Estrogeni e capelli

dei dott. Massimiliano Pazzaglia, dott.ssa Simona Tullo e Prof. Antonella Tosti Dipartimento di Medicina Clinica Specialistica e Sperimentale – Sezione di Clinica Dermatologica – Università degli Studi di Bologna

Lo sviluppo dei capelli è un processo dinamico e ciclico influenzato da meccanismi genetici, fattori di crescita, citochine, stagionalità. Ma soprattutto da ormoni e recettori.

Quando si parla di capelli è evidente che la loro presenza non è vitale per l’individuo ma al contrario è di massima importanza per un corretto equilibrio psicologico. La caduta dei capelli è un fenomeno fisiologico influenzato dall’età. Una caduta pari a 50-100 capelli al giorno viene considerata normale. Solamente quando la perdita eccede tale numero o quando il pattern è anomalo la caduta dei capelli diventa un fenomeno patologico.
Attualmente la condizione della donna in quel periodo “critico” che è rappresentato dalla menopausa è notevolmente differente dal passato. Stili di vita e di lavoro migliori hanno reso possibile il giungere a questo periodo in buone condizioni fisiche, con una spettanza di vita ancora lunga, quindi si è desiderosi di vivere nella migliore maniera gli anni seguenti.

In Italia la vita media per le donne è di 82,5 anni, vi è quindi un’aumentata attenzione verso la cura di sè stesse, attraverso l’adozione di comportamenti tesi a preservare il bene salute e aspetto fisico.
I fattori responsabili di questo fenomeno sono genetici, connessi all’invecchiamento biologico, alle abitudini di vita e non da ultimo i fattori endocrini (carenza di estrogeni). La carenza di estrogeni è una delle chiavi di volta del problema, questa induce numerosi cambiamenti quali la depigmentazione (capelli bianchi), aumentata caduta e assottigliamento dei capelli, ridotta secrezione di sebo e ridotta secrezione di sudore (secchezza). Invece gli effetti positivi degli estrogeni sul ciclo del pelo sono conosciuti da lungo tempo e ben dimostrati prima di tutto da quello che avviene ai capelli in una comune situazione fisiologica della donna, la gravidanza. Qui i follicoli piliferi prolungano la loro fase di crescita per cui il numero di capelli che entra in telogen, e quindi cade, si riduce notevolmente. La proprietà degli estrogeni di prolungare l’anagen spiega anche la caduta dei capelli che si osserva circa 3 mesi dopo il parto, quando i follicoli che non erano entrati in telogen durante la gravidanza entrano tutti in riposo contemporaneamente.

In menopausa, quando i livelli di estrogeni si riducono drasticamemente, si osserva spesso una caduta e un diradamento dei capelli con la comparsa di un’alopecia androgenetica.
Nell’alopecia androgenetica, per effetto degli ormoni androgeni, i capelli si trasformano in peli via via più sottili e corti che non coprono adeguatamente il cuoio capelluto. Questa progressiva miniaturizzazione dei capelli è conseguenza di un analogo processo di rimpicciolimento a carico dei follicoli piliferi. Nell’alopecia androgenetica infatti i follicoli terminali divengono progressivamente più piccoli e superficiali fino ad assomigliare in tutto e per tutto ai follicoli del vello. Responsabili di questo effetto sul follicolo sono il testosterone e soprattutto il suo più potente derivato diidrotestosterone (DHT), che viene attivamente prodotto a livello follicolare dall’enzima 5 (-reduttasi di tipo 2. L’attività di questo enzima è molto più elevata nel maschio che non nella femmina, e in entrambi i sessi nella regione frontale (colpita dall’alopecia androgenetica) rispetto alla regione occipitale.

La miniaturizzazione si accompagna ad una progressiva riduzione della durata della fase di anagen o di crescita del follicolo. I capelli in via di miniaturizzazione diventano via via più corti proprio perché la loro fase di crescita è più breve. La ridotta durata dell’anagen ha 3 dirette conseguenze:

1) Nel cuoio capelluto affetto da alopecia androgenetica vi è un numero aumentato di follicoli in telogen rispetto al normale.
2) I capelli che entrano in telogen e quindi cadono sono di lunghezza sempre minore.
3) I follicoli colpiti dalla malattia hanno cicli sempre più sincronizzati. Questo fenomeno è stato definito da Rebora “animalizzazione del ciclo”, proprio perché i follicoli del cuoio capelluto diventano sincroni e perciò simili a quelli della pelliccia degli animali. La sincronizzazione del ciclo fa sì che i soggetti con alopecia androgenetica siano più predisposti dei soggetti normali a un telogen effluvium.

I follicoli colpiti da alopecia androgenetica non solo presentano un’anagen di durata ridotta, ma presentano anche una durata delle loro fase di riposo allungata, e quindi rientrano in anagen più tardivamente rispetto ai follicoli normali. Questo allungamento della fase di riposo fa sì che il follicolo rimanga per un periodo di tempo vuoto, in quanto il pelo in telogen è già stato eliminato e il nuovo pelo in anagen non è ancora stato prodotto. Questo ritardo della ripresa dell’anagen (allungamento della lag phase) determina che, oltre alla miniaturizzazione, vi sia una reale diminuzione del numero totale dei capelli visibili. Questo fenomeno diviene più evidente con il progredire della malattia.
L’alopecia androgenetica colpisce selettivamente i follicoli delle regioni frontale, temporale e del vertice, mentre risparmia tipicamente la regione occipitale e parietale. Questa localizzazione della malattia è espressione di una diversa sensibilità agli androgeni dei follicoli delle diverse regioni del cuoio capelluto. La malattia può presentarsi con un esordio acuto, che in genere coincide con un episodio di telogen effluvium, o esordire in modo molto lento e graduale, tanto che il paziente non la sa collegare a una data ben precisa. L’alopecia androgenetica femminile non solo aumenta di frequenza dopo la menopausa (i dati attuali indicano che più del 50% delle donne in menopausa presenta segni clinici di questa malattia) ma in questa fase della vita, presenta anche caratteristiche cliniche peculiari. Si distinguono infatti 3 varietà cliniche principali di alopecia androgenetica femminile:

  • il tipo “centrale diffuso”, descritto da Ludwig, caratterizzato da un diradamento uniforme dei capelli della sommità del capo, con mantenimento di una normale attaccatura frontale;
  • il tipo “ad albero di natale”, descritto da Olsen e caratterizzato da un diradamento più accentuato in corrispondenza dell’attaccatura frontale per cui l’area diradata ha una forma di triangolo a base anteriore;
  • il tipo con diradamento temporale, caratterizzato da un pattern di tipo maschile (tipo Hamilton). In menopausa si assiste a una variazione del tipo clinico per cui il pattern clinico di Hamilton diventa molto più frequente.

Nelle donne in premenopausa infatti si osserva un pattern di tipo Ludwig nell’87% delle pazienti e un pattern di tipo Hamilton nel 13% delle pazienti. In menopausa queste percentuali cambiano e il pattern di Hamilton aumenta di frequenza, 37% dei casi.

Ma vediamo quali sono i fattori che contribuiscono alla caduta dei capelli che si osserva nelle donne in menopausa:

  1. Innanzitutto la predisposizione genetica: è noto che l’alopecia androgenetica è una malattia poligenica nella quale sono coinvolti molti geni diversi. La presenza della malattia in più membri della famiglia è senz’altro un importante fattore di rischio.
  2. L’invecchiamento biologico: è dimostrato che l’invecchiamento produce un assottigliamento dei capelli dovuto al fatto che le cellule staminali del follicolo e della papilla si riducono di numero. Anche il numero totale dei follicoli si riduce e osservando il cuoio capelluto con attenzione, è spesso possibile osservare delle chiazzette completamente prive di capelli.
  3. Le abitudini di vita: il fumo, le diete dimagranti, la dieta carente di vitamine e di fattori antiossidanti, l’abuso di alcool, alcune terapie farmacologiche, favoriscono la caduta dei capelli e quindi sono importanti fattori aggravanti.
  4. La carenza di estrogeni: gli estrogeni come abbiamo visto hanno un effetto positivo sul ciclo follicolare in quanto inducono l’inizio e prolungano la durata dell’anagen.

Questi effetti sono conseguenza di 3 meccanismi sinergici:

a) effetto antiandrogeno: gli estrogeni inibiscono la 5a-reduttasi e riducono la produzione di DHT, l’ormone responsabile della miniaturizzazione nell’alopecia androgenetica.

b) stimolano la produzione del fattore di crescita per l’endotelio vascolare (VEGF), fattore di crescita che induce il prolungamento dell’anagen e quindi previene l’entrata in riposo dei follicoli e quindi la caduta dei capelli.

c) Effetto stimolante la proliferazione delle cellule della papilla dermica. Oggi si ritiene che la papilla dermica sia la struttura che induce la moltiplicazione delle cellule staminali del bulge con induzione dell’anagen. L’utilizzazione degli estrogeni nel trattamento dell’alopecia androgenetica in postmenopausa è quindi supportata da dati clinici e sperimentali.

In alcuni paesi europei vengono frequentemente utilizzati estrogeni topici in lozione che però non agiscono per via locale, ma attraverso un assorbimento sistemico e quindi non debbono essere considerati una terapia locale ma generale.
Il problema di queste lozioni è anche il fatto che il dosaggio non è controllabile in quanto l’assorbimento varia a seconda dello stato del cuoio capelluto che condiziona la permeabilità del follicolo e dello strato corneo. Indubbiamente un’integrazione alimentare volta ad aiutare la donna in questo specifico periodo rappresenta un’importante ausilio. Infatti all’inizio del terzo millennio ci si ritrova di fronte a un aumento temporale della vita media e in misura maggiore il dermatologo deve interagire con questa fascia di popolazione, non soltanto per provvedere a risolvere i problemi più acuti, ma anche ad affrontare richieste per apparire esteticamente più gradevoli e giovani.