Un cervello in forma si riflette anche sulla pelle

Avere una mente attiva aiuta a vivere meglio e si traduce in uno stato di salute psicofisica che contrasta l’invecchiamento generale e a livello della cute e dei suoi principali annessi

Quando nasce e cosa significa originariamente il celebre detto “Mens sana in corpore sano”, da sempre utilizzato per indicare lo stretto rapporto esistente tra salute del corpo e quella della mente? Contenuto nella decima satira di Giovenale, ha in realtà un significato piuttosto diverso. Il celebre autore latino lo utilizzò con fare moralizzante per indicare come sia nella natura dell’uomo dedicare tempo e risorse alla ricerca dell’ottenimento di beni effimeri come ricchezze e potere in luogo di un più appagante stato di benessere ottenibile solo attraverso la salute del corpo, appunto, e della mente intesa come anima e intelletto. Insomma, per Giovenale, vero precursore della nostra contemporaneità, senza salute e senza ideali morali, la vita dell’uomo si ridurrebbe a ben poca cosa. Per quanto l’intento dell’oratore fosse quello di sferzare la società a lui contemporanea ritenuta fautrice di una degenerazione di valori classici (c’è mai stata un’epoca in cui gli intellettuali non abbiano ritenuto la società del proprio tempo affetta dai medesimi mali?), il binomio “mente – corpo” da lui enunciato è ormai diventato uno degli assiomi, non solo della psicosomatica, ma dell’intera medicina moderna. Una relazione tra la salute fisica e il nostro cervello e, in senso lato, il nostro stato emotivo, divenuto ormai la base di numerosi approcci terapeutici, scientificamente validati da un’ampio numero di studi che negli ultimi anni hanno investigato sull’interscambio esistente tra sistema nervoso centrale, sistema endocrino, immunitario e salute della pelle o dell’intestino, nell’ambito di numerose patologie cutanee, sistemiche o di quelle psichiatriche. Sappiamo tutti che credersi malati a volte può spingere il corpo a mostrare fastidiosi sintomi reali mentre, viceversa, un approccio psicologicamente positivo alle terapie può essere fondamentale per la loro riuscita. Ma a parte il fondamentale ruolo attribuito alle endorfine e alla loro potente attività analgesica, molto c’è ancora da scoprire sui meccanismi che permettono tutto ciò che significa la comunicazione fra corpo e cervello. Neurotrasmettitori, citochine, ormoni, altri fattori endocrini o, di recente, la teoria del microbioma che parrebbe in grado di condizionare direttamente la nostra attitudine mentale per esserne a sua volta condizionato. Padroneggiare queste conoscenze in maniera puntuale ci aiuterebbe a capire perché per alcuni pazienti il dialogo mente corpo funzioni meglio che in altri e potrebbe magari contribuire a migliorare l’efficacia delle terapie e degli approcci psicodinamici più utilizzati. Potere della mente, perché è innegabile che, se stimolato adeguatamente, il nostro cervello influisce positivamente anche sul nostro benessere fisico e su quello della pelle e viceversa. Senza ricorrere all’abusato riferimento alla comune appartenenza embriologica del cervello e della cute all’ectoderma, è ormai assodato che lo stress mentale, quando eccessivo, può dare luogo, per esempio, a fenomeni cutanei importanti e favorire l’insorgere di patologie come la psoriasi o accelerare, e in alcuni casi sviluppare, fenomeni come l’alopecia androgenetica, fragilità delle unghie, eruzioni cutanee di varia natura. Ben nota anche la coesistenza di patologie psichiatriche con sintomatologie cutanee, dolorose o caratterizzate da prurito, che a loro volta possono dare luogo a grattamento eccessivo e quindi escoriazioni e via di seguito. Senza contare che la “stanchezza” mentale può comportare scarsa cura personale, l’adozione di una dieta sbagliata, un abbassamento delle difese immunitarie che si traducono in una maggiore possibilità di sviluppare malattie che nella maggior parte dei casi si riflettono anche sulla nostra cute. Una spiegazione scientifica può essere rintracciata nelle carenze di alcune vitamine estremamente importanti sia per il funzionamento dei nervi che della cute. Per esempio quelle appartenenti al gruppo B (B6, B12 e acido folico B9) ritenute essenziali sia per il sistema nervoso che per la “tenuta” degli annessi cutanei più importanti come i capelli e le unghie, perché svolgono una importante funzione antiossidante e antiaging, contribuendo alla difesa e alla produzione di elastina e acido ialuronico. Un doppio positivo ruolo svolto anche dalla Vit. C, fondamentale sia per la sintesi di neurotrasmettitori, ma anche come antiossidante efficace per la salute della cute. L’elenco potrebbe continuare a lungo, tanto da far credere, fin da ora, nell’efficacia dell’approccio terapeutico combinato, multisistemico che, peraltro è già entrato a far parte della routine operativa della gran parte dei dermatologi che per curare alcuni sintomi della dermatite atopica ricorrono anche a sostanze rilassanti che, favorendo il sonno, riducono lo stress ma anche prurito e grattamento. Si avvicina il tempo delle terapie mirate, favorite anche dalla mappatura biochimica della materia grigia umana, i cui misteri che ancora l’avvolgono stanno via via risolvendosi. In attesa basterà considerare parte integrante della quotidiana routine di bellezza e antiaging, la continua stimolazione e, possibilmente, uno stile di vita che mantenga a lungo vigile il cervello, rinunciando a un consumo eccessivo di alcol, fumo, farmaci e l’abuso di droghe ricreative, ricorrendo a ginnastiche mentali appropriate e soprattutto utilizzando un apporto nutrizionale adeguato capace di preservare più a lungo possibile tutte le sue straordinarie funzionalità. Per quelli che ancora mostrano incredulità, o che parlano del deprecato effetto Placebo vale la pena ricorrere ancora una volta alla storia antica per spiegare che il termine sarebbe in realtà frutto di un errore di traduzione. San Girolamo traducendo la Bibbia dall’ebraico al greco e al latino, fraintese il termine greco ethalekh e scrisse Placebo Domino in regione vivorum – ossia “Piacerò a Dio nella regione dei viventi” – anziché “Camminerò alla presenza del Signore sulla terra dei viventi”. Durante il medioevo, il versetto latino veniva utilizzato da coloro che erano pagati per piangere ai funerali e solo a causa di ciò si attribuì alla parola placebo una accezione negativa, per descrivere comportamenti falsi. Nel 1785 per la prima volta comparve all’interno del New Medical Dictionary a indicare un tipo di medicina dozzinale ma nel 1894, nel Foster Dictionary venne finalmente utilizzata per indicare una sostanza inerte, non farmacologicamente attiva che, però, spesso funziona.