La fotochemioterapia ha origini antiche e deve la sua efficacia alla reazione di alcune sostanze fotosensibilizzanti che mutano con la fotoesposizione
Molto spesso, la nostra presunzione di protagonisti di una scienza senza confini e al passo coi tempi, andrebbe riconsiderata. Prendiamo il caso della ben nota tecnica della fototerapia il cui fondamento consiste nella somministrazione di agenti fotosensibilizzanti che vengono attivati dall’esposione a una radiazione luminosa. Un tipo di terapia non invasiva che oggi consideriamo utile nel contrasto a batteri, funghi e virus, e cui si fa ricorso nel trattamento dell’acne e per trattare la degenerazione maculare legata all’età, la psoriasi, la vitiligine e vari tipi di tumori maligni. La cosa che dovremmo ricordare è che le sue prime applicazioni risalgono a migliaia di anni fa. Già nell’antica India e in Egitto, infatti, venivano utilizzate diverse piante, quali a esempio la Psoralea corylifolia L. e la Ammi majus L., nel trattamento di diverse problematiche cutanee. Anche nella medicina tradizionale cinese altre piante come l’Angelica dahurica, conosciuta con il nome di “BaiZhi”, o i frutti di Cnidium monnieri L., erano impiegati contemporaneamente all’esposizione ai raggi solari per lo stesso scopo. Attorno al 50 a. C., Dioscoride suggeriva l’utilizzo delle foglie di fico (Ficus carica L.) e del sole per la cura della vitiligine (Bowers, 1999). Al di là degli usi tradizionali, va però dato atto alla moderna ricerca di aver chiarito le proprietà di questi composti e i processi alla base delle reazioni fotobiologiche. In particolare lo studio si è concentrato sull’impiego degli psoraleni (una specifica classe di sostanze organiche naturali prodotte da alcune varietà di piante) e l’esposizione ai raggi ultravioletti UV-A (PUVA), nel trattamento del linfoma cutaneo a cellule T, della vitiligine e della psoriasi. Le ricerche condotte hanno nel tempo consentito di identificare la presenza dei vari principi attivi ad azione fotosensibilizzante. Il meccanismo di fotosensibilizzazione di tali molecole sembra essere legato alla capacità di interferire con il DNA formando ponti fra le sue coppie di filamenti. Gli psoraleni, a causa della loro struttura planare, si intercalano facilmente nel DNA, e questo consente una reazione di cicloaddizione promossa dalla radiazione UV tra le basi pirimidiniche (principalmente la timina) e l’anello furanico e pironico degli psoraleni. La radiazione UV attiva i doppi legami dello psoralene: quelli in posizione 3,4 reagiscono quindi con i doppi legami 5,6 della base pirimidinica di un filamento del DNA, mentre si verifica un’altra reazione fra i doppi legami 4’,5’ dell’anello furanico dello psoralene con la base pirimidinica del secondo filamento. Le due catene dell’acido nucleico vengono così legate covalentemente e questo inibisce la replicazione e la trascrizione del DNA, impedendo la sintesi di RNA e proteine e quindi la divisione cellulare. Lo psoralene è il capostipite della famiglia delle furanocumarine che in natura sono presenti soprattutto in piante che appartengono alle Apiaceae (Umbelliferae), come sedano, pastinaca e visnaga o ammi majus, ma sono comuni anche in piante appartenenti alle famiglie Asteraceae, Fabaceae (Leguminosae), Lamiaceae, Moraceae (quali il fico), Panacae, Rutaceae (come limone e bergamotto) e Solanaceae. è stato ipotizzato che le furanocumarine siano prodotte dalle piante principalmente come meccanismo di difesa dai predatori, e che possano agire non solo a livello del DNA, ma anche di altri target biologici quali proteine e lipidi. Queste sostanze organiche naturali provocano, infatti, la formazione di specie reattive dell’ossigeno, che danneggiano i substrati biologici, da ciò il rischio di effetti collaterali durante la PUVA. Recentemente l’attenzione dei ricercatori si è rivolta anche all’identificazione e allo studio dei prodotti formatisi dalla degradazione delle furanocumarine in seguito all’azione delle radiazioni, poiché è stato suggerito che tali molecole potrebbero possedere attività biologica. Per la loro capacità di interagire con il DNA, le furanocumarine sono state impiegate nello studio della struttura degli acidi nucleici ed è a loro riconosciuto anche un ruolo quali agenti antivirali, in particolar modo contro herpes simplex e il virus dell’immunodeficienza umana di tipo 1 (HIV-1). Infine, è stato dimostrato che le furanocumarine presentano anche attività farmacologiche indipendenti da quelle fotobiologiche, per la loro capacità di bloccare i canali del potassio (Veraldi et al., 2004). L’interazione con gli acidi nucleici fa impiegare la PUVA nel trattamento della psoriasi, non solo per gli effetti antiproliferativi sulle cellule cutanee, ma pure per l’azione sulla risposta immunitaria.