Quando a dare allergia è il cane maschio

Friendly dog smile, looking at camera. Playing in the public park

I cani, specialmente gli esemplari di sesso maschile producono ben sette proteine allergeniche ma una di queste può causare fastidi

Un vecchio adagio della tradizione popolare recita che il cane è il miglior amico dell’uomo. Nulla da eccepire, considerato che la convivenza fra questa specie animale e gli umani perdura da migliaia di anni e sembra destinata a durare nei secoli a venire. Pensate che secondo alcuni studi, il cane venne addomesticato addirittura alla fine dell’ultima glaciazione, circa 15mila anni fa. Nel nostro Paese sono tantissimi gli italiani che hanno un animale domestico (ben il 33% della popolazione secondo Eurispes) con una preferenza per i cani (62%). Eppure, c’è qualcosa che non può essere sottovalutato: l’allergia al cane colpisce fino al 15-20% della popolazione. Lo sanno bene gli allergologi che spesso si vedono costretti a informare i proprietari che il contatto con il proprio animale domestico andrebbe limitato, se non escluso, a causa di un allergene prostatico, chiamato Can f 5, che corrisponde a una proteina presente solo negli esemplari di canidi di sesso maschile. Una evidenza a cui si è giunti grazie ai continui progressi della diagnostica allergologica molecolare, che ha permesso di approfondire il profilo di sensibilizzazione allergica al cane, confermata da uno studio italiano condotto dall’allergologo Gennaro Liccardi, pubblicato qualche anno fa sul “The Journal of Allergy & Clinical Immunology in Practice”, una delle più importanti riviste al mondo di allergologia clinica. Liccardi e il suo team sono partiti probabilmente da una osservazione piuttosto comune: alcuni individui che risultano allergici agli epiteli e ai peli del cane non manifestano particolari sintomi pur stando a contatto con l’animale se quest’ultimo è di sesso femminile, mentre presentano invece i classici sintomi quali starnuti, naso che cola, arrossamento cutaneo, prurito e lacrimazione agli occhi e, in alcuni casi, anche tosse ed affanno, in presenza di esemplari maschili. Secondo le conoscenze attuali, il cane produce ben sette proteine allergeniche: le lipocaline Can f 1, 2, 4 e 6, e l’albumina sierica Can f 3, che si trovano principalmente nella saliva, nella forfora e nel pelo dove si deposito per leccamento. Ma a causare i sintomi suddetti, secondo gli autori dello studio, ne sarebbe una in particolare, denominata appunto Can f 5, una kallicrenia di origine prostatica che, come tale, viene prodotta solo degli esemplari di cane maschio trovandosi principalmente nelle urine ma anche negli estratti di peli e di forfora. Rappresenta l’equivalente dell’antigene prostatico umano e determina una sensibilizzazione nel 69,02% dei casi, con un 57,92% in cui l’allergia sarebbe legata esclusivamente a questo allergene. Questa scoperta apre diversi scenari, tanto nella ricerca di una terapia desensibilizzante al momento assente, sia nella prospettiva che, per la maggior parte delle persone con diagnosi certa di allergia esclusiva al cane maschio, potrebbe essere tollerato un cane femmina. Come ha infatti spiegato Liccardi, che è tra l’altro membro dell’Associazione Allergologi Immunologi Italiani Territoriali e Ospedalieri: “Il vantaggio di essere allergici solo all’antigene prostatico è quello di una maggiore tolleranza nei confronti dell’esemplare femmina e di essere meno sensibili agli allergeni che il cane condivide con altri mammiferi, come a esempio conigli, cavalli e criceti ecc. La maggior parte dei soggetti allergici al cane riconosce sia gli allergeni epiteliali che l’allergene prostatico. Lo svantaggio di essere allergici prevalentemente al Can f 5 è la scarsa efficacia dei vaccini antiallergici oggi disponibili, perché tutte le formulazioni in commercio contengono un mix di allergeni e non solo il Can f 5 come sarebbe auspicabile. Un altro svantaggio di tale condizione è il maggior rischio di sviluppare allergia al liquido seminale umano, l’antigene umano, infatti, è l’equivalente di quello del cane, con manifestazioni reattive locali e, talora, generali durante i rapporti sessuali non protetti. Non sono eventi molto frequenti, ma sono ben descritti in letteratura”. La ricerca coordinata da Liccardi ha visti coinvolti 14 Centri di allergologia italiani e 627 pazienti allergici solo al Can f 5, per i quali è emersa una forte associazione tra un alto livello di allergia al Can f 5 e il contatto con un cane maschio (86,3%). Al contrario, nei pazienti senza cani ma a contatto con animali di entrambi i sessi e nei possessori di esemplari femmine il grado di allergia è risultato modesto (intorno all’11,8%). Si evidenzia quindi come, a fronte di una documentata sensibilizzazione allergica e di sintomi dopo un contatto con un cane maschio, la misura più efficace da adottare, specie nel caso dei pazienti più giovani, sia l’adozione di procedure di profonda pulizia degli ambienti e l’allontanamento dell’animale. Si tratta, certo, di una misura, quest’ultima, estremamente dolorosa e forse poco comprensibile per i più piccoli che hanno difficoltà a rinunciare al proprio piccolo amico a quattro zampe. Per concludere: possedere un animale in presenza di una condizione allergica specifica, può costituire un rischio per la salute e soprattutto, non esistono razze in grado di produrre meno allergeni di altre, e i cosiddetti cani (o gatti) “ipoallergenici” sono solo un’invenzione.