Una dermatosi molto rara: il Pemfigo ad IgA

Identificata agli inizi degli anni ‘80 del secolo scorso questa patologia è molto rara e presenta due tipi di manifestazione molto simili

In dermatologia con la dizione Pemfigo si indica un insieme di malattie autoimmuni rare in cui, sul piano clinico, l’elemento caratterizzante è la presenza di bolle e su quello immunologico il riscontro locale di depositi di autoanticorpi. Le diverse forme della famiglia del Pemfigo differiscono per caratteristiche cliniche, istologiche, immunologiche. Una prima distinzione si fonda sulla istotopografia della bolla, mentre a seconda della localizzazione intracutanea si distinguono in forme profonde e superficiali. La variante più frequente e più profonda è detta volgare mentre una forma estremamente rara è il Pemfigo a IgA. Identificato e descritto per la prima volta nel 1982 da Wallach e coll. rientra a pieno titolo nel gruppo delle malattie bollose autoimmuni intraepidermiche. La sua frequenza, non è attualmente definita e la sua incidenza tra le diverse razze non è nota. Ciò che è certo è che sono stati diagnosticati pazienti di qualsiasi età, da un mese fino a 85 anni. Nonostante i pochi casi finora documentati questa patologia è stata chiamata di volta in volta con nomi diversi: dermatosi IgA neutrofilica; dermatosi vescicolosa intercellulare IgA; pemfigo IgA erpetiforme; pemfigo IgA foliaceo, pustolosi ad IgA intraepidermica. Il che ha certamente contribuito a creare estrema confusione nell’ambito della diagnosi differenziale. All’inizio i suoi scopritori la denominarono dermatosi pustolosa subcorneale a IgA monoclonale, e successivamente è stato chiarito che la malattia può presentarsi con due forme istologiche che, seppur simili tra loro, colpiscono strati cutanei diversi. Gli autoanticorpi IgA si rivolgono verso diversi antigeni nel subcorneo (proteina desmosomiale desmocollina1) e nella giunzione dermo-epidermica (desmogleine 1 e 3. Per questo motivo le due varianti prendono il nome di dermatosi pustolosa subcorneale (chiamata anche pustolosi subcornea di Sneddon-Wilkinson) e la dermatosi intraepidermica neutrofilica. Nel primo caso le lesioni si sviluppano sotto lo strato più superficiale, mentre nel tipo intraepidermico neutrofilico sono presenti nella parte più profonda dell’epidermide. Un elemento caratterizzante questa rara forma di pemfigo sono gli autoanticorpi circolanti di tipo IgA, che legano i specifici recettori sulla membrana dei monociti e dei granulociti stimolando il loro reclutamento). Il meccanismo di formazione delle bolle non è ancora del tutto chiarito e a oggi nella letteratura scientifica non ci sono studi conclusivi in grado di spiegare la fisiopatologia dell’acantolisi indotta dagli autoanticorpi di tipo IgA. Inizialmente, le bolle appaiono tese, translucide e piene di liquido chiaro; in una seconda fase, a causa dell’accumulo dei neutrofili in profondità, si trasformano in pustole che poi tendono a coalizzarsi per formare uno schema circolare o a grappolo, con possibili croste nell’area centrale. Talvolta è stato descritto un loro aspetto erpetiforme. In genere, non c’è coinvolgimento delle mucose. Le localizzazioni più frequenti sono le aree ascellari e inguinali, il tronco e gli arti prossimali con una predilezione delle regioni flessorie del tronco e quelle delle estremità prossimali per la forma pustolosa subcorneale, mentre nel pemfigo ad IgA di tipo intraepidermico neutrofilico, si dispongono caratteristicamente sul tronco con aspetto a girasole. Circa la metà dei pazienti può avvertire un forte prurito che talvolta rappresenta un ostacolo per lo svolgimento regolare della vita quotidiana. La diagnosi si ottiene mediante osservazione clinica e l’esame istologico di una biopsia cutanea che permette di evidenziare una lieve acantolisi ed un’infiltrazione di neutrofili nell’epidermide. Come è noto, l’acantolisi indica l’azione litica a livello del desmosoma, struttura di coesione fra i cheratinociti, per cui si forma uno scollamento e una cavità che, riempiendosi lentamente di plasma, si trasforma in bolla. Quando l’acantolisi non è evidente, si consiglia di far eseguire prove di immunofluorescenza diretta usando sezioni di pelle perilesionale in cui si scopre il deposito di IgA fra i corneociti. In alcuni casi si può osservare anche un lieve deposito di IgG o del componente C3 del complemento. Con l’immunofluorescenza si possono testare le IgA circolanti nel sangue, il saggio di immunoassorbimento legato ad un enzima (ELISA) e l’immunoblotting che evidenzia antigeni bersaglio come desmogleine e desmocolline. La diagnosi differenziale va fatta con il pemfigoide bolloso, la dermatite erpetiforme e la malattia da deposito di IgA lineari in cui le lesioni cutanee vescicolari o bollose hanno spesso una disposizione a grappolo. Quello che attualmente è considerato fra i trattamenti più efficaci pr il Pemfigo ad IgA consiste nella somministrazione di corticosteroidi orali e topici per ridurre l’infiammazione. L’obiettivo terapeutico è diminuire la permeabilità capillare e ridurre l’attività dei neutrofili e di conseguenza la produzione di autoanticorpi. Altri farmaci utili per il trattamento del pemfigo ad IgA sono l’isotretinoina e l’acitretina, l’anticorpo monoclonale adalimumab e l’immunosoppressore micofenolato mofetile, già usati per il trattamento del pemfigo volgare. I dati clinici relativi alla prognosi sono ancora limitati e probabilmente i principali problemi sono i possibili effetti collaterali causati dall’assunzione dei corticosteroidi e degli agenti immunosoppressivi. Poichè la malattia si manifesta all’interno dell’epidermide, generalmente non lascia cicatrici dopo guarigione. In alcuni casi sono state osservate recidive di lesioni dopo la cessazione del trattamento o la riduzione del dosaggio del farmaco, associate a gammopatie maligne ad IgA o ad altre forme tumorali: in questi casi la prognosi deve essere valutata in rapporto alla neoplasia.