del Dott. Ugo Citernesi
Le pazienti vogliono sapere il perché delle inestetiche macchie del proprio viso e oltre alle spiegazioni pretendono risultati non sempre facili.
In autunno, quando le vacanze sono ormai un ricordo, negli ambulatori medici aumentano le richieste d’intervento per rimediare a un inestetismo tipico del dopo estate: le macchie sul viso. Facile spiegare alle pazienti che, all’origine della formazione delle macchie solari, c’è un eccessivo accumulo di melanina, il pigmento responsabile, insieme a carotene ed emoglobina, del colore della pelle. Biochimicamente è noto che la melanina è prodotta dall’enzima tirosinasi a partire da un amminoacido, la tirosina, per effetto di un’ossidazione attivata dall’irradiazione ultravioletta (in particolare UVA).
La tirosinasi è un enzima, una perossidasi specifica per la tirosina che, attraverso vari passaggi, trasforma in melanina. Esistono diversi tipi di tirosinasi tipiche degli eucarioti, sono presenti sia in mammiferi e altri vertebrati che in funghi e insetti. Ovviamente ciascuna delle tipologie di tirosinasi ha una sua specificità e attività. Così ad esempio la tirosinasi è un enzima essenziale in larve di Tenebrio molitor per il passaggio di queste a pupa e adulto, con esoscheletro tipicamente nero per la presenza di tirosina.
Sempre la tirosinasi caratterizza l’Aspergillus niger, con micelio nero, e ancora la tirosinasi è responsabile della pelle nera e/o abbronzata dell’uomo. Tuttavia siamo di fronte a molecole che, pur avendo la stessa funzione, hanno una struttura simile ma non identica. È pertanto ovvio e logico supporre che l’attività di questi enzimi sia bloccata da specifici inibitori diversi fra loro. Così, ad esempio, l’acido Kogico è stato scoperto per la prima volta in Aspergilus pallidum, che si diversificava dal cugino niger per il micelio bianco anzichè nero. La melanina infatti non veniva prodotta a causa dell’inibizione della tirosinasi dovuta alla presenza di acido Kogico. Questa molecola, specifica sulla tirosinasi fungina, ha meno attività sulle tirosinasi umane. Nell’uomo tale meccanismo fa parte del sistema di autodifesa della pelle, la melanina è infatti un potente filtro solare, ed è quello che ci permette di abbronzarci. Quando però tale processo non avviene uniformemente su tutta la superficie del corpo esposta al sole, ma in maniera più intensa in alcuni punti, si verifica la comparsa delle antiestetiche macchie scure.
Da tempo sappiamo che tra le cause più comuni di questo tipo di iperpigmentazione, oltre all’esposizione solare, si ritrovano fattori ormonali (gravidanza, assunzione di contraccettivi orali), fattori genetici (che determinano per esempio le efelidi), la produzione di radicali liberi legata all’età o a disfunzioni metaboliche, l’uso di farmaci con azione fototossica o fotosensibilizzante. Esiste poi un altro tipo di macchie cutanee, che sono di natura ferrosa derivando da accumuli di emoglobina sulla pelle. Escluso quest’ultimo caso, che richiede l’utilizzo di prodotti a base di chelanti del ferro, i trattamenti dell’iperpigmentazione cutanea attualmente disponibili sono svariati e si possono ricondurre sostanzialmente a 2 tipologie: la riduzione attraverso peeling (chimico o meccanico) dello strato cheratinocitico coinvolto nell’iperpigmentazione; oppure l’inibizione della sintesi o dell’attività enzimatica della tirosinasi con apposite creme o gel. Superfluo dire che in tutti i casi, e soprattutto nelle ipercromie legate alla fotoesposizione, è fondamentale spiegare ai propri pazienti quanto sia importante la prevenzione, ovvero la fotoprotezione continuativa. Ciò significa proteggersi sempre perché, oltre che provenire dalla luce diretta del sole, la radiazione UV può essere anche indiretta in quanto riflessa da vari elementi dell’ambiente, quali la neve, l’acqua, la sabbia, l’erba, così come altre superfici solide, nubi e particolato atmosferico.
Prima di decidere il trattamento da adottare è bene considerare la profondità dell’accumulo di pigmento, le macchie infatti possono avere localizzazione dermica, epidermica o mista e più sono profonde più difficilmente scompariranno. Attualmente una delle soluzioni più efficaci è rappresentata dai depigmentanti con attività inibitrice della tirosinasi. Tra i principi attivi noti il più potente è l’idrochinone. L’uso cosmetico di questa molecola però non è più consentito nell’Unione Europea, a causa di problemi di sensibilizzazione legati a un utilizzo prolungato. Sono quindi stati ricercati altri principi attivi (derivati della liquirizia e sull’acido kogico) che potessero sostituire l’idrochinone. Recenti studi sull’arbutina, infine, hanno dato ottimi risultati. L’arbutina è una sostanza di origine naturale che si trova nelle foglie dell’Uva Ursina e nelle sommità fiorite dell’Erica e di altre Ericaceae. Si tratta di un glucoside idrochinonico e la sua attività si esplica quando, per idrolisi, libera idrochinone. L’arbutina può avere quindi un’efficacia pari a quella dell’idrochinone ma una tossicità molto ridotta.
Il potenziale tossico e irritante è ulteriormente diminuito quando l’arbutina è complessata in nanostrutture quali ad esempio quelle costituite da b –ciclo destrine. Le nano-strutture sono ottenute per via biologica per mezzo di un enzima di tipo glicosidasi ciclico capace di trasformare l’amido in destrine cicliche. Queste sono caratterizzate da una cavità al cui interno possono trovare rifugio macromolecole come l’arbutina e vitamine, assicurandosi protezione e un rilascio graduale nel tempo. Infatti, a differenza di altre nano-strutture, quali i liposomi, che hanno soprattutto la funzione di velocizzare e incrementare l’assorbimento cutaneo di principi attivi, le b-cilclo destrine regolano nel tempo il rilascio delle molecole incluse proteggendole da fattori esterni. Sono naturali e di origine vegetale. L’inclusione in questi sistemi ha soprattutto il risultato di incrementare l’efficacia del principio attivo in quanto ne consente il già ricordato rilascio graduale e controllato nel sito d’azione.