vitiligine”. Il camouflage correttivo “risolve” con successo problemi cutanei che richiedono terapie prolungate, quando è alto il rischio che il paziente interrompa le cure perché demotivato dalla lunga attesa di un miglioramento visibile (2).

La speranza

Cliccando in Google, (giugno 2013) la parola “vitiligo” compaiono ben 8.050.000 (ottomilioniecinquantamila) risultati, numero che cresce di mese in mese in modo esponenziale. Internet e i media fanno da cassa di risonanza, in questi giorni il web suscita nuove speranze con una notizia che rimbalza da un continente all’altro”. Una ricercatrice della Loyola University, Chicago, ha sviluppato una proteina geneticamente modificata che annulla drasticamente gli effetti della malattia nei topi e sembra riuscire a ottenere risposte immunitarie analoghe sui campioni di cute umana”. L’auspicio è che negli anni a venire i ricercatori europei della VETF (Vitiligo European Task Force), che lavorano con consorzi di ricercatori focalizzati sul pigmento di ogni parte del mondo, continuino sempre il loro prezioso appassionato lavoro. Sono state da poco pubblicate, anche sul British Journal of Dermatology, le linee guida per la terapia della vitiligine “Guidelines for the management of vitiligo: the European Dermatology Forum consensus” della Vitiligo European Task Force (VETF) in collaborazione con la European Academy of Dermatology and Venereology (EADV) e la Union Européenne des Médecins Spécialistes (UEMS) (3). Per noi pazienti ricerca vuol dire speranza che venga fatta luce sui meccanismi che sono alla base della malattia e che in un futuro si arrivi a terapie semplici ed efficaci.

 

(1) Francesca Di Mattia Bikbova “Scritta di bianco è la mia pelle”, 2009, Editrice Palomar

(2) www.sidemast.org.

(3) http://www.medscape.com/viewarticle/777000