Un medico fantascientifico la vita di Stanislaw Lem

Dott.ssa Gabriella La Rovere

La vita di uno dei più famosi scrittori di fantascienza di tutti i tempi che di professione faceva il medico e di certo presentava tratti di neurodiversità

Quest’anno, e precisamente il 12 settembre 2022, si celebra l’anniversario della nascita di Stanislaw Lem, polacco, autore di numerosi libri di fantascienza, tra i quali Solaris e Golem XIV. Forse non tutti sanno però che il famoso scrittore era anche un medico, figlio di un otorino di Leopoli, città in cui nacque e dove portò avanti i suoi studi. Della madre Sabine si sa solo che era una casalinga, non particolarmente vivace a livello intellettuale, né di carattere affettuoso. Ciò che mi ha incuriosita di più leggendo la sua biografia, “Il castello alto”, è il modo in cui descrive la sua infanzia. Le prime pagine del libro sono un’accurata descrizione della sua casa, con una parte adibita a sala d’aspetto e ambulatorio del padre, nella quale gli era proibito entrare. I primi libri che sfogliò e lesse furono i grandi trattati di medicina custoditi nella libreria dello studio paterno. A quattro anni era già in grado di leggere le lettere stampate e la sua fantasia venne stimolata dall’anatomia e dalla fisiologia del cervello. Rimase affascinato dal diploma di laurea del padre, una grande pergamena con caratteri in latino. Dopo averlo decifrato e letto, scrisse: “il processo di conoscenza è come un passaggio da un piano all’altro, ogni volta si scopre una fase successiva della questione”. Oltre a parlare il polacco, sua lingua madre, conosceva perfettamente il francese e il russo; durante la guerra riuscì a padroneggiare il tedesco e imparò l’inglese da autodidatta. Apprese, ormai adulto, di avere un Q. I. di oltre 180. Da piccolo era cagionevole di salute e si ammalava spesso. “Quando stavo bene trascorrevo molto tempo da solo. Esploravo volentieri i meandri della casa camminando a quattro zampe, perché per qualche motivo, la cosa che mi piaceva di più era immaginare di essere una bestiola”. L’immagine del gattonamento evoca sentimenti di tenerezza se non si considera che si tratta di un bambino già ben oltre la prima infanzia. Ma la particolarità del suo comportamento non si limita solo a questo. “Ero posseduto dal demonio della distruzione”. Come molti bambini era particolarmente attratto dal funzionamento degli oggetti e da cosa ci fosse dentro i giocattoli. L’atto più violento, e del quale non riuscì a dare una spiegazione neanche dopo tanti anni, fu di aver rovinato un bellissimo carillon, alzandosi nel pieno della notte per andarci a fare la pipì dentro. In ogni caso soffrii per il silenzio del carillon, forse non meno sinceramente di certi killer seriali per la loro ultima vittima. Non fu un atto isolato e la pulsione che lo spingeva a sventrare ogni giocattolo lo accompagnò ancora per qualche anno, quando alla irrefrenabile voglia di conoscenza in profondità, si contrappose l’educazione e la certezza del castigo: a quel punto riuscì a convogliare il suo istinto col pretesto di una estrema volontà di andare a fondo nell’esame, finalizzato a capire, curare, aggiustare. Interessante è la sua percezione dello spazio e del tempo. Il primo gli sembra rimpicciolirsi con l’aumentare dell’età. La spiegazione data da Lem risiedeva proprio nella crescita corporea che ridimensionava lo sguardo su ciò che lo circondava. Ben altra cosa è il tempo che egli considerava un nemico insidioso, addirittura contrario alla natura umana. Inizialmente, per anni, mi fu straordinariamente difficile distinguere il senso di concetti come “domani” e “ieri”. Confesso, come non ho mai fatto finora, che a lungo per me furono localizzati entrambi nello spazio. Per me il domani si trovava al di sopra del soffitto e lo ieri sotto di noi e che questo ieri non si dissolvesse affatto nel nulla, ma continuasse, svuotato, da qualche parte là, sotto i miei piedi. È interessante questa trasformazione e inquadramento di un concetto astratto in qualcosa di definito dallo spazio stesso, il superamento di un’inesplicabilità che una mente neurodiversa ad alto funzionamento trasforma in qualcosa di fantastico. “E ancora sul tempo, un abisso di per sé immobile, in un certo senso inerte, inattivo. Vi accadevano molte cose, come nel mare, ma in sé era immobile (…). Parlo della vastità della durata delle ore o dei giorni, inverosimile per me ora, come se l’avessi solo sentita raccontare da qualcuno, non come se l’avessi sperimentata personalmente”. Oggi diremmo che l’esperienza è conoscenza mediata dai sensi, tanto più pragmatica in presenza di neurodiversità. Lem assimilava gli anni ai colori, andando dal più chiaro al più scuro dell’età adulta. I suoi scritti evidenziano come la percezione fosse per lui un altro aspetto importante. “Per un certo tempo mi piaceva abbastanza impiccarmi dove potevo, accumulando corde adatte. Naturalmente non arrivavo mai fino in fondo, ma ero estremamente curioso e affascinato dalle sensazioni provate”. Nella neurodiversità la percezione sensoriale può essere troppo sviluppata e ogni sollecitazione essere disturbante, oppure poco sviluppata e quindi non percepita correttamente. Più avanti Lem ricordò di essersi attorcigliato lo spago attorno ad un dito per avere la sensazione di addormentamento dell’arto o di essersi schiacciato l’occhio per vederci doppio. Sottolineare questi aspetti induce a pensare che fossero degli atti ripetuti, che nella neurodiversità hanno senso come momento per riprendere il controllo di sé, ancorando un momento di difficoltà al reale. La sua estrema sensibilità si manifestò anche sotto forma di aberrazione, come la sensazione della crescita abnorme delle mani rispetto al corpo. Altro elemento importante riferito è la mancata percezione del pericolo. Da piccolo tendeva a sporgersi dalla finestra il più possibile; una volta, colpito dalla visione di un ghiacciolo che pendeva sotto i cilindri del treno, si infilò improvvisamente sotto la locomotiva per afferrarlo, totalmente incurante dell’eventualità che il treno potesse muoversi, tranciandogli di netto le gambe. “Passai periodi in cui contavo le finestre o le porte, fasi di complicati rituali in cui dovevo camminare in modo da calpestare solo le lastre del marciapiede, senza mai sfiorarne le giunture […] C’erano inspirazioni ed espirazioni soprattutto prima di addormentarmi, e poi bisognava dare una forma particolare al poggiatesta e al guanciale”. Rituali, atti compulsivi che sono parte del comportamento di una persona con neurodiversità, soprattutto prima di dormire, in quanto rappresenta la parte più importante della giornata, quella in cui i sensi, così sensibili, vanno a riposo e niente è più sotto controllo. A tutto questo va aggiunto il racconto di chi lo frequentò descrivendolo come una persona estremamente solitaria. “Mi è molto più facile parlare degli oggetti della mia prima infanzia che delle persone”. Lem spiegò questo concetto nell’assoluta veridicità delle cose rispetto agli esseri umani. Le cose gli si concedevano totalmente, senza nascondere nulla. L’incapacità di decodificare il linguaggio del corpo è la spinta all’isolamento della persona con neurodiversità. Nonostante fosse sposato e con un figlio, si accorgeva della sua famiglia grazie ai foglietti che venivano lasciati sulla scrivania con le incombenze inderogabili da portare a termine. Vestiva in modo tanto casual da rasentare l’incuria personale, quando guidava sembrava disattento e, perso nei suoi pensieri, il che capitava con regolarità, borbottava risposte in monosillabi omerici. Lem fu uno scrittore piuttosto prolifico; l’entrata ufficiale nel mondo dell’editoria avvenne intorno al 1946 quando i suoi racconti cominciarono ad apparire in vari settimanali. Nel 1973 ricevette in Polonia il prestigioso Premio di Stato, mentre nel 1976 ebbe il Grand Prix al terzo Congresso Europeo di Fantascienza tenutosi a Poznań. Lem era talmente stimato e amato in patria che nel 1977 fu candidato dalla Polonia al premio Nobel per la letteratura e riconosciuto cittadino onorario dalla città di Cracovia. Nel 1987 smise di scrivere. Morì a Cracovia nel 2006.