di Andrea Bernardini
Per gli antichi la salute è uno stato armonico che può essere recuperato con l’aiuto della musica e del canto. Anche nel caso di malattie neuro degenerative gravi
Gli Egizi, 2.600 anni fa, utilizzavano canti magici per il trattamento della sterilità, dei dolori reumatici e delle punture di insetti. Nella Grecia classica suonare il flauto serviva a lenire il dolore di sciatica e di gotta. In tutte le culture dell’antichità, insomma, musica e medicina erano strettamente legate. Il “sacerdote medico” sapeva che il mondo era organizzato secondo principi musicali e che il ritmo e l’armonia dominavano la vita del cosmo. Gli antichi riconoscevano alla musica la capacità di esercitare un potere “incantatorio” sulla parte irrazionale dell’uomo e il dono di procurare benessere e ricostituire l’armonia perduta nei casi di malattia. Le vere e proprie ricerche scientifiche relative alle modificazioni fisiologiche indotte dalla musica (attraverso la misurazione dei suoi effetti riguardo alla respirazione, al ritmo cardiaco, alla circolazione e alla pressione sanguigna), però, risalgono solo alla metà del secolo scorso. Sull’onda di tali studi, nacque poi la musicoterapia (introdotta in Italia negli anni Settanta), il cui approccio è sempre stato quello di utilizzare la musica come mezzo non verbale di comunicazione ed espressione. “Il succo della musicoterapia – ha scritto Mauro Uberti – sta nell’influenza psicologica della musica, dei suoi influssi sul sistema nervoso e su tutto quanto può essere governato da questo. In altre parole, essa agisce sul sistema neurovegetativo e facilita la liberazione delle emozioni e delle risorse creative di ciascuno”. Ecco perché, aggiungiamo noi, l’uso della musicoterapia nella riabilitazione degli afasici rappresenta ormai una costante.
Ed ecco perché l’American Academy of Neurology, già nel 2001, la indicò come una tecnica fondamentale per migliorare le attività funzionali e ridurre i disturbi del comportamento del malato di Alzheimer (ciò è possibile grazie al fatto che la musica sembra rivelarsi una via d’accesso privilegiata per contattare il “cuore” dei malati che preservano intatte certe abilità e competenze musicali nonostante il deterioramento cognitivo dovuto alla malattia…).
Cantare come terapia
Attività quali cantare, suonare e ascoltare musica, dunque, vanno ad assumere un ruolo terapeutico significativo per quel che concerne alcune malattie. Come dimostra anche l’utilizzo di una terapia particolare, la cantoterapia, per la riabilitazione dei pazienti affetti da morbo di Parkinson (soltanto in Italia sono oltre 220mila), malattia che colpisce il sistema motorio e rende difficili le funzioni quotidiane più semplici. “La cantoterapia – spiega il professor Gianni Pezzoli, direttore del Centro Parkinson presso gli Istituti Clinici di Perfezionamento di Milano – è una forma di rieducazione vocale. Permette infatti di controllare i muscoli per l’emissione della voce, la pronuncia, il ritmo, l’intonazione e la velocità dell’eloquio. Nella nostra esperienza la terapia con il canto ha permesso di ristabilire la padronanza della voce e della parola in modo efficace e piacevole per il paziente. Indirettamente, inoltre, il canto permette al malato di entrare in contatto con il proprio corpo (inducendolo a un controllo dei tempi corporei – spesso scomposti – e aiutandolo nello svolgimento di azioni quali il mangiare e il vestirsi). Per esempio, la nota più grave consente di percepire le vibrazioni nel petto e nel ventre, mentre la nota più acuta quelle nel palato e nella fronte. Il paziente affetto da malattia di Parkinson riscopre così, grazie al canto, parti sconosciute del suo corpo”.
Le tecniche della cantoterapia
La voce del paziente parkinsoniano tende a degradarsi nel tempo e a presentare, variamente associate, caratteristiche come l’indebolimento del volume vocale fino alla non udibilità, l’affievolimento, la monotonia, la precipitazione, le ripetizioni incontrollate di parole e frasi, la disartria con pronuncia difettosa. La cantoterapia arriva a risolvere questi problemi attraverso l’applicazione di tutta una serie di tecniche: dall’interpretazione di brevi frasi con variazione dell’intensità e del volume all’intonazione per terze, quinte e ottave, su scale ascendenti e discendenti, di parole bisillabiche; dalla respirazione diaframmatica ripetuta per qualche minuto (seguita da emissione di vocali e vocalizzi) alla pronuncia intonata di brevi frasi con un andamento ritmico ascendente e discendente.
“Lo scopo che, grazie a queste e ad altre metodologie, ci prefiggiamo di conseguire – dice ancora il professor Pezzoli – è quello di portare il paziente a controllare manifestazioni come il flusso variabile, i silenzi inappropriati, le brevi precipitazioni e le imprecisioni delle consonanti. E i miglioramenti si possono riscontrare anche nel caso di ridotta accentuazione e per quanto riguarda l’intelligibilità globale”.
Ma, ci sembra giusto sottolinearlo, la cantoterapia ha anche un altro obiettivo: aiutare il paziente affetto da morbo di Parkinson – promuovendone la socializzazione, l’integrazione nell’ambiente, l’espressione dei sentimenti – a risolvere le conseguenze comportamentali di un eloquio difficoltoso (come la paura di affrontare gli altri).
Perchè, alla fine, ridare autostima, coraggio e allegria a chi sta male è importante quanto intervenire positivamente sulla sua capacità comunicativa.