Prurito nel dializzato: costi, prospettive e speranze

Durante un recente convegno sono stati presentati i risultati di tre studi condotti coinvolgendo nefrologi, economisti e pazienti

Quello del prurito correlato all’insufficienza renale cronica è un tema poco trattato sulle riviste di medicina eppure si tratta di una problematica che, in realtà, afflige un gran numero di pazienti in dialisi. Secondo le stime più recenti, sarebbe infatti più della metà di loro (esattamente il 53,3% dei pazienti) a soffrirne con pesanti ripercussioni nella vita quotidiana, nella socializzazione e soprattutto nella sfera psichica. Vale la pena di ricordare, infatti, che questa forma di prurito è differente da quella cutanea “comune”. Esso appare infatti sistemico, grave, continuo. Colpisce prevamentemente la schiena e le gambe, creando uno stato di sofferenza cronica. Quando perdura nel tempo, è una tortura che rende più gravoso il sostenere un percorso di cura già di per se complesso come quello del dializzato e getta nello sconforto chi ne soffre. Pensate che il 75% di coloro che lo accusa pensa che non possa esistere alcun tipo di cura per alleviare la propria sofferenza, mentre il 78% accusa la ricerca medica di non profondere abbastanza impegno nel ricercare una soluzione o quanto meno un rimedio per rendere il fastidio più sopportabile. Anche con la finalità di stimolare la ricerca, oltre a quella di fare il punto sulla situazione attuale e futura della problematica, il 20 giugno scorso si è tenuto a Roma un incontro su questo tema, durante il quale si sono confrontati oggi clinici, associazioni di pazienti, infermieri e farmaco economisti. Nel corso dell’evento sono stati presentati i risultati di 3 interessanti survey che hanno visto coinvolti, rispettivamente, i nefrologi, i pazienti e gli infermieri. Grazie al supporto della SIN, Società Italiana di Nefrologia, ai nefrologi di 116 centri (di cui la metà con oltre 100 pazienti in dialisi) è stato presentato un questionario sul prurito correlato all’insufficienza renale cronica. Dai dati raccolti è emerso che l’87% dei nefrologi, ovvero la quasi totalità, non utilizza strumenti di valutazione per il prurito e di conseguenza non è in grado di poter maturare una corretta diagnosi; poiché non è previsto uno screening routinario per il prurito correlato all’insufficienza renale cronica, in quasi il 50% dei casi i nefrologi intervengono solo se il paziente riferisce il sintomo; l’80% di loro ricorre all’utilizzo di farmaci senza che ci sia uniformità nella gestione (si va dalle creme emollienti per ridurre la secchezza cutanea, ai cortisonici orali, alle gabapentine); l’85% ritiene necessario un nuovo trattamento per il prurito in dialisi, data l’assenza di farmaci con indicazione specifica. Come detto, l’indagine ha coinvolto anche i pazienti attraverso un questionario realizzato e distribuito dall’Associazione Nazionale Emodializzati (ANED), in 153 Centri di dialisi italiani, pubblici e privati. Dalle 1905 risposte raccolte si evince che il 53,3 % dei pazienti in trattamento dialitico cronico rifersce prurito segnalandolo come un sintomo continuo, intenso e impattante sulla qualità della vita; nel 40% dei casi il prurito influenza in maniera importante la vita quotidiana, limitando fortemente le relazioni con gli altri; il 17% di loro riferisce inoltre che il medico ha comunicato che è stato fatto tutto il possibile alla luce delle attuali conoscenze mediche. La metà dei pazienti riferisce poi che il prurito diventa più fastidioso di notte con ripercussioni, anche gravi. “Per avere un quadro chiaro della condizione di vita dei pazienti con prurito correlato a insufficienza renale cronica – ha commentato alla presentazione dei dati il Professor Antonio Santoro, del Comitato Scientifico ANED – abbiamo interrogato direttamente i pazienti e circa il 50% di loro, ci ha risposto che il prurito ha cambiato profondamente la loro qualità di vita. In particolare, il 30% dei pazienti con maggiore gravità del sintomo, riferisce che il prurito ha compromesso la loro vita sociale, il lavoro, e i loro affetti”. Effetti che hanno anche un costo, oltre che per il paziente, per il Servizio Sanitario Nazionale. Infatti, come spiegato da Francesco Saverio Mennini, Professore di Economia Sanitaria e Microeconomia, Università degli Studi di Roma Tor Vergata e Presidente SIHTA – Società Italiana di Health Technology Assessment: “L’impatto negativo sulla qualità della vita si traduce, dal punto di vista dei costi, in una perdita di produttività (dei pazienti e dei caregiver), in un incremento dei costi a carico del sistema previdenziale e sociale quale conseguenza delle disabilità correlate alla malattia nonché dei costi sanitari a carico diretto dei pazienti e dei caregiver. Non solo, comunque, costi indiretti, ma anche costi diretti sanitari. Questi pazienti, infatti, sono “costretti” a fare ricorso a farmaci che vanno a ridurre il problema psicologico conseguente la condizione morbosa che li caratterizza, andando a incrementare una voce di spesa a carico del SSN. Risulta quindi evidente l’importanza di andare a lavorare sulla comunicazione con il paziente e, in tal senso, il ruolo degli infermieri è determinante in termini di capacità di intercettarne il disagio”. Un ruolo che però può migliorare come dichiara Alessandro Pizzo, Vicepresidente SIAN, Società Italiana Infermieri area nefrologica “utilizzando un linguaggio comune, semplice, chiaro, empatico e al tempo stesso scientificamente coerente. Migliorando la qualità delle relazioni tra le persone affette da malattia renale cronica, i professionisti della salute e i loro caregiver, proprio a partire dalla parola – elemento chiave della relazione di cura – possono contribuire a creare un rapporto di assoluta fiducia per favorire un’efficace alleanza terapeutica”. Idee e visioni che lasciano intravedere una speranza legata a una diversa presa in carico del paziente, con l’augurio di arrivare presto a qualche terapia realmente efficace per trovare sollievo a chi purtroppo è costretto a vivere nella sofferenza.