Il vero trattamento aminoacidico

E’ errato parlare di una dieta proteica quando si decide di risolvere eccessi adiposi ricorrendo a integratori che modificano il metabolismo

Prof. Maurizio Ceccarelli,* Prof.ssa Natalia Ismailova** dr. Mario Marchetti*** dr. Massimiliano Marchetti****

L’integrazione proteica nella formulazione di particolari regimi dietetici ha ricevuto il riconoscimento delle organizzazioni scientifiche operanti nel settore della nutrizione. Oggi si parla spesso di dieta proteica per il trattamento rapido degli eccessi adiposi sino ad arrivare a termini coloriti quali liposuzione alimentare”. Da sempre il nostro gruppo scientifico ha preferito parlare di Trattamento Aminoacidico per non inquinare il termine dieta che nel suo significato etimologico deriva dal greco diaita che significa: vita, modo di vivere. Infatti il corretto modo di vivere o di alimentarsi non può e non deve rispecchiarsi in una dieta proteica che è caratterizzata da un notevole squilibrio nell’assunzione dei vari macronutrienti. Parlare, invece, di Trattamento indica un intervento medico, temporaneo, che ha come compito la soluzione di un problema e che in questo frangente può anche evidenziare risvolti non fisiologici. La Medicina Fisiologica si interessa del miglioramento dello stato di benessere del paziente e in questa sua operatività utilizza il Trattamento Aminoacidico in varie situazioni quali: l’eccesso adiposo generalizzato e localizzato; l’ottimizzazione del fabbisogno energetico dell’anziano. Si inizia a parlare di dieta proteica nel 1973 grazie a George L. Blackburn che propose una alternativa al digiuno assoluto, che implicando la sola assunzione di acqua, porta a una perdita di massa magra superiore alla perdita di quella grassa. Tale perdita avviene soprattutto a livello dei muscoli striati. Le fibre muscolari cardiache risentono di questa perdita con conseguenze anche mortali. Studi sul bilancio azotato mostrano che con il digiuno assoluto un adulto di 70 Kg perde in 10 giorni circa 2 Kg di tessuto muscolare. Tali considerazioni spinsero numerosi autori a cercare una dieta che desse un bilancio calorico negativo minimizzando la perdita di massa magra. Per questo era necessario modificare il digiuno assoluto con un’integrazione proteica. Bollinger nel 1966 provo’ ad aggiungere dell’albumina. Apfelbaunm nel 1970 addiziono’ caseina. Geunth e Verter nel 1974 aggiunsero del glucosio con della caseina. Baird e Howard nel 1975 mescolarono del glucosio con degli aminoacidi. Ma fu Blackburn che dimostro’ come una privazione calorica, con assenza d’idrati di carbonio, neutralizzasse l’effetto anabolico dell’insulina sul metabolismo dei grassi. Blackburn codifico’ la quantità esatta di proteine che bisognava assumere nel corso del digiuno per proteggere la massa nobile di un individuo, cioè da 1,2 a 1,5 gr per chilo di peso ideale. Nacque così la dieta proteica che permetteva la diminuzione della massa adiposa senza alterazione dell’equilibrio. In questa dieta, la diminuzione del glucosio con conseguente attivazione del catabolismo dei trigliceridi adipocitari porta a una notevole produzione di Acetil-CoA che, incapace di entrare completamente nel ciclo degli acidi carbossilici, interreaziona con se stesso dando luogo alla formazione dei corpi chetonici. Tra questi, l’acido b-idrossi-butirrico agisce a livello ipotalamico riducendo la sensazione della fame e dando tono ed euforia al paziente. Gli studi di Blackburn evidenziarono, inoltre, delle importanti novita’ sul metabolismo dei corpi chetonici. E in particolare, che questi possono fornire il 25% dell’energia richiesta dall’organismo; che facilitano l’utilizzazione degli acidi grassi liberi da parte del cervello che può trasformare la fonte energetica utilizzando per l’80% del suo metabolismo i corpi chetonici; che i corpi chetonici circolano liberamente nell’organismo fornendo energia, infatti non hanno bisogno di proteine vettrici e penetrano liberamente nelle membrane cellulari. Tutto questo porto’ alla diffusione rapida di questa particolare dieta dimagrante che consentiva una rapida mobilizzazione e metabolizzazione del grasso in eccesso. La diffusione in Italia di questo programma alimentare va riconosciuta al reparto di Nutrizione Clinica dell’Azienda Ospedaliera ”Moscati” di Avellino in cui si è sperimentato lungamente sia su pazienti ospedalizzati che ambulatoriali. Prima e durante la dieta i pazienti erano studiati sul piano antropometrico, cardiologico e sul piano ematochimico. In tutta la casistica iniziale riportata (oltre 500 pazienti) si aveva perdita di tessuto adiposo senza diminuzione di massa magra; tutti i parametri ematochimici rimanevano nella norma senza rilevare variazioni dell’uricosuria (uno dei pericoli del digiuno è la necrosi tubulare per acido urico), del pH ematico (l’eventuale acidosi iniziale da corpi chetonici era prontamente tamponata) o degli enzimi epatici (assenza di steatosi); anche il tracciato elettrocardiografico non rilevava variazioni. Di particolare interesse fu rilevare che la perdita di grasso avveniva principalmente nei distretti di adiposità localizzata in eccesso. Il nostro gruppo di studio (International Centre for Study And Research in Aestetic and Physiological Medicine) approfondi’ sul piano scientifico questi risultati per cercare di comprendere le cause del fenomeno. Nella formulazione finale della nostra teoria utile fu il lavoro di biologia molecolare di Loftus e Lane che nel 1997 dimostrarono come, sul piano genetico, l’insulina e gli estrogeni agiscono a livello della C/EBP e del PPAR attivando la trascriptasi per l’adipogenesi e come il GH agisca fosforilando il PPAR e inibendo l’adipogenesi. Da ciò noi affermammo che: il tessuto adiposo è un tessuto ad attivissimo metabolismo poichè in 3-4 settimane i trigliceridi intravacuolari vengono completamente disciolti e ricostituiti. Esistono, perciò, degli attivi sistemi enzimatici di costruzione (liposintesi) e dissoluzione (lipolisi) del grasso. Su questi sistemi enzimatici, nelle zone di adiposita’ localizzata, gli ormoni sessuali si inseriscono, principalmente attivando la liposintesi. In particolare il distretto trocanterico della donna è influenzato dagli ormoni estrogeni che stimolano l’adipogenesi, creando una riserva energetica naturale necessaria per fornire acidi grassi al momento della lattazione. Che il trattamento delle adiposita’ localizzate richiedeva normalmente un intervento specifico locale, perché un trattamento dietetico classico avrebbe mobilizzato il grasso dai distretti a normale metabolismo, lasciando quasi indenni le adiposita’ localizzate. Che una dieta capace di ridurre i tassi circolanti d’insulina e di aumentare i tassi ematici di GH avrebbe potuto essere utilizzata nel trattamento dietetico delle adiposita’ localizzate. La dieta proteica, o meglio il Trattamento Aminoacidico, venne inserito nei protocolli utili alla riduzione degli eccessi adiposi localizzati e i risultati clinici consentirono ad alcuni di pubblicizzare il trattamento con il termine di liposuzione alimentare. Nel 2007 nel reparto di Nutrizione Clinica del Policlinico Umberto I° di Roma, si ebbe l’intuizione di somministrare il trattamento nei grandi obesi solo sottoforma di integratore e mediante un sondino naso-gastrico collegato a una pompa continua. Cio’ portava 2 vantaggi: il mantenimento di un tasso aminoacidico costante, l’impedimento psicologico di alimentarsi per via orale per la presenza del sondino. Va infine ricordato, nella storia del trattamento aminoacidico, il suo uso per ottimizzare il fabbisogno energetico nell’anziano mediante l’incremento della termogenesi indotta dagli alimenti verificato nell’Ambulatorio Specialistico di Nutrizione Clinica e Disturbi Alimentari nell’Università degli Studi di Roma ”Tor Vergata”. Come si sa, il fabbisogno calorico quotidiano dipende da tre diversi componenti: il metabolismo basale, la TID o termogenesi indotta dagli alimenti (chiamata anche azione dinamico-specifica degli alimenti) e dall’attività fisica. La TID: rappresenta l’energia spesa dall’organismo per digerire, assorbire e utilizzare il cibo introdotto con la dieta. Il TID varia in base al tipo e alla quantità di macronutrienti. La TID dei grassi è dello 0-3%, quella dei carboidrati è 5-10% e quella delle proteine è il 10-30%. Ne consegue che una dieta ricca in proteine determina un aumento del dispendio calorico del paziente. Questo inserito nelle problematiche dell’anziano, che riduce con l’avanzare dell’età il suo fabbisogno energetico ma anche l’attivita’ fisica e l’assunzione proteica, consente di affermare che cicli di trattamento aminoacidico nell’anziano consentono di mantenere corretto il consumo energetico, di integrare la percentuale proteica della dieta e migliorare le performance fisiche e psichiche. Lo schema base del trattamento aminoacidico prevede: il calcolo della massa grassa, della magra e del fabbisogno energetico (effettuato con plicometria secondo Durnin e con equazione di Harrison Benedict corretta con i fattori di attivita’ e di stress); l’impostazione dello schema alimentare con somministrazione di un integratore proteico e/o degli alimenti proteici a scarso contenuto glicidico; l’integrazione con vitamine, minerali e oligoelementi (di particolare importanza la supplementazione del potassio); l’impostazione di una dieta ipocalorica classica (fabbisogno energetico ridotto di 1300 Kcal.) da seguire nell’intervallo tra i cicli del trattamento aminoacidico; controllo dei risultati con la plicometria (diminuzione della massa grassa e mantenimento della magra). Per il trattamento sistemico delle adiposita’ generalizzate e/o localizzate si esegue il trattamento aminoacidico per 3 settimane, somministrando il 50% del fabbisogno proteico con un integratore e il 50% con alimenti proteici a scarso contenuto glicidico e dividendo l’assunzione in 3 pasti giornalieri. Il trattamento è sempre integrato con vitamine, sali minerali, oligoelementi e potassio e con un congruo (almeno 500 grammi) apporto di verdure a scarso contenuto glicidico. Dopo le tre settimane si passa ad una dieta ipocalorica soggettivizzata per una perdita di 1 chilo di grasso la settimana, per due settimane. Poi si può riprendere il trattamento. L’interruzione è necessaria per mantenere alto il tasso di GH che tende ad appiattirsi dopo le 3 settimane. Per il trattamento di stimolo del fabbisogno energetico si esegue il trattamento aminoacidico per una settimana al mese per tre volte, sempre somministrando il 50% del fabbisogno proteico con un integratore e il 50% con proteine a scarso contenuto glicidico e dividendo l’assunzione in tre pasti giornalieri. Il trattamento è sempre integrato con vitamine, sali minerali, oligoelementi e potassio e con un congruo (almeno 500 grammi) apporto di verdure a scarso contenuto glicidico. Per il trattamento delle grandi obesita’ con l’uso del sondino naso-gastrico si esegue il trattamento aminoacidico per due/tre settimane, somministrando il 100% del fabbisogno proteico con un integratore. Il trattamento è sempre integrato con vitamine, sali minerali, oligoelementi e potassio, diluiti nella pompa erogatrice insieme alle proteine. E’ consigliabile interrompere il trattamento per due settimane passando a una dieta ipocalorica soggettivizzata per una perdita di 1 chilo di grasso la settimana. Poi si può riprendere il trattamento. Una particolare cura deve essere posta alla scelta dell’integratore proteico da inserire nel trattamento aminoacidico perché i numerosi prodotti presenti in commercio spesso non corrispondono alle particolarita’ richieste da un trattamento così delicato quale quello aminoacidico. Le caratteristiche di un integratore aminoacidico debbono rispondere ai seguenti requisiti: una giusta composizione aminoacidica che rispecchi le percentuali proposte da Meinster in Biochemestry of Aminoacid nel 1965 e necessarie per permettere una corretta sintesi proteica indispensabile a mantenere la massa magra in un regime altamente ipocalorico. (Istidina 7%, Isoleucina 15% , Leucina 20%, Lisina 16%, Metionina 7%, Fenilalanina 10%, Treonina 10%, Triptofano 5%, Valina 10%); una corretta preparazione industriale che non determini la perdita di aminoacidi. La tecnica più idonea è quella dell’ultrafiltrazione, questa non altera infatti la composizione aminoacidica e si evidenzia da un contenuto in sodio, del prodotto, inferiore allo 0,025%. In caso di contenuto in sodio maggiore, ciò indica una preparazione effettuata con precipitazione con idrossido di sodio, un processo che determina perdita di Triptofano e Fenilalanina. Perciò, in questa ultima situazione il prodotto deve indicare una ulteriore integrazione con questi aminoacidi; un ridotto contenuto glicidico. Il primo prodotto preparato realizzato prevedeva un tasso glicidico dello 0,2%; questo portava a una ridottissima palatabilita’ dell’integratore che determinava, spesso, la non assunzione da parte della paziente. Studi clinici più recenti hanno evidenziato che un tasso glicidico del 5% (corrispondente a 0,75 gr.) non determinava spostamento del valore insulinemico. Oggi, quindi, consigliamo un preparato con questo quantitativo glucidico (specialmente per la somministrazione orale) consentendo una più facile accettazione da parte del paziente; la presenza di potassio all’interno dell’integratore riduce la necessita’ di supplementare questo importante minerale riducendo i problemi che possono derivare dalla sua carenza durante il trattamento aminoacidico.

* Direttore Ae.Phy.Med.Centre, Docente di Medicina Estetica Università di Barcellona ** Spec. Dermatologia, Docente Accademia Statale di Medicina di S.Piertroburgo; *** PH.D., Direttore di Dipartimento Farmacologia Ageing Society; Dr. Massimiliano Marchetti, Dipartimento Farmacologia Ageing Society.