Lo sdoganamento dell’abbronzatura da parte di Chanel segna indirettamente l’inizio della ricerca sugli effetti del sole sulla pelle
In natura sono diverse le specie animali e vegetali la cui superficie esterna appare maculata. La distribuzione dei pigmenti, spesso disposti a formare particolari disegni, costituisce proprio uno degli elementi distintivi che servono a definire l’appartenenza a una specifica specie. Hanno la pelliccia macchiata il leopardo, il giaguaro, la pantera e tre iene appartenenti al genere lenidi (la iena maculata, la iena striata e la iena bruna), ma anche un particolare tipo di rinoceronte presenta una pelle cosparsa di macchie diffuse. La lince maculata è uno dei tre animali che Dante incontra nella selva oscura, simbolo, secondo le più comuni interpretazioni, della lussuria o dell’invidia. All’origine, l’essere umano cominciò a vestire pelli animali per la necessità di difendersi dal freddo e i capi maculati e pezzati assunsero presto una valenza sociale e spirituale. Solo a chi ricopriva funzioni importanti come i sacerdoti, i sovrani, i guerrieri, era concesso di indossare qualcosa che richiamasse la potenza animale. Molto più recentemente, tra l’800 e il ‘900, con la crescita di una ricca borghesia, le pellicce diventarono un abbigliamento con cui affermare la propria posizione economica privilegiata da parte delle persone più abbienti: più esotici gli animali da cui provenivano le pelli, maggiore il prestigio sociale. Il gusto per l’esotico e verso tutto ciò che ricordava il fascino segreto e misterioso dell’Africa, raggiunse il suo apice e la moda si diffuse presto anche fra le donne comuni. Qui il nostro racconto s’intreccia con l’inizio degli studi scientifici sulla colorazione della pelle umana, sul ruolo svolto dai raggi solari nel processo dell’aging cutaneo, sulla genetica e sulla fisiologia della melanina e delle discromie della pelle. Fino ad allora ci si accontentava di dire che nella specie umana, il colore della pelle, era diverso a seconda della razza, del gruppo etnico o della costituzione individuale, e che variava anche, nel singolo individuo, in rapporto alla regione corporea, all’esposizione al lavoro all’aperto, e, nella donna, all’eventuale stato di gravidanza. In patologia, la presenza di macchie cutanee era descritta come un fenomeno degenerativo della cellula per accumulo di pigmenti di origine endogena o esogena. Nell’antichità avere una pelle abbronzata indicava l’appartenenza a classi sociali più basse, più esposte ai raggi solari perché impiegate in lavori all’aperto. Nei paesi orientali una pelle chiara e senza macchie era simbolo di superiorità sociale. Fu la stilista Coco Chanel che, circa un secolo fa, trasformò l’abbronzatura in un fenomeno di massa e, inconsapevolmente, spinse la ricerca a indagare sul perché della formazione delle macchie solari. Gli studi sul DNA e sulle proteine cellulari dimostrarono una forte sensibilità alle radiazioni UV che furono riconosciute, negli anni, come causa di danni diretti a livello molecolare, della riduzione dell’ATP cellulare, della produzione di citochine infiammatorie e di immunosoppressione. L’attenzione degli scienziati si rivolse allora a capire i processi messi in atto dall’organismo per riparare i danni al DNA indotti dal sole, con l’identificazione dell’apparato enzimatico altamente specializzato che solo parzialmente riesce a compensare gli insulti molecolari, ostacolando e rallentando quelle modifiche sostanziali della fisiologia cellulare che, a lungo andare, determinano le mutazioni somatiche e l’invecchiamento cutaneo precoce. La produzione di melanina da parte dei melanociti è una delle risposte di difesa, fisiologica e non patologica, verso i raggi UV, e ciò ha permesso un diverso approccio nella prevenzione e nel trattamento delle macchie cutanee sul volto, uno degli inestetismi più frequenti in uomini e donne a partire dai cinquant’anni, un periodo in cui la cui cute manifesta già un ricambio cellulare più lento. L’esempio più esplicativo è quello delle lentigo solari, ben note e inestetiche chiazze di forma irregolare, di colore e di grandezza variabili, di natura benigna, che si formano sul viso e nelle zone più colpite dalle radiazioni luminose. Nello strato superficiale dell’epidermide sono causate da un’alterazione della melanogenesi, con l’aumento sia della stimolazione che dell’attività di produzione e accumulo di melanina. Oltre a rappresentare un problema estetico possono evolvere dando luogo a cheratosi seborroiche e pertanto si tende a trattarle (crioterapia, laser, peeling chimico e retinoidi che favoriscono il turnover delle cellule cutanee) mentre per la loro prevenzione, oltre a ridurre l’esposizione alla luce solare, si raccomanda l’utilizzo di protezioni solari (SPF 50). In conclusione, cosa hanno in comune lo stile animalier, che ricordava i mantelli maculati degli animali della savana, e l’abbronzatura? Entrambi devono il loro successo a due grandi personaggi della moda. Il primo a Christian Dior che, subito dopo la Seconda guerra mondiale, portò le stampe leopardate sulle passerelle dell’alta moda parigina, a disposizione di dive del cinema e dello spettacolo, ma anche di sofisticate first lady come Jackie Kennedy e perfino della Regina Elisabetta II. La seconda, alla già ricordata Coco Chanel, che aprì la strada a un diverso modo di vestire, in rapporto con il sole, d’estate e nelle vacanze all’aria aperta. Ugualmente, infine, entrambi questi fenomeni di costume, dopo l’enorme successo degli anni’80 del XX secolo, trovarono un rallentamento: lo stile animalier non fu più un segno di ostentazione sociale ma iniziò a rappresentare uno stile kitsch se non propriamente pacchiano; è andata un po’ meglio per l’abbronzatura, a cui la maggior parte delle persone non ha rinunciato, ma è stato rivisto il rapporto con la luce solare che, da fonte di salute e benessere viene oggi a essere considerata, a ragione, anche un fattore di rischio per la pelle.