La moda hipster ha portato a un aumento esponenziale nella vendita di prodotti per la cura della barba e alle richieste di trapianto
Il cammino dell’umanità è segnato da corsi e ricorsi storici, affermava Giambattista Vico attorno alla metà del 1700. E così funziona anche con la moda, sostengono le più autorevoli voci critiche dello stile contemporaneo. Nel mondo del dress code e più in generale dello stile, se qualcosa sembra definitivamente accantonato, state pur sicuri che prima o poi verrà rilanciato da qualche celebrità o stilista in cerca di visibilità sino a divenire, con le dovute modifiche, nuovamente simbolo di gusto e mondanità. Il fenomeno è ancora più evidente nel settore dell’hair style, ossia il mondo dei capelli e delle acconciature, ma anche, nel caso degli uomini, di barbe e baffi. Dopo anni di declino, infatti, è sotto gli occhi di tutti come siano tornati in auge i baffi folti, con le punte rivolte verso l’alto, simili ai grandi mustacchi che venivano sfoggiati agli inizi del ‘900 da artisti, statisti ma anche da tanta gente comune. E come allora, i ragazzi che li “portano” usano impomatarli, incerarli per renderli lucenti e lucidi, dando un nuovo impulso all’industria di settore che ha riscoperto e commercializza con profitto i pettini e il balsamo da baffo, cui si accompagnano una infinita quantità di prodotti per la toletta maschile di cui non si sentiva parlare da anni. Ma il fenomeno forse più eclatante è quello della nuova vita delle barbe. Merito della cosiddetta moda hipster, che ha contagiato molti adulti giovani, per lo più appartenenti alla fascia medio – alto borghese, che si definiscono apolitici o forse, meglio, postpolitici. Il vero hipster è facilmente riconoscibile dal punto di vista estetico, perché sfoggia, di solito, anche un abbigliamento vintage curato nei particolari, che include gilè e giacche di velluto, e, soprattutto, proprio una lunga barba apparentemente incolta ma in realtà curatissima. Come spesso capita per le mode e le tendenze del gusto, non sempre si è a conoscenza del fatto che il nome con cui il fenomeno viene chiamato è stato coniato negli anni ‘40 negli Stati Uniti per indicare una controcultura giovanile che aveva come elemento di riconoscimento il culto del be-bop e la volontà di contestare lo stile di vita americano dell’epoca. Ne facevano parte scrittori di grande spessore come Jack Kerouac, peraltro dediti all’alcol e agli eccessi, e probabilmente molto meno curati nel vestiario e nel loro look rispetto ai loro omonimi contemporanei. Tornando a questi ultimi, volendo delineare anche un parziale ritratto psicologico del moderno hipster: gli si riconosce un animo ecologista, è attirato dal veganesimo, dalla riscoperta dell’artigianato, predilige prodotti alimentari provenienti dall’agricoltura biologica e dalla contaminazione etnica. è a favore del km zero ma viaggia per il mondo, ama i mercatini ma non è avulso dalle grandi marche manifestando in tal modo le contraddizioni della società odierna. Esiste quindi una certa tendenza a improntare la propria vita a una condotta in contrapposizione con il sistema – e qui è il punto di contatto maggiore con gli hipster degli anni ‘40. Insomma uno stile e una condotta di vita ben delineati, che hanno proprio nella barba, almeno per gli esponenti di sesso maschile, l’elemento immediatamente riconoscibile, assurgendola a rango di simbolo di contro-cultura e benessere sociale. Come detto, infatti, una sua perfetta manutenzione richiede, a seconda dell’effetto voluto, un kit base composto da svariati prodotti tra cui: cera, olio e balsamo ma anche strumenti come accorcia barba, pettini con dentini di diversa spaziatura a seconda del grado di foltezza dei peli, pennelli adeguati alla micro rasatura, creme emollienti per la cute sotto i peli, spazzole. A cui naturalmente si aggiungono le valigette porta strumenti, le ciotole per la schiuma da barba e tati altri prodotti dedicati che il marketing ha reso sempre più particolareggiati e costosi. Tanto che, secondo l’ultimo report di Cosmetica Italia, che ogni anno analizza le spese effettuate dagli italiani nel settore, se è vero che negli ultimi anni “si è registrata una diminuzione complessiva nella spesa degli uomini per i prodotti classici, si conferma lo spostamento su nuove tipologie ad alte prestazioni, come le lozioni tonificanti e le creme multifunzione dedicate alla cura della barba”. Alte prestazioni, appunto, perché per avere la barba giusta è necessario spendere, arrivando, in qualche caso, a intervenire anche chirurgicamente per arrivare laddove madre natura si è fermata. E sì, perché gli interventi di rinfoltimento barba hanno registrato negli ultimi anni un vero boom, secondo qualcuno con un incremento del 13% su base annua. Ma in cosa consistono? Simile ai capelli, questo tipo di operazione stavolta prevede il trapianto di peli, prelevati in altre sedi corporee come il sottomento, da innestare nei bulbi piliferi delle zone scoperte dalla normale crescita. I peli impiantati, secondo gli esperti, crescono fino al 90% con un risultato di “pieno”, che soddisfa e riempie in maniera definitiva, o quasi, i buchi. Come per i capelli, si tratta di una pratica che richiede una preparazione accurata, che prevede un’anestesia locale e, soprattutto, i cui effetti non sono immediatamente apprezzabili dato che per vedere l’effetto finale bisogna attendere almeno 8-10 settimane. Per quanto riguarda i costi, grazie ai prezzi contenuti, il paese in cui si registra il maggior numero di interventi è la Turchia, verso cui approdano anche moltissimi italiani ma soprattutto, giovani provenienti dal Regno Unito. Restano i dubbi sulle condizioni di sicurezza, che possono talvolta giustificare anche prezzi superiori, a seconda della condizione di partenza della barba.