Una dieta che aiuta la tiroide a funzionare

Un malfunzionamento della tiroide può dare vita a diverse problematiche. Per favorire le cure, anche l’alimentazione
ha un ruolo importante

In Italia circa sei milioni di persone, in gran parte donne, hanno problemi di tiroide. Le disfunzioni legate a questo organo sono diverse: dall’ipotiroidismo con o senza tiroidite, all’ipertiroidismo con o senza tiroidite, fino alla tiroidite autoimmunitaria di Hashimoto o morbo di Graves. Sonno, stanchezza, difficoltà a perdere peso, apatia, repentini cambi dell’umore, sono tra i segnali che prefigurano il sorgere, ma anche il persistere, del malfunzionamento di questa importante ghiandola endocrina, fondamentale per regolare il nostro metabolismo e i mitocondri, vere centrali energetiche delle nostre cellule. Diversi sono i fattori nutrizionali, ormonali, ambientali e psichici che contribuiscono a inficiare il funzionamento della tiroide, una condizione cui è piuttosto difficile porvi rimedio dato che molti pazienti, dopo anni di terapie, lamentano di non essere arrivati a una guarigione, con un grande senso di frustrazione. Un sentimento che porta a pensare di non essere ben curato dal proprio medico, da qui, il circolo vizioso: si passa da uno specialista all’altro, nella speranza di ricevere risposte diverse e più adeguate. Purtroppo, però, c’è anche chi sentendosi quasi “incurabile” smette di fare accertamenti. Un meccanismo pericoloso che andrebbe scardinato indagando, ove possibile, sul perché le terapie, ormai parte di protocolli e linee guida ben precise, non siano del tutto efficaci o non funzionino. Secondo la dottoressa Serena Missori, endocrinologa, nutrizionista e scrittrice, uno dei motivi alla base di approcci terapeutici fallimentari potrebbe essere l’alimentazione. Nella sua ultima pubblicazione, scritta insieme ad Alessandro Gelli, “La dieta della tiroide biotipizzata” (Edizioni LSWR) si ipotizza che esista uno stretto legame tra tiroide, intestino, cervello, peso, ambiente e stress. Mettere mano ad alcune abitudini e correggere una ‘normalità errata’ che è diventata l’unico modo possibile di vivere” – scrivono gli autori – può essere propedeutico a una migliore ricezione dell’approccio farmacologico e aun miglioramento sostanziale nella qualità della vita”. Da questo assunto, e grazie alla felice collaborazione con Alessandro Gelli, ricercatore e innovatore nell’ambito della psicosomatica, nonché esperto di terapie antiaging e antistress, è nato quindi il “Metodo Missori-Gelli”. Una proposta che ha riscontrato un subitaneo successo sui social e in libreria (il testo è alla seconda ristampa) che si fonda sullo studio di un percorso alimentare e psichico personalizzato. Ma nel concreto, in cosa consiste? Il primo passo per poter avviare questo percorso salutare è quello di scoprire qual è il proprio Biotipo costituzionali e i Biotipi funzionali Ormonali-Viscerali. Per chi non è del tutto a suo agio con questa categorizzazione, con il termine biotipo ci si riferisce alla costituzione e alla morfologia corporea, alla psiche e all’assetto ormonale. Come afferma l’endocrinologa, ciò è importante perché “non abbiamo tutti la stessa struttura fisica, non abbiamo tutti la stessa resistenza fisica e mentale. Non reagiamo allo stesso modo allo stress, agli eventi, al cibo, all’ambiente, alle malattie e ai condizionamenti”. Ci troviamo, appare evidente, nel campo della cosiddetta medicina funzionale, che ha come scopo quello di arrivare alla radice dei problemi, comprendendo le correlazioni esistenti tra organi, apparati e mente. Ovviamente, va ribadito, quello che fornisce la dottoressa non è una terapia alternativa bensì un approccio complementare alla farmacologia medica convenzionale, poiché i protocolli di cura per la tiroide si fondano su anni di ricerca clinica e su numerosi studi epidemiologici confermati dalla comunità scientifica. Tuttavia, spiega la specialista, accanto alla terapia farmacologica, in casi non strettamente oncologici, la biotipizzazione può rivelarsi utile a personalizzare al massimo l’approccio funzionale e terapeutico in base alle caratteristiche psicofisiche del soggetto. Secondo il metodo in esame, sono due i tipi di biotipizzazione da effettuare: la psico-morfologica, per identificare peculiarità fisiche e psichiche del paziente e la ormonale-viscerale, per analizzarne le condizioni ormonali o di apparati. Una volta portato a compimento questo approfondimento, il percorso si fonda su due pilastri: alimentazione e psiche. Il metodo prevede infatti il consumo di alimenti antinfiammatori e nutrienti di cui il corpo ha bisogno per un ottimale funzionamento della tiroide, surrenalico e intestinale, evitando cibi che peggiorino e causino impermeabilità intestinale. L’attenzione e la cura dell’intestino è un aspetto dirimente dell’approccio, per disintossicare e ridurre l’esposizione a tossine, interferenti endocrini, metalli pesanti o infezioni latenti. Inoltre, accanto all’alimentazione, bisognerebbe praticare alcune tecniche per ridurre lo stress e facilitare il benessere mentale, privilegiando quelle di rilassamento rapide, di respirazione e di meditazione e in grado di migliorare e strutturare la qualità del sonno. Secondo gli autori del libro, l’approccio proposto è applicabile a tante altre situazioni perché in questo modo si “consente di ridurre e sovvertire, laddove possibile, la malattia-disfunzione dei singoli organi e apparati, che innesca nel tempo una reazione a catena negativa per la salute del corpo e della mente a più livelli”. In sintesi, la dieta della tiroide biotipizzata non è una terapia né un rigido regime alimentare né vuole esserlo ma si propone come un nuovo stile di vita da adottare per migliorarne la qualità.