di Alessandra Moja
La percezione sociale della propria età dipende dalla cultura e dalle tradizioni di ogni paese. Ma negli ultimi anni le cose stanno rapidamente cambiando
“Non c’è niente di più impalpabile e di meno pesante del peso degli anni”. Un ritornello che un oscuro cantastorie popolare soleva cantare al suo pubblico, più di cent’anni fa, nelle campagne romane. Un auditorio che probabilmente era composto da uomini e donne che per la loro età anagrafica oggi considereremmo ancora giovani, ma che all’epoca erano già sul viale del tramonto. Alla fine del XIX secolo, infatti, la speranza di vita alla nascita, per uomini e donne, era rispettivamente di appena 42 e 43 anni. Un dato che è andato via crescendo, in particolare a favore delle donne, fino ai 76 e gli 82 anni di fine secolo scorso. E le statistiche dimostrano che l’Italia è il paese in cui è più alto il numero di anziani e centenari: sono oltre 11 milioni gli over 65, e per ogni bambino ci sono 3,4 nonni viventi. Tornando all’incipit di questo articolo si può dire che aumentando l’età è aumentato il peso degli anni? Come s’invecchia ai giorni nostri e, soprattutto, quando ci si comincia a sentire vecchi? è risaputo che quello che tutti si augurano è di trascorrere una lunga vita in piena forza e salute, riservando il minor tempo possibile all’inevitabile decadimento finale e alla malattia. Un modello di invecchiamento felice e di successo che è distante anni luce dalla realtà che tutti conosciamo e che è fatta anche da schiere di anziani disabili e dementi, male assistiti, la cui gestione sta mettendo in difficoltà i sistemi previdenziali e sanitari occidentali. Quello che è certamente vero che oggi si evidenzia una attenzione particolare a tutto ciò che permette di sperare in un rallentamento del processo dell’invecchiamento. è cresciuta la cosiddetta medicina anti-invecchiamento, quella che promette di aiutare i pazienti a sembrare e a sentirsi più giovani, sempre più spendono soldi alla ricerca dei cosiddetti elisir della giovinezza, a partire da preparati multivitaminici, estratti vegetali, per arrivare a prodotti farmacologici o ormonali. L’immagine che i demografi dipingono è quella di legioni di anziani longevi, pimpanti e fisicamente in forma, che convivono quotidianamente con tanti anziani affetti da problemi cronici – cardiopatie, cancro, artrite, osteoporosi, demenza – che la società è ancora poco preparata a gestire. Si calcola che oggi, un adulto trascorra in media circa il 10 % della sua vita ammalato. Nessuno sa spiegare perché il processo dell’ invecchiamento cutaneo si differenzi enormemente da individuo a individuo. Gli esperti pensano che per il 30% si tratti di influenze genetiche e per il 70% sia dovuto a fattori ambientali e nutrizionali. Secondo il prof. Claudio Franceschi, immunologo dell’Università di Bologna e direttore dell’Istituto nazionale dell’invecchiamento, che da anni studia i centenari, i fattori genetici assumono una maggiore importanza con l’avanzare dell’età: si verrebbe infatti a determinare uno stato infiammatorio cronico, o inflammaging, che si associa ad alti livelli di interleuchina 6 e Proteina C reattiva. Sarebbe questo il responsabile delle grandi malattie della vecchiaia, dal diabete, all’infarto, alla perdita di massa muscolare fino alla demenza. La più moderna gerontologia cerca di approfondire il significato e i meccanismi che governano il fenomeno dell’invecchiamento ed è giunta a identificare tre modi in cui esso si manifesta. Esiste una fascia della popolazione, circa il 10%, che vive con soddisfazione il cosiddetto successfull aging, caratterizzato da altissime prestazioni psicofisiche, sociali e relazionali. Piu’ ampia la popolazione del cosiddetto usual aging, traducibile come invecchiamento comune, e un più preoccupante invecchiamento patologico o fragile, gravato da malattie croniche e degenerative che spesso colpiscono più organi contemporaneamente. E questo spiega come è possibile che un settantenne possa avere una ottima qualità della vita e prestazioni fisiche e intellettuali molto superiori alla media. Ponendo a tutti noi un quesito cui, prima o poi, saremo costretti a rispondere: quando s’inizia a sentirsi vecchi? è difficile valutare un fenomeno così universale e allo stesso tempo così eterogeneo: se è facile riconoscere una persona che invecchia, osservandone i capelli canuti, la pelle rugosa o la schiena ricurva, definire quanto sia realmente anziana resta tuttora difficile. è infatti una percezione tutta individuale che può variare facilmente a seconda di numerosi fattori psicologici e sociali. Alcuni mesi fa, il settimanale Sette del Corriere della Sera, a firma di Luisa Pronzato, ha pubblicato una indagine condotta fra alcuni uomini e donne di scienza e di spettacolo cui veniva chiesto “quando inizia la vecchiaia?”. Ecco le risposte che ci sono sembrate più interessanti. Pessimista Gad Lerner : ”Alla mia età, a 50 anni, ci si avvia verso la vecchiaia, a 60 ci si è in pieno, e passati i 70 è raro che si mantengano lucidita’ ed efficienza. Bisogna evitare di scimmiottare atteggiamenti giovanili per prolungare la vita: evito di tingermi i capelli, di togliermi i nei come fanno i miei colleghi. Li trovo patetici”. Giovanni Sartori, noto politologo di 80 anni, ritiene invece che la nozione di vecchiaia sia elastica, perché nessuno sa a che età si diventa vecchi e forse non ha senso dare una cronologia alla vecchiaia. Per Margherita Hack: “finché il cervello non si incrina si è giovani. Il mio viso è sfiorito e porta i segni dell’età, se ne soffrissi sarei vecchia, siccome non me ne importa sono giovane”. Lino Jannuzzi, giornalista e senatore: ”Non ho bisogno di sentirmi giovanile. Sono un signore di 76 anni che che non si è mai posto la questione dell’età. Ho ancora una ventina di anni di tempo e molte cose da fare”. Esempi di un successfull aging si potrebbe dire, ma è pur vero che molto dipende anche da noi e imparare a invecchiare bene si può. Inoltre se per entrare nella maggiore età c’è uno specifico compleanno, per entrare nella vecchiaia si può sempre rimandare il giorno d’inizio.