di Giorgio Maggiore
Compliance, aderenza, concordanza e alleanza terapeutica. Modelli per spiegare come migliorare l’utilizzo dei farmaci e i risultati sperati
Nei Paesi occidentali l’aderenza al trattamento farmacologico, tra i pazienti affetti da patologie croniche, arriva soltanto al 50%, causando serie conseguenze cliniche, psicosociali ed economiche. Per questo promuovere l’aderenza terapeutica è un’esigenza importante, per la salute dei cittadini e anche per la sostenibilità del sistema sanitario e del Paese. È questo lo spirito del Manifesto presentato a fine gennaio in Senato, dal presidente della XII Commissione Igiene e Sanità, il senatore Antonio Tomassini, durante un Convegno promosso dall’Associazione Parlamentare per la Tutela e la Promozione del Diritto alla Prevenzione. È evidente come il tema sia estremamente attuale, e in tempi di crisi economica, rientri nel più generale bisogno di monitorare gli effetti positivi e negativi dei trattamenti, in modo da facilitare al massimo la sostenibilità delle scelte cliniche, l’ottimizzazione delle risorse economiche, sostenere i trattamenti innovativi, evitando sprechi di risorse del SSN. Va bene quindi, spendere alcune parole sui concetti di compliance e di aderenza terapeutica, che solo apparentemente appaiono come sinonimi. Compliance, infatti, e un termine che definisce il grado di coincidenza tra il comportamento di un soggetto e i consigli del suo medico e in termini generali implica un’asimmetria decisionale e quindi un’obbedienza passiva: con il paziente che accetta e segue la prescrizione medica. L’aderenza terapeutica, invece, considerata una esclusiva responsabilità del paziente, riflettendo un suo comportamento dinamico e oggettivo, fondato su una conoscenza della propria patologia, l’accettazione della terapia proposta dal medico, le sue potenzialità, i suoi limiti e gli eventuali problemi collaterali. In altre parole, il paziente accetta attivamente il progetto terapeutico e le raccomandazioni del suo medico. La scarsa aderenza alla terapia e uno dei piu importanti ostacoli per il raggiungimento del risultato clinico voluto ma negli anni ha ricevuto poca attenzione da parte della comunità medica che ha maturato l’idea che essa sia un’esclusiva responsabilità del paziente.
Secondo molti studiosi della Medicina basata sulle Evidenze, nelle malattie croniche circa un paziente su quattro non segue adeguatamente la prescrizione farmacologica indicatagli, in base a due modelli di comportamento: intenzionale e non intenzionale. Il primo corrisponde a una decisione consapevole di tipo razionale (si ritiene che i farmaci siano tossici, non efficaci, troppo costosi, ecc.) o irrazionale (risposta emotiva sia nei riguardi della malattia che del farmaco). Diversi i fattori che possono incidere: alcuni legati al paziente, altri alla malattia, alla terapia o al medico. Il paziente può mostrare una resistenza ad accettare la malattia che talora è interpretata come risultato della sfortuna, della fatalità o di ingiustizia; oppure può avere difficoltà a comprendere la necessita della terapia, specie se i sintomi sono minimi o assenti. La mancanza di fiducia nei confronti del medico porta in genere a una forma di nomadismo, alla ricerca del professionista più bravo. Rispetto alla malattia sia la compliance che l’aderenza diminuiscono nel caso di malattie croniche, in cui il farmaco va assunto per lunghi periodi e spesso in regime di politerapia; dopo i periodi di acutizzazione, quando il paziente si sente meglio e ciò lo incoraggia a non sottoporsi alle cure. Non si deve però pensare sempre a un fenomeno del “tutto o nulla”, ma puo invece includere diverse situazioni: errori nel dosaggio, errori nella frequenza di assunzione, omissioni parziali o totali della terapia per diversi periodi di tempo, completa interruzione del trattamento.
La terapia viene più facilmente abbandonata o dimenticata quando si temono eventi collaterali avversi, quanto più è complesso e routinario il trattamento. Senza ignorare che il sistema sanitario nazionale può influenzare l’aderenza in termini di offerta concreta di un farmaco costoso, suggerendo o imponendo modifiche alla terapia, con ripercussioni negative sulla corretta assunzione dei farmaci da parte del paziente. Anche i medici hanno delle responsabilità: minore aderenza si ha quando non si forniscono informazioni chiare, oppure esiste una scarsa relazione medico/paziente; quando la visita è rapida e non soddisfacente con il medico che non ascolta o manca di empatia. Numerosi studi hanno documentato come l’aderenza al trattamento farmacologico migliori nei 5 giorni precedenti e successivi la visita medica, rispetto a quella misurata nei 30 giorni successivi e come si correli con uno stile positivo ed empatico del rapporto medico-paziente. È evidente come la non aderenza alla terapia porti a una maggiore morbidità, a una perdita di efficacia, ad un aumento delle assenza dal lavoro o da scuola. Oltre al già ricordato nomadismo medico con visite mediche irregolari e non continuative, si ricorre poi sempre più all’auto-terapia con un crescente livello d’insuccessi, insoddisfazione e frustrazione. I pazienti maggiormente a rischio sono quelli in trattamento cronico, i bambini e gli anziani, chi è sottoposto a politerapie, chi non ha informazioni sufficienti o semplicemente ha più paura della propria condizione. Oggi si suggerisce di ricorrere a un terzo termine, concordanza, basato sul concetto che l’alleanza terapeutica tra medico e paziente e un processo di negoziazione, con pieno rispetto delle esigenze di entrambi. A maggior ragione in presenza di un soggetto anziano o con più patologie concomitanti, che necessitano della prescrizione di più farmaci. Ai fini, quindi, di aumentare l’aderenza alla terapia, bisognerebbe porre attenzione ai cosiddetti marker di non-aderenza, quali ad esempio appuntamenti mancati, l’assenza di risposta al trattamento, la mancata richiesta di rinnovamento della ricetta. Ma anche scoprire le opinioni e la percezione del paziente nei confronti del farmaco, fornendo informazioni chiare e semplificare, per quanto possibile, gli schemi terapeutici, coinvolgendo i familiari o gli amici del paziente, in modo che lo supportino e lo aiutino, prescrivendo formulazioni diverse del farmaco, che possano concorrere ad aumentare la compliance. In questo va quindi apprezzato l’impegno delle aziende farmaceutiche nello sviluppo di nuovi farmaci con minori effetti collaterali, che richiedano minor frequenza di assunzione, di più facile utilizzo.