della dott.ssa Gabriella La Rovere
Utilizzati nella pet terapy, i cani si sono rivelati utili anche nel rilevare, grazie al loro olfatto, la presenza di cellule cancerose e malattie metaboliche come il diabete
La pet therapy non è più vista con sospetto dalla medicina ufficiale e l’utilizzo degli animali per contrastare la solitudine, alleviare le sofferenze e stimolare una reazione psicofisica che aiuti i pazienti ad affrontare il decorso della propria malattia, è ormai una consuetudine. In numerosi Istituti di riabilitazione e unità ospedaliere, sono in corso moltissimi progetti promossi anche dal Ministero della Salute e migliaia sono le testimonianze di chi ha beneficiato di questo supporto terapeutico, tanto che non vi sono più dubbi sulla sua reale efficacia in determinati casi. Da qualche anno, però, è stato scritto che gli animali, e nella fattispecie i cani, possono essere utili anche a diagnosticare con estrema precisione l’insorgenza di un cancro o del diabete, ma il dubbio che possa trattarsi di fantascienza non è stato ancora sciolto. Eppure questa linea di ricerca continua in diverse parti del mondo e anche da noi alcuni gruppi stanno perseguendo l’obiettivo di dimostrare che la precisione del fiuto canino, già impiegata da tempo con successo anche in molti altri campi di utilità (per esempio nella sicurezza e per la ricerca di persone, per gli esplosivi e la droga), può essere utilizzata nell’ambito di programmi medico-scientifici. I più attivi sono alcuni studiosi inglesi, membri di una associazione denominata Medical Detection Dogs. Questa organizzazione realizza da anni ricerche e sperimentazioni in partnership con aziende private, università ed enti del servizio sanitario nazionale britannico con lo scopo di mettere a punto un programma di addestramento dei cani a fini diagnostici e rilevarne le potenzialità e i limiti applicativi. Secondo gli istruttori dell’associazione (ora presente anche in Italia), tali animali sarebbero in grado infatti di riconoscere diverse malattie metaboliche sfruttando il loro proverbialmente finissimo naso. I tessuti malati, infatti, emettono idrocarburi ed elevate concetrazioni di composti azotati che per noi sono assolutamente inodore mentre per un animale dotato di un olfatto superiore al nostro di ben 100.000 volte diventano facilmente riconoscibili. I cani “bio-detective”, come sono stati soprannominati, vengono quindi addestrati a rilevare le sostanze volatili (biomarker) che segnalano la presenza di tumori. A confermarlo esistono numerosi studi condotti negli ultimi decenni. Il primo di essi fu promosso in seguito al diffondersi di una notizia che suscitò notevole interesse nel mondo scientifico. Nel 1989 una piccola dalmata chiamata Trudi, salvò la vita della sua padrona. La cagnolina per mesi aveva annusato ostinatamente un neo della padrona sinché quest’ultima si decise a farlo analizzare da uno specialista che gli diagnosticò un melanoma. Da allora ci si è si è focalizzati sullo scoprire quali malattie fossero a “portata” di naso, arrivando a conclusioni davvero eclatanti. I cani sarebbero capaci di diagnosticare il cancro alla prostata (studio condotto in Francia), il cancro alla vescica (Inghilterra), al colon-retto (Giappone), al seno e al polmone (Usa). Inoltre, come già accennato, sarebbe stato dimostrato che il loro olfatto gli permetterebbe di rilevare, con un’approssimazione del 90%, diverse patologie metaboliche come il diabete, la narcolessia e il morbo di Addison. In questo caso l’utilità degli “Alert Dogs” (ogni specializzazione merita una denominazione precisa) è enorme perché avvertendo i familiari e gli stessi pazienti, tramite segnali convenzionali, dell’arrivo imminente di una crisi, a esempio di narcolessia o di curva glicemica irregolare nel caso del diabete, si possono evitare spiacevoli conseguenze, eccessive medicalizzazioni e spesso l’ospedalizzazione. Molte di queste ipotesi, seppur interessanti, sono di fatto basate su aneddoti o casistiche limitate, ma hanno aperto la strada alla progettazione persino di un “naso meccanico” che nelle idee dei suoi realizzatori avrebbe le stesse capacità di quello dei cani ma in più il pregio dell’oggettività, oltre a non richiedere quelle attenzioni necessarie a un essere vivente. La Medical Detection Dogs Italia Onlus (MDDI Onlus) è nata nel 2011 e lavora in coordinamento e su iniziative comuni con l’Associazione inglese (www.medicaldetectiondogsitalia.it). I promotori, Aldo La Spina, educatore cinofilo ed esperto di comportamento animale e di cani d’assistenza, e la sua collaboratrice Cinzia Stefanini, ebbero l’idea nel 2009, partecipando alla VI International Working Dog Conference svoltasi in Belgio, e ascoltando Claire Guest, direttrice della MDD inglese, che presentava i risultati ottenuti con l’impiego dei cani nella ricerca oncologica alla vescica (pubblicati sulla rivista The Lancet, 2004) e nel rilevamento di alcune malattie metaboliche. La Spina coinvolse Enzo Vezzoli, allevatore ed esperto cinotecnico, operatore di “Pet Therapy”, il medico e Direttore della casa di riposo per anziani di Pergine, Diego Pintarelli, il medico veterinario Tiziana Gori e il cinotecnico Ivano Vitalini. Ciascuno rappresenta un ambito specifico di esperienza e di competenza nella medicina umana, nella veterinaria e nella cinofilia. La loro collaborazione, in una forma di intervento congiunto medico sanitario e cinofilo, a distanza di tre anni sta raggiungendo l’obiettivo di far conoscere questo filone di indagine scientifica, per introdurre anche in Italia la ricerca medica sull’impiego dell’olfatto del cane per la rilevazione di malattie metaboliche, per promuoverne poi l’utilizzo dei risultati in ambito sanitario. A questo fine la MDD Italia è attiva nella promozione di diverse iniziative: l’individuazione di centri pubblici e privati interessati allo sviluppo delle ricerche scientifiche; il sostegno delle ricerche; l’addestramento dei cani a questo fine; l’introduzione della metodica nel sistema sanitario; la promozione, il perfezionamento e la valorizzazione di questa metodica in ogni altra modalità possibile. Per il momento la sperimentazione è appena iniziata solo in maniera pilota, ma grazie all’Accordo Stato-Regioni, recepito nell’Ordinanza Ministeriale 11-2009, oggi c’è un esplicito invito rivolto alle strutture sanitarie ad accogliere gli IAA (Interventi Assistiti dagli Animali) e si spera quindi che sempre più gruppi possano essere attratti da ipotesi diagnostiche così affascinanti. Nel frattempo prendiamolo come un riconoscimento ufficiale della Pet Therapy anche in Italia.