di Danilo Panicali
Abbiamo intervistato il dr. Lorenzo Donato, primario del Reparto di Dermatologia dell’Ospedale San Giovanni di Dio di Crotone.
La crisi economica che ha investito il settore sanitario ha raggiunto nell’estremo Sud d’Italia i connotati di una vera emergenza. In Calabria specialmente, la chiusura di alcuni ospedali e l’accoglienza giornaliera soprattutto nei mesi più caldi, di decine di migliaia di immigrati ha portato il sistema molto vicino al collasso. In questa situazione per certi versi esasperante, le poche strutture rimaste in piedi, nonostante la carenza cronica di posti letto e la riduzione del personale, riescono tuttavia a sopravvivere, offrendo un servizio dignitoso al paziente che in alcuni casi si rivela addirittura d’eccellenza. È questo il caso dell’Ospedale Civile San Giovanni di Dio di Crotone. Dotato di 300 posti letto ma “assediato” giornalmente da circa 1500 “profughi del mare” il presidio vanta un efficiente reparto di dermatologia. A dirigerlo da circa dieci anni, il dott. Lorenzo Donato. dermatologo e venereologo, specializzato tra l’altro in malattie tropicali e già Presidente dell’annuale Congresso organizzato dall’Associazione Dermatologi della Magna Grecia nel 2009.
Dr. Donato, ci parli del reparto di dermatologia del San Giovanni di Dio
Il reparto nasce insieme all’Ospedale di Crotone ed è situato al quarto piano. L’Unità Operativa è diretta da me e comprende un altro medico, la Dr.ssa Anastasia Madia e tre infermiere. Al suo interno vi sono 6 stanze più alcune di servizi (spogliatoi, bagni, depositi di materiali). Vi è anche un ambulatorio per la cura della psoriasi a cui si accede tramite CUP, composto da due stanze e dotato dei macchinari per la Fototerapia e per la Fotodinamicoterapia (che però riguarda la cura dei tumori cutanei). Entrambe le stanze sono anche dotate dei lettini per la somministrazione dei farmaci biologici.
Quanta è alta l’incidenza della psoriasi nella sua provincia?
Volendo fare una stima, puramente indicativa, diciamo che ogni anno entrano in cura da noi circa 500/600 pazienti per la sola psoriasi. Un numero piuttosto alto che negli ultimi anni ha subito un incremento importante. È però molto complicato oggi fare questo genere di valutazione. Con la chiusura di altri ospedali della regione, come per esempio quello di Cariati Marina (CS), che aiutavano a smaltire il numero di malati, ormai riceviamo pazienti da tutto il territorio oltre ad avere fissi da noi un gran numero di extracomunitari, provenienti dai vari centri di accoglienza della Sicilia e della Calabria. Possiamo dire che ormai i confini del nostro territorio sono crollati e quindi anche il conteggio delle percentuali.
A cosa crede che sia dovuto l’aumento dei malati di psoriasi?
A mio parere dientro questo aumento non ci sono recondite cause naturali. Diciamo invece che l’interesse attorno alle nuove cure per la psoriasi negli ultimi tempi è aumentato a causa della introduzione delle terapie a base di farmaci biologici. A differenza di qualche anno fa, oggi si rivolgono a noi pazienti con tipologie di psoriasi che prima non venivano o si allontanavano. Per fare un esempio oggi vediamo più psoriasi palmo plantari che spesso venivano sottostimate o tutte le forme che non hanno evidenti manifestazioni cutanee.
Con la situazione di emergenza in cui si trova l’Ospedale, in che modo riuscite a gestire tutti i pazienti che vedete ogni giorno?
Guardi è piuttosto complesso ma ormai abbiamo creato una routine operativa decisamente funzionale che si rivela utile a gestire i momenti di massimo caos. Da segnalare però che il lavoro dei medici del reparto non si limita ai nostri pazienti ma comprende anche le consulenze che offriamo ogni volta che ce n’è bisogno al pronto soccorso e ai diversi reparti ospedalieri. Il nostro orario di lavoro ha così un inizio stabilito, alle ore 08:30 ma non una fine certa. Diciamo che smettiamo di lavorare quando finiscono i pazienti del giorno. In più, offriamo anche assistenza telefonica a quanti già si sono rivolti da noi in passato e abbisognano di consigli o chiarimenti. Volendo quantificare siamo attorno alle 10/12.000 prestazioni annuali. Naturalmente queste cifre ci hanno portato a creare dei protocolli con fogli di lavoro prestampati che velocizzano le normali procedure.
Avete adottato una unica filosofia di lavoro?
Certamente. Altrimenti non potremmo mai gestire l’affluenza di pazienti che abbiamo e ottenere i risultati che raggiungiamo.
La presenza di un gran numero di extra comunitari nell’ospedale ha creato una psicosi sui rischi di contagio verso malattie da tempo superate nel nostro paese?
Questa domanda è molto interessante. Sono sempre stato contrario agli allarmismi anche perché prendiamo tutte le precauzioni necessarie affinchè non si corrano rischi come quelli a cui ha accennato. Recentemente siamo stati coinvolti in uno studio con una vicina Università sulla Leishmaniosi il cui obiettivo è quello di stabilire se si sta assistendo alla nascita di nuovi ceppi di questa terribile malattia. E poi, la situazione viene costantemente monitorata: la Regione Calabria ha istituito quattro centri di cura per il morbo di Hansen e per la prevenzione della lebbra.
Tornando alla cura della psoriasi, quali sono i protocolli di cura che applicate?
Noi seguiamo i criteri standard: inizialmente, quindi, una terapia topica, poi sistemica o fototerapica e in seguito, se c’è un evidente danno articolare, utilizziamo i biologici. Naturalmente prima di quest’ultima soluzione sottoponiamo il paziente a una serie di esami che ci chiariscono se è il caso o meno di procedere in questo modo. Conduciamo quindi un serrato screening sierologico e strumentale applicando i protocolli più affidabili.
Che rapporto avete con il medico di base e con gli specialisti di altre branche della medicina?
Ci sono alti e bassi. Il medico di base dovrebbe essere un nostro alleato come primo sanitario ad accorgersi dell’insorgere della patologia, e quindi a consigliare al suo paziente di rivolgersi da noi. In alcuni casi, però, questo non avviene, probabilmente per supponenza. In altri casi invece c’è un’ottima collaborazione. Stesso discorso con gli altri professionisti.
In che modo l’informazione ha cambiato la vita dello psoriasico e come cercate di promuoverla?
La vita del paziente psoriasico è molto cambiata negli ultimi anni. Fino a un pò di tempo fa, chi era affetto da questa malattia e ne portava evidenti segni a livello cutaneo era visto con sospetto, quasi come un’aberrazione della natura. Si nascondeva e rinunciava di fatto a condurre una vita normale. Oggi grazie alle nuove cure e anche a una maggiore conoscenza della sua situazione, non viene più ghettizzato. È semplicemente un cittadio come tanti. Se penso a quanta strada è stata fatta in tal senso mi viene da sorridere perché mi tornano alla mente molti episodi che sono indicativi di questo “progresso”. Pensi, solo per raccontarne uno, che ho una paziente sotto terapia con i biologici che come una donna qualunque della sua età si è sposata mettendo su famiglia. Ebbene ogni 6 mesi rimane incinta costringendomi a interrompergli la somministrazione di farmaci per poi riprenderla. E quando le chiedo come va, mi risponde “dottò va bene, sto allattando! Se il bambino non dice niente…” è alla terza gravidanza adesso. Tornando alla sua domanda, oggi la comunicazione viene veicolata su più fronti. Da una parte in sede congressuale essa coinvolge i medici in prima persona stimolando nuove collaborazioni tra i professionisti. Io stesso organizzo diverse conferenze con i medici di base, 20-30 medici ogni anno, per cercare di coinvolgerli. Dall’altra si cerca di sensibilizzare la gente comune con vari progetti. Di recente ho partecipato a una interessante iniziativa nazionale che è stata però “personalizzata da ogni regione”. Sono stati realizzati dei cortometraggi didattici poi proiettati a Venezia, su tematiche differenti. Gli attori erano tutti medici. In quello a cui ho preso parte io, recitavo il ruolo di un malato di psoriasi e facevo capire allo spettatore il tipo di vita che conducevo ogni giorno.