Perché gli psoriasici cambiano le cure

Ci sono alcune caratteristiche degli unguenti topici che rendono la qualità della vita dei malati  ancora più dura: a partire dalla loro appicicosità

  di Giorgio Maggiore

In un precedente articolo abbiamo trattato un tema molto attuale nell’ambito della sanità e della sostenibilità della spesa sanitaria pubblica: l’aderenza al trattamento farmacologico, tra i pazienti affetti da patologie croniche. Abbiamo allora detto che essa arriva soltanto al 50%, causando serie conseguenze cliniche, psicosociali ed economiche. Soprattutto in questi tempi di crisi economica, bisogna quindi monitorare gli effetti positivi e negativi dei trattamenti, valutandoli anche in termini di compliance e di aderenza terapeutica. Nel primo caso come grado di coincidenza tra il comportamento di un soggetto che obbedisce ai consigli del suo medico e nel secondo come comportamento responsabile, dinamico e oggettivo, del paziente, fondato su una conoscenza della propria patologia, l’accettazione della terapia proposta dal medico, le sue potenzialità, i suoi limiti e gli eventuali problemi collaterali. La Psoriasi è probabilmente il miglior esempio di una scarsa aderenza alla terapia e quest’ultima è una delle più̀ importanti problematiche che ostacolano il raggiungimento di un risultato clinico apprezzabile. Si calcola, infatti che una percentuale che va dal 39% al 73% non è aderente alla terapia e non segue quindi adeguatamente la prescrizione farmacologica del proprio dermatologo, abbandonando la cura prima della fine del ciclo di trattamento (Bewley A., Page B.). Ciò porta inevitabilmente sia a una sfiducia nella medicina che a una costante ricerca del professionista “più bravo”. Ma quali sono i motivi per cui un paziente psoriasico sembra non avere pazienza e apparentemente mostra una minore aderenza terapeutica di altri malati? In primo luogo c’è la lunghezza della terapia che può protarsi per mesi, anni, fino ad apparire irrinunciabile e a tempo indefinito. Inoltre, l’alternanza fra periodi di remissione anche lunghi, e improvvisi episodi di riacutizzazione, porta a perdere la speranza che la patologia sia incurabile e quindi che i rischi legati alla tossicità e gli eventi collaterali avversi di alcuni farmaci siano ben superiori ai risultati ottenibili. Una serie importanti di motivazioni sono specificamente legate alle caratteristiche del farmaco utilizzato. Secondo uno studio di Fouéere S. et Al, il 29% dei pazienti rifiutano un farmaco se esso viene percepito come troppo appiccicoso e causa di macchie sui vestiti. Il 27% lo lascia se lo ritiene non efficace o perché pensa che esso si assorba troppo lentamente (26%). La mancanza di compliance è dovuta nel 15% dei casi alla convinzione che il farmaco causi irritazione o effetti collaterali, per il 13% alla difficoltà di applicazione, ma c’è anche chi lo rifiuta perché emana un cattivo odore (8%) o perché non ne apprezza la consistenza (6%). Sebbene oltre la metà dei medici ritenga che l’aderenza sia la principale sfida da affrontare per i pazienti psoriasici, loro stessi possono favorire una disaffezione del paziente nei riguardi delle cure se non riescono a spiegargli il percorso terapeutico complesso che la psoriasi prevede (Bewley A., Page B.). Non si viene così a determinare quella necessaria concordanza, che nasce attraverso l’alleanza terapeutica tra medico e paziente, tenendo conto delle esigenze di entrambi. A questo proposito, uno dei punti fondamentali che gli esperti segnalano, è il fatto che raramente i medici si interessano alle opinioni e alla percezione che il paziente nutre nei confronti del farmaco, cosa che invece può aumentare la compliance. Paradossalmente appaiono più attente al problema le aziende farmaceutiche che, nello sviluppo di nuovi farmaci con minori effetti collaterali, ricorrono a ricerche di mercato studiate ad hoc per analizzare e trarre vantaggio dalle esperienze dirette dei pazienti-consumatori. L’obiettivo è facilmente comprensibile: identificare formulazioni che migliorino la vita dei pazienti, siano più efficaci, richiedano minor frequenza di assunzione, e siano di più facile utilizzo. McCormack P.L. ha recentemente pubblicato una review su diverse cure proposte per la psoriasi concludendo che il successo di qualsiasi terapia non dipende solo dall’efficacia del trattamento ma anche dall’accettazione da parte del paziente e dalla sua aderenza alla terapia prescritta. A questo proposito oltre all’efficacia sui sintomi quali il prurito, la desquamazione e la secchezza che sono alcuni degli indicatori che necessariamente lo specialista deve prendere in assoluta considerazione nella scelta del farmaco da prescrivere, bisognerebbe anche tenere nella dovuta considerazione che esiste un impatto del trattamento stesso sul peso della psoriasi nella qualità della vita quotidiana dei pazienti, misurabile attraverso il tempo necessario all’applicazione del farmaco topico, il tempo di attesa prima di potersi vestire, l’accettabilità cosmetica, il numero dei lavaggi e la frequenza del cambio dei vestiti a causa dell’appiccicosità del prodotto. Difficilmente, purtroppo, questi indicatori entrano a far parte del processo decisionale che il medico compie e ciò contrasta con l’esigenza prioritaria di facilitare l’aderenza terapeutica sfruttando ogni possibile elemento in grado di facilitare l’utilizzo del farmaco. Nell’approccio alla psoriasi questo concetto sembra quindi cambiare in maniera decisiva il paradigma della cura, per cui oltre all’efficacia e alla tollerabilità, oggi andrebbe ricercato un altrettanto valido standard di accettazione, che garantisca un utilizzo regolare e continuo del farmaco topico prescritto.