Un pensiero critico sul nuovo mondo digitale

Una riflessione libera e fuori dagli schemi sulle insidie contenute nella accettazione acritica della trasformazione dell’era digitale e dei rischi che porta con sé

Viviamo in un mondo controllato dalla digitalizzazione, in cui ogni giorno ci vengono offerti servizi, che non sapevamo di volere, con la promessa che ci “semplificheranno” la vita. Ma il problema di questa ennesima rivoluzione culturale, che in breve tempo ha investito ogni aspetto della nostra realtà, da quello sociale a quello economico, è che l’apparato tecnologico che la promuove e che condiziona la nostra vita, regge su una condivisione di dati sensibili la cui tutela è spesso assicurata dalle istituzioni o dai singoli gestori senza però che esista un reale controllo da parte dell’utente. Come scrive Giorgio Bartolomucci nell’introduzione del libro “Non mi fido”: “Pochissime persone sono a conoscenza della localizzazione e del funzionamento dei centri di raccolta delle nostre informazioni più riservate, il cui controllo, peraltro, è nelle mani di società private. Se i dati sono l’oro liquido del futuro, i data center sono come i forzieri delle banche in cui si depositano le riserve dello Stato, della Pubbliche Amministrazioni, delle aziende pubbliche e private, degli ospedali, dei centri di ricerca, dei Centri di fatturazione, delle piattaforme per il commercio elettronico, ecc. L’utente della rete può solo fidarsi di chi è incaricato di difenderli. È un problema di codici sorgente, e per verificarli servono esperti con livelli di competenze che pochissimi hanno. Visitare un data center è più difficile che entrare in un fortino, e per i controlli ci si affida a enti terzi, in grado rilasciare una certificazione di trasparenza. Per le aziende e gli enti pubblici la protezione dei dati e dei sistemi sta diventando un grave problema strategico. Il percorso di digital transformation comporterà un’ampia adozione di dispositivi smart e la connessione degli impianti di produzione, e quindi necessita di processi innovativi, specie nel complesso tema della sicurezza delle infrastrutture industriali, delle postazioni di engineering e delle connessioni di rete. Identica protezione va garantita a tanti altri settori strategici, ma anche ai privati cittadini per i quali cresce la sensazione che la società sia meno sicura a causa dell’ambivalenza della tecnologia digitale. Fra la consapevolezza dei vantaggi e la convinzione che le piattaforme social detengono troppo potere, si rafforza l’idea che i dati raccolti online vengano oltremodo sfruttati, mentre le spiegazioni incomplete delle regole per la loro gestione sostengono la diffidenza e il bisogno di sapere come si potrà garantire a lungo, a tutti, il rispetto dei diritti civili. Favorire la crescita nella società di un pensiero critico verso gli strumenti digitali e le applicazioni dei sistemi basati sull’Intelligenza Artificiale, è uno dei pochi strumenti che ci restano per evitare truffe e reati online ma anche per difendere la nostra privacy e i nostri diritti”. Scritto in uno stile semplice e diretto, e profuso da una sana dose di autoironia (il diffidente digitale ha le fattezze dello scrittore), il libro vuole essere una riflessione a cuore aperto sulle insidie sottese dalle nuove tecnologie, spesso nascoste da enfatici annunci e promesse disattese.