Primo consulto col paziente: le parole da non usare

Al medico tricologo sono richiesti tatto, conoscenze di biologia, nutrizione e microbiotica. Qualche consiglio per un approccio più completo

del Dott. Andrea Marliani, Specialista in Dermatologia e Venereologia, Specialista in Endocrinologia; Presidente SITRI

L’approccio al paziente che si rivolge al medico tricologo per la perdita, reale o presunta, dei capelli è molto complesso e sicuramente richiede conoscenze professionali che vanno al di là di quelle richieste al singolo dermatologo o al chirurgo plastico. Se infatti questi ultimi, così come coloro che hanno acquisito competenze in materia con pubblicazioni o studi accademici (come un Master universitario in Scienze Tricologiche) oltre la laurea e la specializzazione, hanno le competenze necessarie per porre una diagnosi e avviare un percorso di cure, è anche vero che la presa in carico di un paziente tricologico, per essere realmente efficace, richiede anche conoscenze di psicologica, biologia molecolare, microbiotica e dietologia. In questa e nelle prossime pagine prenderemo allora in considerazione alcuni dei passaggi che fanno parte di una visita tricologica “completa” partendo dal primo incontro con il paziente e arrivando sino alle ultime acquisizioni sul microbioma cutaneo che si sta rivelando un campo di assoluto interesse per la terapia tricologica.
Primo appuntamento
Preferirei avere un cancro, così i medici si prenderebbero cura di me invece di deridermi”. Questa frase per quanto scioccante è una di quelle che il tricologo ascolta talvolta dal paziente che si rivolge alle sue competenze. Si tratta spesso di un soggetto fragile e, non raramente, già psichicamente provato. Talvolta si dice “disposto a tutto”, tanto da essere facile preda di falsi “centri tricologici” dove ci si approfitta proprio della debolezza caratteriale e della loro fragilità. Non dovremmo neppure meravigliarci se il “nostro” paziente deluso, dopo averci consultato, andrà a farsi “curare” da uno dei tanti “cosiddetti tricologi” che prolificano nelle nostre città e dovremmo essere pronti a comprenderlo quando, dopo qualche anno, lo rivedremo tornare da noi pentito e con molti meno capelli. Di tutto questo il medico deve tenere conto, con una sopportazione che spesso si vorrebbe indirizzare a migliore causa, misurando le parole e mai promettendo più di quello che non potrà poi mantenere, anzi promettendo di meno di quel che si pensa di poter dare. Dovremmo poi ricordarci di evitare termini fonte di grave turbamento, come “calvizie precoce”. Parleremo invece, più propriamente, di effluvio, defluvio, ipotrichia, alopecia. Il termine calvizie lo riserveremo a quello stato di alopecia irreversibile che comunque potrà sempre essere oggetto di cure, fosse anche solo con il consiglio di usare una parrucca ben fatta! Ciò detto, in presenza di una diffusa caduta di capelli il medico deve poter eseguire una corretta diagnosi basata su una dettagliata indagine anamnestica, su un accurato esame clinico, seguito da eventuali osservazioni microscopiche (se occorre anche mediante biopsia ed istologia) e da esami di laboratorio. Andando con ordine, il primo passo, come spesso avviene in dermatologia, e a differenza di quanto non si fa quasi più in medicina generale, potrà cominciare con l’esame obiettivo. Verificheremo se i capelli sono normali per quantità e qualità anche in relazione a età e sesso del soggetto che stiamo esaminando. Potremo così verificare se si è in presenza di un diradamento diffuso o localizzato dei capelli (ipotrichia) e se tale diradamento è stato o meno preceduto da assottigliamento evidente dei capelli. Dopo un parto, a esempio, si verifica un effluvio diffuso senza che i capelli si assottiglino (telogen effluvio post parto). Durante una dieta dimagrante squilibrata, con carenze proteiche, si può assistere invece a un assottigliamento dei capelli seguito poi da caduta di capelli in telogen con bulbi che appaiono al microscopio strozzati, come a clessidra. A questo punto si può procedere con un primo test, quello della carezza che consiste nel far scorrere la mano sopra il cuoio capelluto. Saranno piccole alterazioni, subito evidenti, a darci il primo orientamento. Potremo renderci conto di quanti sono i capelli corti e sottili “miniaturizzati”, se i capelli sono molto sottili, se sono sottili in toto o solo in zone particolari, se vi sono elementi fratturati etc. Si potrà grossolanamente determinare il rapporto fra capelli corti e sottili (miniaturizzati o displasici) e capelli normali. Un eccesso di capelli miniaturizzati indica un aumento dei telogen per riduzione del tempo di anagen (defluvio in telogen). Irregolarità di distribuzione dei capelli, ci farà porre diagnosi di ipotrichia o alopecia androgenetica. La rarefazione della zona fronto-parietale, la “stempiatura”, sarà diagnostico per una alopecia fronto-parietale maschile. Una alopecia areata, così come quella cicatriziale, sarà il più delle volte subito evidente. Una rarefazione su nuca e tempie, con risparmio del vertice orienterà verso un effluvio. I capelli fratturati, simili a barba ispida, faranno pensare a danni provocati da trattamenti cosmetici, a malformazioni del fusto, a una tricotillomania, a tigna, o diagnostici di una pseudo alopecia. Capelli assottigliati, ma non geneticamente e da sempre sottili, potranno far pensare a uno stato carenziale. L’osservazione potrà poi evidenziare la presenza di comuni disturbi dermatologici come pitiriasi, dermatite seborroica, psoriasi e anche cicatrici, atrofie, ustioni, infezioni, tumori etc. Subito dopo si eseguirà il pull test: esame che si compie scorrendo le dita fra i capelli e tirandone dolcemente una grossa ciocca. I capelli potranno staccarsi dal follicolo in numero: da 1 a 100 ed oltre. Se con la trazione si ottengono fra le dita 20-50-100 capelli, con i loro bulbi conservati, siamo probabilmente in presenza di un effluvio. Se la caduta dei capelli costituisce l’unico sintomo di calvizie incipiente, paradossalmente, tanto più è vistosa tanto meno corrisponde a un reale pericolo di calvizie. L’effluvio è infatti impressionante e comune, e la sua benignità rende ragione dell’apparente “efficacia” di tante “cure” irrazionali. Osservando poi i bulbi sarà facile distinguere un effluvio in telogen da uno in anagen. Nel primo, che può caratterizzarsi dalla caduta in telogen di centinaia o migliaia di capelli al giorno, si potrà osservare che i capelli caduti sono solo elementi telogen senza segni di involuzione. L’anamnesi ci farà distinguere un effluvio in telogen acuto da uno in telogen cronico. Il primo è un’onda di muta dovuta a un evento stressante (generico) che colpisce anche tutti gli anagen. L’effluvio in telogen cronico (durata superiore a 3 mesi) sarà invece dovuto a un evento “perturbante” ad andamento lungo o cronico che altera il ciclo del capello. Se invece i capelli si staccano con bulbi piccoli anageni, distrofici si parla di effluvio in anagen: probabile sinonimo di alopecia areata, talvolta esito di terapia citostatica, intossicazione acuta etc (l’anamnesi sarà dirimente). Se i capelli che si staccano alla trazione con i loro bulbi sono in numero modesto ma il paziente presenta ipotrichia o alopecia, siamo di sicuro in presenza di un defluvio: caduta per lo più modesta ma prognosticamente assai più grave per la progressiva ed irreversibile involuzione dell’annesso cutaneo verso il pelo vellus o della cute stessa verso uno stato cicatriziale. Se fra i capelli staccati notiamo la presenza di telogen miniaturizzati potremo porre diagnosi di defluvio in telogen di tipo maschile o defluvio androgenetico. Se i capelli che si staccano sono anagen che portano con sé la guaina epiteliale interna, indice di un danno a livello del clivaggio fra le guaine, porremo diagnosi di defluvio in anagen, ossia lopecia cicatriziale “dermatologica”: LED, lichen, pseudo area, follicolite decalvante etc. Se i capelli si staccano senza bulbi significa che si fratturano per malformazioni o parassitosi o maltrattamenti fisici e/o chimici. Il test della spiga è un altro test utile a evidenziare difetti della struttura cuticolare dei capelli, in genere dovuti ad agenti fisici o chimici o a fatti malformativi congeniti. Si fa ruotare e scorrere un capello sfregandolo tra pollice e indice: l’estremità prossimale del capello normale si allontana dalle dita mentre quella distale (bulbo) si avvicina per la posizione “a spiga” o “a tegolato” delle cellule della cuticola. Se le cellule cuticolari sono danneggiate o asportate questo non avviene. A questo punto sarà opportuno procedere con una serie di esami strumentali come la fotografia globale del cuoio capelluto; la videodermoscopia; il tricogramma in luce bianca e polarizzata; il mineralogramma per evidenziare carenze costitutive del capello.