Piante anticancro

dott.ssa Gabriella La Rovere

Una lettera ricevuta da internet stimola la riflessione sulle piante cui tradizionalmente vengono attribuite proprietà antineoplastiche presenti nei nostri orti o nelle foreste amazzoniche costituiscono una riserva di principi attivi da non trascurare che già danno risultati clinici certi in tante forme di neoplasie maligne.

Da anni mi occupo di medicina naturale e di piante medicamentose. Mi interessano le curiosità, le proprietà e virtù terapeutiche che posso trovare negli antichi erbari, nelle tradizioni e nelle leggende popolari. Spesso mi viene chiesto qual é la spinta iniziale che mi fa scrivere di alcune piante piuttosto che di altre, oppure perché decido di approfondire argomenti molto inusuali. La risposta é di una semplicità imbarazzante: é il caso. Può venir fuori dalla ricerca in rete su un particolare argomento, spesso completamente diverso da ciò che poi sarà oggetto del mio studio o, come in questo caso, essere stimolata da una domanda posta da un navigatore della rete che mi scrive al sito de La Pelle (www.lapelle.it).
Qualche giorno fa nella mia casella di posta elettronica ho ricevuto questa lettera: “Ho sentito parlare della Graviola o Annona Muricata, come pianta dell’Amazzonia che ha buoni risultati nella cura di vari cancri. Secondo lei é la solita bufala o vi é qualcosa di vero? Nel qual caso vale la pena di associarla alla chemio per migliorare o attenuare gli effetti collaterali? Gradirei un suo gentile parere. Grazie.”
Ed ecco aprirsi un mondo straordinario coinvolgente piante africane o della foresta amazzonica, attualmente oggetto di studio da parte dei ricercatori nella speranza di trovare il principio attivo più potente, gravato da minori effetti collaterali. Una ricerca Istat di qualche anno fa riportava come il 75% delle persone con diagnosi di cancro si affidasse alla medicina non ufficiale, soprattutto fitoterapia, per sfidare una malattia che ancora rappresenta la prima causa di morte. Può sembrare un comportamento sciocco, ma non va dimenticato che molti dei principi attivi che vengono utilizzati in medicina e in chemioterapia sono stati ricavati da piante. Mi riferisco a colchicina, vincristina, vinblastina ed etoposide, principi conosciuti da gran tempo per essere impiegati come veleni o farmaci, ancor prima che se ne conoscesse il meccanismo di azione. La colchicina é il primo antimitotico ad essere stato caratterizzato biologicamente. Si tratta dell’alcaloide derivato dal colchicum autunnale, pianta più nota come “fiore del mal di testa” o come “ammazzacane”.

Ne parlava già Dioscoride e nel passato é stata usata come veleno. Nel 1960 l’attenzione dei ricercatori si rivolse alla sua capacità di interferire con i meccanismi di divisione cellulare, andando a inibire l’attività della tubulina. Ne deriva la formazione di microtubuli anomali e quindi di un fuso mitotico non più in grado di portare a termine il processo di divisione cellulare: la cellula perciò muore nel corso della metafase. Alla famiglia delle Apocynaceae appartiene il genere Vinca. Comune nelle siepi e nei luoghi ombrosi, la Pervinca (Vinca minor) si caratterizza per fiori di colore blu-lilla che é possibile apprezzare da febbraio a giugno. Le foglie contengono la vincamina, che ha trovato larga applicazione nell’ipertensione e nella cura delle alterazioni circolatorie degli anziani. La Cantharantus rosea (Vinca rosea) é invece una pianta originaria del Magadascar che predilige luoghi assolati e caldi. Ha un’altezza di 30-50 cm, con foglie verde scuro, lucenti e fiori di colore rosa pallido con una macchia centrale porpora. In India il succo derivato dalla spremitura delle foglie veniva usato per trattare le punture di vespe. Nelle Hawaii la pianta veniva bollita in modo da ottenere una poltiglia che applicata topicamente, arrestava le emorragie. In Cina viene usata per l’effetto astringente, diuretico e come antitosse. Presso gli indigeni dell’America Centrale e Meridionale la pianta ha rappresentato un rimedio nella congestione polmonare, nelle infiammazioni della gola e nel diabete. Nel 1958 Lloyd Noble, per dimostrare l’attività ipoglicemizzante della pianta, si accorse che gli animali trattati presentavano granulocitopenia e depressione midollare.

Da qui le ricerche isolarono 4 alcaloidi (vincristina, vinblastina, vinleurosina, vinrosidina) efficaci contro i linfomi linfocitici del topo. Solo la vincristina e la vinblastina sono state sottoposte a estesi studi farmacologici e clinici e attualmente fanno parte del bagaglio terapeutico oncologico. Nonostante abbiano una struttura chimica diversa dalla colchicina, anche loro bloccano l’attività della tubulina, inducendo delle reazioni di polimerizzazione aberranti. Altro farmaco simile alla colchicina é l’etoposide, derivato dal Podophyllum peltatum, chiamato dagli anglosassoni May Apple in quanto i suoi frutti maturano nel mese di maggio.
Nel XVIII secolo questi frutti succosi venivano utilizzati come dissetanti, mentre pare che la radice velenosa fosse impiegata per suicidarsi.
Le proprietà catartiche del Podophyllum erano note da tempo e la pianta é stata usata per curare disturbi di vario tipo. Un trattato di farmacologia del 1787 lo definiva emetico. Presso le tribù indiane d’America il podofillo é stato usato come purgativo ed antielmintico, preferito alla gialappa, altro noto catartico, sia perché facilmente reperibile, sia per la sua efficacia a dosi inferiori.
La podophyllotoxina é il principio attivo estratto dal rizoma della pianta, da cui si ricava l’etoposide, attualmente impiegato per il trattamento di diversi tipi di cancro, soprattutto quello del polmone e dei testicoli. Questo composto arresta la crescita cellulare inibendo la DNA topoisomerasi II; quindi il suo meccanismo d’azione é diverso dalla colchicina. In questi ultimi anni la ricerca scientifica si é rivolta alla sintesi di altre podophyllotoxine.
Il Taxus brevifolia, più noto come tasso del Pacifico, é un albero piccolo, sempreverde, originario delle regioni nordoccidentali dell’America. É chiamato anche “albero della morte”, in quanto in molte culture era conosciuto per le proprietà venefiche. Il legame di quest’albero con gli inferi é testimoniato da Ovidio, secondo il quale la strada verso il mondo dei morti era fiancheggiata da queste piante. Giulio Cesare scrisse di Catuvolcus, re degli Eburones, che si avvelenò con il tasso in quanto ormai vecchio e non più in grado di far fronte a un’altra guerra. E in questo modo venne ucciso anche il padre di Amleto, come ci riferisce Shakespeare.

Plinio il Vecchio notò che molte persone morivano dopo aver bevuto del vino conservato in recipienti di tasso. Nella cultura celtica l’albero é sacro, tanto che molti oggetti di culto erano intagliati nel suo legno. Per Dioscoride, gli uomini che gli si avvicinavano erano colpiti da diarrea. Il tasso aveva un effetto così violento da essere nocivo persino a coloro che si coricavano sotto la sua ombra. Dalla sua corteccia é stato isolato il taxolo, alcaloide poco solubile in acqua, il cui meccanismo d’azione é unico. La maggior parte degli antimitotici, quali gli alcaloidi della vinca e la colchicina, depolimerizzano il fuso mitotico. In questo modo la cellula non é più in grado di dividersi. Con il taxolo la cellula non riesce a duplicarsi finché il farmaco é presente nell’organismo. Esso induce una sorta di cristallizzazione del fuso mitotico, impedendo la conclusione del processo di divisione cellulare. La sostanza é efficace i molti tumori refrattari, compresi quelli della testa, del collo, quelli a piccole cellule del polmone e può rallentare la progressione del melanoma. Attualmente sia per ragioni ecologiche, dovute alla minima quantità presente nella corteccia con la necessità di abbattere molti alberi, che per problemi tossicologici si é arrivati a ottenere tale principio attivo per semisintesi da un suo precursore naturale estraibile dalle foglie del Taxus baccata: il docetaxel. Questo derivato si dimostra molto efficace nel trattamento del cancro mammario metastatizzato resistente alle antracicline.
La steganotaenia araliacea é un piccolo albero deciduo, alto 2-7 metri, presente in Sudafrica, dai cui rami si estrae la staganacina, composto antimitotico simile alla colchicina.
Altro albero caratteristico della flora sudafricana é il Combretum coffrum, dalle cui radici é stata isolata la combrestatina. Questa sostanza agisce sui vasi sanguigni, riducendone il flusso, con un meccanismo d’azione differente dagli inibitori dell’angiogenesi. La combrestatina A4 intereagisce con i microtubuli che formano il citoscheletro delle cellule endoteliali. Quest’ultime cambiano di forma, diventando rotonde e interrompendo il flusso sanguigno nei capillari. Si riduce perciò l’apporto di nutrienti alle cellule cancerose, provocandone la morte.
E veniamo all’Annona muricata (graviola), punto di partenza di questo approfondimento, é un albero sempreverde, alto 5 – 6 metri, con grandi foglie verdi lucide. Cresce nelle regioni più calde del Sudamerica, compresa la foresta amazzonica. Tutte le parti della pianta vengono utilizzate in medicina naturale. Il frutto e il suo succo sono impiegati come vermifugo, antiparassitario, per la febbre, per favorire la lattazione e come astringente in caso di diarrea e dissenteria. La corteccia, le foglie e le radici sono considerati sedativi, antispasmodici e ipotensivi. La graviola ha una ricca storia nell’etnobotanica. Nelle Ande peruviane il té ricavato dalle foglie viene usato in caso di catarro, mentre i semi come antiparassitario. Nella foresta amazzonica peruviana la corteccia, le radici e le foglie sono usate per il diabete e come sedativo. In Brasile il té é indicato nei disturbi epatici, mentre l’olio essenziale, unito all’olio d’oliva, viene usato nelle artralgie e nei reumatismi. Le sue proprietà terapeutiche sono state oggetto di studio a partire dal 1940 e si é dimostrata un’attività antibatterica in vitro. Nel 1976 il programma di ricerca finanziata dal National Cancer Institute ha evidenziato una citotossicità nei confronti di cellule cancerose. Molti studi si sono focalizzati su un gruppo di sostanze, dette acetogenine, note per le proprietà insetticide e pesticide. Questi composti sono presenti nelle foglie, nella corteccia e nelle liane e sono potenti inibitori del sistema di trasporto degli elettroni mitocondriale (NADH). Recentemente si é visto che possono inibire la crescita delle cellule cancerose e dei tumori resistenti all’adriamicina. Nel numero di giugno di Cancer Letter, alcuni ricercatori della Purdue University hanno riportato che un’acetogenina, chiamata bullatacina, é in grado di agire sui tumori farmacoresistenti, bloccando la produzione dell’ATP. Incoraggiata da questi test di laboratorio, la Rain Tree Nutrition sta conducendo ulteriori ricerche, utilizzando sia la graviola da sola, che in associazione con 6 erbe dalle probabili proprietà anticancro: Mormodica charantia, Maytenus illicifolia, Physalis angolata, Scoparla dulcis, Guazuma ulmifolia e Uncaria tormentosa. Aspettiamo di saperne di più. Che gli scettici si convincano: il futuro della ricerca verrà dalle piante della foresta amazzonica, delle foreste pluviali del Sudamerica, del Sudafrica, ma anche del nostro orto.