Siamo sicuri di conoscere tutto dei fibroblasti?

La ricerca sulle cellule della matrice extra-cellulare apre all’identificazione di nuovi approcci terapeutici a contrasto degli inestetismi cutanei

 

La parola che più compare nei foglietti illustrativi di tutti i cosmetici formulati per contrastare l’invecchiamento e gli inestetismi cutanei fa riferimento ai fibroblasti. Quasi superfluo ricordare che si tratta delle cellule di forma generalmente fusata o stellata, disposte dinamicamente nello stroma che contribuiscono in modo attivo alla costruzione della matrice extracellulare dando sostegno al parenchima di quasi tutti gli organi, non ultima proprio la pelle. Li si può descrivere anche come i componenti fondamentali di quel complesso reticolo glicoproteico tridimensionale, comune a tutti i tessuti connettivi, nelle cui maglie può trovare il proprio habitat naturale un’ampia gamma di cellule, scambiare liberamente gas, nutrienti e segnali e, in molti casi, muoversi. Si comprende pertanto quanto importanti siano i fibroblasti nel processo di guarigione delle ferite. Ma il loro ruolo biologico sembra non esaurirsi in quanto già noto perché i risultati di una serie di studi stanno ulteriormente chiarendo altri aspetti quali: la loro origine; il loro metabolismo; la loro capacità di regolare l’autofagia; l’abilità ad emettere segnali e rispondere attraverso una fine riprogrammazione (metabolica, genetica ed epigenetica); la loro capacità di dialogare con le altre cellule allocate nella matrice extracellulare (macrofagi, cellule dendritiche, linfociti, cellule endoteliali, neuroni parasimpatici); le loro relazioni con il microbiota intestinale; la loro reazione all’assunzione di comuni farmaci, o stimoli attraverso vari medical device, etc. Oggi, si conosce molto di più sul comportamento dei fibroblasti nel cuore, polmoni, reni, articolazioni; in una buona parte dei casi, si hanno anche evidenze sulla correlazione fra una loro disfunzione e l’insorgenza o lo sviluppo di gravi patologie, a esempio: la fibrosi polmonare, l’artrite reumatoide e il cancro (si pensi al grande capitolo dei fibroblasti associati ai tumori, i cosiddetti CAF). C’è però ancora molto da capire della fisiologia dei fibroblasti nei tessuti umani sani e ancor più sul loro ruolo nelle patologie di tipo degenerativo, nel cui contesto sono stati spesso considerati poco più che semplici comparse di un dramma, al quale si pensa che contribuiscano, al massimo, attraverso alterazioni qualitative o quantitative della sintesi del collagene, fino all’epilogo di una eventuale fibrosi. Una maggiore conoscenza della biologia dei fibroblasti potrebbe sicuramente essere d’aiuto nello sviluppare strategie più efficaci e personalizzate di prevenzione e trattamento delle patologie. Iniziamo allora col dire che i fibroblasti di un dato tessuto differiscono tra loro in funzione dell’origine: infatti, se è accertato che la maggior parte di essi deriva dalla differenziazione di cellule mesenchimali primarie, in ben precisi contesti fisiopatologici, possono anche trarre origine dai fibrociti, cellule progenitrici del midollo osseo che migrano attraverso il sangue periferico in tessuti danneggiati, per ivi differenziarsi, appunto, in miofibroblasti e fibroblasti. Inoltre, i fibroblasti possono originare da cellule sia epiteliali sia endoteliali, attraverso processi di transizione, rispettivamente, epitelio-mesenchimale e endotelio-mesenchimale. A loro volta, i fibroblasti possono essere indotti, in vitro, a generare altri citotipi, quali, per esempio, i neuroni. Secondo punto: i fibroblasti differiscono tra loro anche per dimensioni, espressione di molecole di adesione, produzione di componenti della matrice extracellulare, fattori di crescita e proteasi e, infine, per la capacità di formare reticoli di collagene e modulare la risposta infiammatoria. Altre differenze sostanziali riguardano la distribuzione tissutale: insomma, i fibroblasti della pelle sono diversi dai fibroblasti dello stroma polmonare; nella stessa pelle, quelli del derma papillare sono completamente differenti, morfologicamente e funzionalmente, da quelli del derma reticolare. I primi, di dimensioni esigue e forma fusata, annidati in una sottile lamina di matrice extracellulare strutturata in maniera alquanto disordinata, si presentano come cellule molto attive, sotto il profilo metabolico, in grado di proliferare molto rapidamente. Quelli reticolari, invece, sono più grandi e di forma stellata, sono allocati in una più spessa matrice extracellulare, con fibre più compatte, ben organizzate, a decorso parallelo, ed esprimono una più bassa velocità replicativa. I fibroblasti papillari svolgerebbero un ruolo importante nella morfogenesi dell’epidermide, almeno in vitro, e nella promozione della vascolarizzazione, partecipando attivamente alla risposta immunitaria; quelli reticolari, invece, agevolerebbero la guarigione delle ferite, attraverso una riorganizzazione del citoscheletro e la modulazione della motilità cellulare. Da notare: in colture cellulari, è possibile uno switch dal fenotipo papillare a quello reticolare. Ma quello che appare più sorprendente è che in ciascun contesto stromale, lo stesso fibroblasto può esistere, alla stregua dei macrofagi residenti (M1 e M2), in almeno due diversi stati metabolici, ai quali corrispondono altrettanti fenotipi (F1 e F2) entro certi limiti inter-convertibili, in funzione del microambiente. Sarà il microambiente, infatti, a condizionare la qualità e l’efficienza del processo di riprogrammazione cellulare e, quindi, le prestazioni funzionali. E qui appare fondamentale parlare del micro-ambiente che può essere definito come l’insieme delle mutevoli caratteristiche fisico-chimiche alle quali è esposto il fibroblasto: radiazioni (esempio luce); temperatura/conducibilità termica; pH; pressione parziale di ossigeno e di anidride carbonica; potenziale di ossido-riduzione; livello di specifici metaboliti/molecole segnale; qualità/quantità di microvescicole, etc. Ciascuno di questi fattori può agire da ormetina scatenando una serie di eventi biochimici adattativi, le cui parole chiave sono: fattori di trascrizione, vie di segnale, cell-training, etc. Tra le ormetine, sembra che la variazione della biodisponibilità di ossigeno sia quella determinante. In tale contesto, il fenotipo F1, che definiremmo aerobico-anti-infiammatorio, è quello che prevale in condizioni di normossia e, nonostante l’apparente stato di quiescenza, è invece caratterizzato da un’intensa attività metabolica, basata su un’efficiente asse glicolisi-ciclo di Krebs (necessario per la produzione di ATP) e su una vivace attività del ciclo dei pentosi. Tale via metabolica è essenziale per la sintesi dei nucleotidi e per la generazione di NADP ridotto, richiesto per i processi di biosintesi riduttiva e per la modulazione del sistema redox; molto importante sarebbe anche il metabolismo della glutammina. In tal modo, il fibroblasto può sostenere le funzioni di membrana, l’autofagia e il turnover della matrice extracellulare, pronto a virare verso il suo alter ego (F2) all’abbassarsi, appunto, della pressione parziale di ossigeno. A tal riguardo, in molte nicchie immunologiche (es. mucosa intestinale, centri germinativi dei follicoli linfonodali, midollare renale, etc.), l’ipossia è un fenomeno del tutto fisiologico. Stimolando l’espressione e l’attivazione del fattore inducibile dall’ipossia (HIF1alfa), essa consente alle cellule di far fronte alla ridotta biodisponibilità di ossigeno, attraverso un processo di riprogrammazione metabolica, che prevede l’aumento dei livelli di eritropoietina, lo sviluppo di una nuova rete vascolare, una maggiore espressione dei trasportatori di glucosio, etc. In altri contesti, e il caso potrebbe essere proprio quello delle patologie degenerative della pelle, l’ipossia cronica può risultare, invece, disastrosa. Infatti, al pari del macrofago tissutale M1, anche il fibroblasto di tipo I, sollecitato al massimo delle sue possibilità metaboliche aerobiche da ormetine fisiche, chimiche o biologiche, può consumare più o meno rapidamente l’ossigeno disponibile nel microambiente creando una nicchia di ipossia patologica: questo può essere sufficiente a promuovere il suo switch verso il fenotipo 2, che definiremmo anaerobico-pro-infiammatorio. A questo punto, all’ipossia farebbe seguito una serie di eventi che, attraverso la sequenza microacidosi – rilascio del ferro – attivazione della reazione di Fenton – scissione degli idroperossidi in radicali liberi estremamente reattivi, portano al di-stress ossidativo. Un fenomeno che è stato dimostrato realmente verificarsi nella quasi totalità delle patologie degenerative della pelle. A tutto ciò può fare eco una sovra-espressione del fattore inducibile dall’ipossia e, quindi, l’attivazione del fattore di trascrizione NfkB, il master regulator dell’infiammazione. Infine, con il passare degli anni, un fibroblasto può esprimere un terzo fenotipo, secretorio, associato alla senescenza, caratterizzato da una maggiore capacità di rilasciare citochine pro-infiammatorie e di generare fibrosi. Ecco, quindi, l’oxi-inflammaging che probabilmente è il vero motore patogenetico delle patologie degenerative della pelle, almeno nelle sue forme inveterate. L’augurio è che la ricerca sul reale ruolo biologico dei fibroblasti possa progredire con successo anche nel campo della cellulite, così da fornire le basi fisiopatologiche per soluzioni veramente efficaci, in linea con le aspettative di milioni di donne, vittime di questa multifattoriale, capricciosa condizione morbosa. Per ora restano aperte alcune domande: le comuni tecniche disponibili per alleviare la cellulite tengono sufficientemente conto del fenomeno dell’eterogeneità dei fibroblasti e, in particolare, del fenotipo metabolico espresso hic et nunc, nell’area da trattare? Potrebbe essere utile, prima dell’intervento, individuare le aree più sensibili al trattamento, per esempio, attraverso la misura della pressione parziale di ossigeno? Potrebbe avere senso modulare la funzione dei fibroblasti nella cellulite con le giuste ormetine, locali (biofotonica) o sistemiche (stile di vita, nutraceutici, farmaci)?

Bibliografia
Fibroblast pathology in inflammatory diseases. Wei K, Nguyen HN, Brenner MB.J Clin Invest. 2021
Fibroblast heterogeneity: implications for human disease. Lynch MD, Watt FM.J Clin Invest. 2018
Cardiac Fibroblast Diversity. Tallquist MD.Annu Rev Physiol. 2020
Fibroblast differentiation in wound healing and fibrosis. Darby IA, Hewitson TD.Int Rev Cytol. 2007
Fibroblast and Myofibroblast Subtypes: Single Cell Sequencing. Soliman H, Tung LW, Rossi FMV.Methods Mol Biol. 2021
Understanding Fibroblast Behavior in 3D Biomaterials. Woodley JP, Lambert DW, Asencio IO.Tissue Eng Part B Rev. 2022
Comprehensive Analysis of Fibroblast Activation Protein Expression in Interstitial Lung Diseases. Yang P, Luo Q, Wang X, Fang Q, Fu Z, Li J, Lai Y, Chen X, Xu X, Peng X, Hu K, Nie X, Liu S, Zhang J, Li J, Shen C, Gu Y, Liu J, Chen J, Zhong N, Su J.Am J Respir Crit Care Med. 2023
Fibroblast rejuvenation by mechanical reprogramming and redifferentiation.Roy B, Yuan L, Lee Y, Bharti A, Mitra A, Shivashankar GV.Proc Natl Acad Sci U S A. 2020
Endoneurial fibroblast-like cells. Richard L, Topilko P, Magy L, Decouvelaere AV, Charnay P, Funalot B, Vallat JM.J Neuropathol Exp Neurol. 2012
Fibroblast Memory in Development, Homeostasis and Disease. Kirk T, Ahmed A, Rognoni E.Cells. 2021