Curare la depressione con gli animali

Pet therapy: depressione curata con gli animali

di Filippo Testa

Aneddoti curiosi e ricerche scientifiche per dare una base razionale alla pratica di utilizzare gli animali come strumenti per curare depressione e malattie

In ambito sanitario ci sono pratiche che diventano rapidamente popolari e, sebbene pochi ne conoscano le profonde motivazioni scientifiche, assumono un aspetto che va al di là della loro reale efficacia sfociando nel luogo comune se non nella moda. Con questa riflessione non se ne vuole negare la validità, ma solo segnalare che spesso nell’opinione pubblica prevalgono più gli aspetti pittoreschi che quelli scientifici. È il caso della clown-terapia o terapia del sorriso e, argomento di cui vogliamo parlare in questo articolo, della Pet therapy. Si tratta di una pratica terapeutica piuttosto nuova che prevede l’impiego di animali come supporto per migliorare la salute psico-fisica, curare la depressione e altre disturbi psicologici. La Pet Therapy è utilizzata anche nel campo della riabilitazione motoria, per persone portatrici di handicap, anziani, bambini e in tutti quei casi in cui è necessario assicurare benessere e miglioramento della qualità della vita. Si fa risalire la nascita di quella che all’origine fu chiamata Animal Therapy al 1953, quando il neuropsichiatra americano Boris Levinson notò che un bambino affetto da problemi di autismo aveva imparato a chiamare il suo cane e a relazionarsi con lui. Da allora durante gli incontri con i pazienti il cane divenne parte della cura come strumento utile ad aprire un canale di comunicazione con i pazienti psichiatrici. Da una esperienza aneddotica, in cui il terapeuta intuisce che lo speciale rapporto che lega uomo e il cane può potenzialmente aiutare l’attività terapeutica, non si può estrapolare una teoria e quindi passarono moltissimi anni prima che la medicina riconoscesse qualche valore all’ipotesi. Nel 1977 due psichiatri dell’Universita dell’Ohio; Sam e Elisabeth Corson decisero di condurre uno studio su 47 pazienti cui fu chiesto di scegliere un cane con l’obiettivo di valutare il miglioramento nella socializzazione, nell’indipendenza e nell’autostima.

I risultati positivi portarono al diffondersi degli aneddoti e delle potenzialità relative all’uso di un animale da compagnia, adeguatamente addestrato e coadiuvato da un’equipe medica, per superare stati di ansia, mancanza di affetto, stress e depressione, oltre a vari handicap fisici. Il primo ospedale che ammette questa pratica al proprio interno è a Melbourne, nel 1981, quando un cane di razza Golden Retriver fu fatto circolare in alcuni reparti determinando nei pazienti ricoverati interesse e ottimismo verso il futuro. Altre ricerche sulle interazioni uomo-animale hanno poi affermato che, nell’arco di 5 anni, chi possiede un animale fa circa il 20% di visite mediche in meno rispetto a chi non ne ha. Da uno studio pubblicato sul Journal of American Geriatric Society risulta inoltre che gli anziani possessori di animali da compagnia presenterebbero un maggior benessere sotto il profilo psicologico e una maggior capacità a svolgere le attività della vita quotidiana rispetto ai coetanei che non posseggono animali. Un articolo pubblicato dal British Journal of Health Psychology, a nome di Deborah Wells, ricercatrice alla Queen’s University di Belfast sostiene che chi ha un cane fa più movimento, in media tre passeggiate al giorno, qualche corsetta e momenti di gioco, in casa come all’aperto. Minuti di attività fisica che possono fare una grande differenza, in termini di livelli di colesterolo che sono in generale più bassi.

I benefici aumentano nel caso degli anziani che a causa del cane sono costretti a uscire e incontrare altre persone, ma si sentono anche impegnate a preparare un pasto per il proprio animale domestico. In conclusione, questi anziani organizzandosi e ricordando di prendersi cura del pet, si prendono più cura anche di loro stessi, sentendosi ancora attivi e utili. Altri studi hanno segnalato effetti favorevoli sotto il profilo cardiovascolare, come una riduzione della pressione arteriosa nei possessori di cani. Accarezzare cani e gatti avrebbe un effetto positivo sull’organismo contribuendo a regolarizzare il battito cardiaco, ad abbassare la pressione e, grazie al rilascio di endorfine, a diminuire lo stress. Per queste ragioni c’è chi suggerisce l’acquisto di un animale domestico come fosse un calmante naturale, senza controindicazioni ed effetti collaterali, ma il cane non è un farmaco ma un oggetto relazionale. È evidente che il ricorso a cani addestrati per l’accompagnamento dei non vedenti, rientra solo marginalmente nella pet therapy che, nel tempo, si è sviluppata attraverso diverse metodologie di lavoro che rientrano in due grandi categorie, le Terapie con l’ausilio di animali (Taa) e le Attività con ausilio di animali (Aaa). Le prime sono delle vere cure destinate a migliorare la salute del paziente, affiancando le terapie mediche e farmacologiche per disturbi comportamentali, cognitivi, psicologici o tendenze antisociali; le seconde sono invece consigliate per migliorare la qualità della vita, attraverso attività ludiche, ricreative ed educative, di chiunque si trovi in particolari condizioni di disagio psico-sociale perché l’interazione con l’animale, migliora l’umore, favorisce i contatti e la comunicazione interpersonale. In entrambi i casi però (Taa e Aaa), è necessaria la presenza di diverse figure professionali: medico, psicologo, infermiere, assistente sociale, addestratore e veterinario. La scelta dell’animale da affiancare varia da animali di piccola taglia quali cani, gatti, conigli, pesciolini, criceti e uccelli, e in alcuni casi, specie di handicap, si può ricorrere ai cavalli. Gli animali coinvolti nella pet therapy vengono spesso chiamati ”pet partner”, proprio per sottolinearne l’importanza all’interno del complesso quadro che porta alla guarigione o al miglioramento delle condizioni di vita del paziente.

In Italia la pet therapy arriva alla fine degli anni ‘80 e trova subito diversi estimatori, nel 1998 è fondata l’A.N.U.C.S. S. – Associazione Nazionale Utilizzo del Cane per Scopi Sociali – ma è solo nel 2003 che viene firmato un primo accordo all’interno della Conferenza Stato – Regioni sulla diffusione della Pet therapy come valido metodo per curare la depressione e altri disturbi psico-fisici. Attualmente però manca ancora una regolamentazione ufficiale e le prestazioni non sono riconosciute dal Sistema Sanitario Nazionale. Anche gli esempi di Ospedali e Case di Riposo che hanno adottato la metodologia sono episodici e sparsi un pò casualmente in tutto il nostro Paese. Si va dal reparto di pediatria dell’ospedale G.B. Grassi di Ostia dove i bambini vengono accolti alla presenza dei cani, per esorcizzare le loro difficoltà e paure. Nell’Istituto Geraitrico Cà Industria di Como, i ricoverati malati di Alzheimer sono invitati ad accarezzare e a spazzolare i cani, a porgergli piccoli bocconi, a camminare tenendoli al guinzaglio. Viene inoltre richiesto loro di rievocare possibili ricordi ed esperienze con animali e di rispondere a domande semplici, prevalentemente inerenti l’animale. I ricercatori riportano un marcato miglioramento dell’attenzione e dell’interazione tra i ricoverati, una riduzione dei disturbi comportamentali, un miglioramento del tono dell’umore e spesso un’interazione verbale pertinente al contesto. In particolare, è stato riscontrato un miglioramento statisticamente significativo nell’ambito del linguaggio. Sarebbe interessante poter spiegare con dati scientifici questi benefici indotti nei malati di Alzheimer dalla presenza di animali domestici, specie quando essi si manifestano come evidenti parametri comportamentali e cognitivi. L’ipotesi più verosimile è che nei pazienti dementi, il senso di solitudine e di abbandono, cui consegue quasi obbligatoriamente uno stato di depressione più o meno manifesto, è uno dei problemi assistenziali maggiori e il rapporto con un animale possa in parte interrompere questo circolo vizioso. Per adesso bisogna accontentarsi delle esperienze empiriche e riconoscere che la Pet Therapy, oltre ad aiutare a curare la depressione, può servire alla riabilitazione dei disabili, ai bambini autistici, e secondo alcuni, anche ai pazienti usciti dal coma.

L’ospedale di Tradate, in provincia di Varese, ha introdotto la compagnia dei cani per i bambini ricoverati, mentre presso l’U.O. di Oncologia di Macerata è attivo da tre anni un Servizio di Pet Therapy rivolto ai degenti in day hospital. È possibile che per i bambini avere un amico a quattro zampe aiuta a crescere, persino a studiare megliò Presso l’Università di Pisa è stata condotta un’indagine che ha dimostrato come la presenza di un cane in classe stimoli l’attenzione dei bambini e ne migliori la capacità di attenzione, inoltre, crescere assieme a un cane, ma anche a un gatto, instilla l’attenzione per il prossimo e per le sue esigenze e in generale il rispetto per le diversità. Aiuta poi a vincere la paura di ciò che non si conosce e a crescere curiosi e aperti al nuovo. Anche i genitori ne trarrebbero un vantaggio: accompagnare i figli e il cane aiuta a creare legami più profondi e, dicono alcuni entusiasti della pet therapy, a guarire più velocemente dai loro acciacchi e dalle malattie.