PABA: significato e azione di un acronimo

di Maria Cristina Bonghina

Una sigla molto conosciuta sintetizza il nome completo dell’Acido para ammino benzoico, un coenzima da tempo utilizzato per diversi trattamenti.

Nella lingua inglese il ricorso agli acronimi è molto più diffuso che nella lingua italiana. Probabilmente per un bisogno di sintesi, non è raro infatti che nelle scienze e in medicina ci si confronti con una serie di sigle formate con le lettere o le sillabe iniziali o finali di parole, leggibili come se fossero un’unica parola. Questo fenomeno linguistico è abbastanza recente ma solo negli ultimi anni ha trovato una certa accettazione da parte degli italiani che oggi usano quotidianamente acronimi specie in riferimento a partiti politici, enti, grandi aziende e, sfortunatamente, tasse sulla casa, sui rifiuti, sul lavoro. Nelle lingue anglosassoni, però, l’uso e la pronuncia degli acronimi è più sofisticato di quello fatto nell’italiano e questo avviene principalmente nell’ambito della farmacologia e delle scienze biologiche.566_1Prendiamo a esempio l’acronimo PABA, molto diffuso anche da noi in ambito terapeutico. Un biochimico inglese o americano capirebbe subito che ci si riferisce al Para-aminobenzoic acid (4 Acido amminobenzoico), un amminoacido, e più precisamente a uno dei tre isomeri degli acidi amminobenzoici. Per noi invece le cose si complicano perché, visto che il PABA viene prodotto da batteri benefici nell’intestino e riesce a stimolare la crescita della flora batterica intestinale che sintetizza l’acido folico (vit. B9) che a sua volta contribuisce alla formazione dell’acido pantotenico (vit.B5), questa molecola è anche conosciuta e chiamata Vit. R o B10 o H1. Cominciamo quindi col chiarire che si tratta di un modo di identificarla errato perché l’acido para-aminobenzoico non è assolutamente una vitamina idrosolubile del complesso B, anche se è vero che è ad esso strettamente legata, ma svolge principalmente la funzione di coenzima. Il suo fabbisogno quotidiano per l’uomo non è stato ancora stabilito (si pensa che ammonti a circa 20/30mg/die), ma oggi sappiamo con certezza che il PABA viene sintetizzato da alcuni batteri intestinali, anche se la sua maggiore fonte è l’alimentazione: cavoli, patate, arachidi, germe di grano, legumi verdi, lattuga, pomodori e funghi; ma soprattutto cereali integrali, il lievito di birra, il fegato, i reni e la melassa. Un suo eventuale eccesso viene immagazzinato nei tessuti, mentre una assunzione di dosi massicce (oltre 8 grammi/die) può provocare anoressia, nausea, diarrea, vomito, febbre ed eruzioni cutanee. Pur non essendo un nutriente essenziale, la carenza di PABA può manifestarsi in seguito all’uso di sulfamidici, tipo il Bactrim, che agiscono contro i batteri intestinali che lo producono. I sintomi da carenza comprendono stanchezza, stitichezza e altri disturbi della digestione. Il primo tentativo terapeutico effettuato con il PABA risale al 1942 ed esso fu provato con un relativo successo su un campione di pazienti affetti da vitiligine (1). Il razionale di questo uso si fonda sull’importanza che l’acido para-aminobenzoico ha per il metabolismo proteico e a favore dell’efficacia dell’acido pantotenico (vit. B5). L’integrazione di PABA sulla cavia da laboratorio ha un notevole effetto antigrigio, ovvero è in grado di opporsi alla perdita di pigmento del pelo animale, e ciò spiegherebbe in parte il suo effetto nel contrastare la depigmentazione cutanea caratteristica della vitiligine. Come è noto una delle più accreditate ipotesi sull’eziologia di questa patologia è la teoria autoimmune, che si svilupperebbe a partire da una predisposizione genetica. Il risultato è che i melanociti vengono aggrediti e distrutti dal sistema immunitario, che non li riconosce più come parte dell’organismo, ma come qualcosa di estraneo da cui difendersi. Ciò ha spinto a immaginare un ricorso al PABA per promuovere la sintesi di melanina a partire dall’idrossifenilalanina (DOPA). Secondo alcuni ricercatori i risultati migliori si otterrebbero in quei casi in cui è accertata una carenza di vit C o di acido pantotenico, sia attraverso un trattamento locale o sistemico a base di PABA. Inoltre, in quanto capace di assorbire i raggi UVB (da 290 a 320nm) fin dal 1943, il PABA fu uno dei primi ingredienti a essere inserito a livello industriale in filtri, creme solari e prodotti (anche occhiali) da utilizzare nella prevenzione delle scottature da raggi solari. Ma la storia farmacologica di questo acronimo non finisce qui. Nell’arco degli ultimi 70 anni vari sono stati gli studi finalizzati a dimostrare i suoi effetti benefici su alcune malattie più o meno rare. Il PABA è stato infatti usato per la cura di alcune malattie parassitarie, incluso il tifo petecchiale delle Montagne Rocciose. Uno studio in doppio cieco della durata di un anno su 103 pazienti affetti dalla malattia di Peyronie, condizione che vede la formazione di placche fibrose a livello del pene, ha mostrato che l’uso di sale di potassio del PABA alla dose di 3g/4 x die, ha rallentato significativamente la progressione della patologia senza però riuscire a eliminare le placche preesistenti (2-3-4). Altra dermatopatia in cui è stato tentato l’approccio terapeutico a base di PABA è lo scleroderma. Uno studio in doppio cieco durato 4 mesi e condotto su 146 malati da molti anni non riuscì a raggiungere risultati significativi per un alto livello di abbandoni che resero l’analisi statistica non significativa. (5-6-7). Per finire, a livello aneddotico si sostiene che il PABA (200 mg/die) insieme all’acido folico può aumentare il livello degli estrogeni migliorando la capacità di concepimento in donne che avevano problemi di sterilità. Inoltre usato insieme alla vit. E allieverebbe di molto il dolore da ustione. Per finire, esiste anche un PABAtest in quanto la rilevazione del PABA nell’organismo è una importante tecnica diagnostica orale e diretta della funzionalità pancreatica esocrina. Il PABAtest misura l’attività enzimatica della chimotripsina su un substrato sintetico somministrato oralmente (N-benzoil-l-tirosil) vincolato al PABA. La chimotripsina scinde il substrato liberando PABA che, dopo essere stato assorbito a livello della mucosa intestinale e coniugato nelle cellule del fegato, viene filtrato dai reni ed escreto con le urine. In pratica, la quantità di PABA e/o dei suoi metaboliti nelle urine misura la presenza della chimotripsina secreta dal pancreas e riversata nell’intestino. Niente male per un “acronimo” che ha oltre ottanta anni di età.

Bibliografia
1)Sieve BJ. The clinical effects of a new B complex factor, para-aminobenzoic acid, on pigmentation and fertility. South Med Surg. 1942;104:135-139)
2)(Hasche-Klunder R. Treatment of Peyronie’s disease with para-aminobenzoacidic potassium [in German; English abstract]. Urologe A. 1978;17:224–247. 3) Carson CC. Potassium para-aminobenzoate for the treatment of Peyronie’s disease: is it effective? Tech Urol . 1997;3:135–139.
4) Ludwig G. Evaluation of conservative therapeutic approaches to Peyronie’s disease (fibrotic induration of the penis). Urol Int . 1991;47:236–239.)
5) Zarafonetis CJ, Dabich L, Skovronski JJ, et al. Retrospective studies in scleroderma: skin response to potassium para-aminobenzoate therapy. Clin Exp Rheumatol. 1988;6:261–268.
6) Zarafonetis CJ, Dabich L, Negri D, et al. Retrospective studies in scleroderma: effect of potassium para-aminobenzoate on survival. J Clin Epidemiol . 1988;41:193–205.
7) Clegg DO, Reading JC, Mayes MD. Comparison of aminobenzoate potassium and placebo in the treatment of scleroderma. J Rheumatol . 1994;21:105–110.