Il concetto di fotosensibilità è molto chiaro e non dà adito a dubbi. Si tratta infatti di una reazione anomala ed eccessiva della cute alla luce solare o ad altre sorgenti artificiali di raggi ultravioletti. Il problema nasce quando si prova a classificare l’ampio gruppo di patologie sistemiche che sono caratterizzate da questa sovrareazione alla luce naturale o artificiale. Clinicamente sono indicate come Fotodermatosi e una prima distinzione possibile è fra le forme che si presentano nell’infanzia (prurigo attinica, idroa vacciniforme) , o in altre specifiche fasce d’età (20-40 anni: dermatite polimorfa solare; uomini anziani: dermatite cronica attinica), e quelle che possono colpire in ogni epoca della vita (ustione, eritema solare, fotodermatiti da fotosensibilizzanti). Un’altra, separazione esiste fra le forme legate a effetti acuti della luce solare (eritema, ustioni, orticaria solare, dermatite polimorfa solare) e quelle provocate dagli effetti cronici della luce solare (photoaging, dermatite cronica attinica). Un altra categoria di fotodermatosi può essere definita come quella delle forme foto-influenzabili: in cui la condizione di fotosensibilità è associata a disturbi cutanei o sistemici come lupus eritematoso sistemico, herpes recidivante, pemfigo di Hailey, lichen planus attinico, dermatomiosite, porocheratosi, dermatite anulare attinico e porfiria. In questi casi, l’esposizione al sole è solo una causa aggravante della fotodermatosi. Continuiamo: a seconda dell’origine abbiamo le fotodermatosi che una volta erano classificate come idiopatiche ma per le quali ora è riconosciuta una patogenesi immunologica, e sono quindi classificate come forme autoimmuni, (dermatite polimorfa solare, orticaria solare, prurigo attinica, idroa vacciniforme, eruzione primaverile giovanile). Le genofotodermatosi sono invece quelle malattie nelle quali l’abnorme reazione alla luce è conseguenza di un difetto genetico (porfirie, sindromi di Bloom, di Cockayne, di Rothmund-Thomson, di Kindler, xeroderma pigmentoso, trichothiodistrofia, albinismo, fenilchetonuria). L’ultima e più ampia classificazione, infine, tende a distinguere le diverse manifestazioni cliniche in base all’azione diretta (eritema. ustione da sole, photoaging) o indiretta, ovvero mediata dalla presenza sulla cute di sostanze esogene pervenute per via sistemica o topica (danno origine ai meccanismi fototossico o fotoallergico) o endogene (accumulo sulla cute di porfirine, quadri da turbe del metabolismo del triptofano) fotosensibilizzanti. Dopo questa lunga ed esauriente premessa la cosa che inevitabilmente colpisce è che tutte le diverse condizioni descritte hanno in comune un unico, fondamentale, motivo scatenante: l’assorbimento delle radiazioni luminose. Esso può avvenire all’interno delle cellule cutanee da parte di una componente molecolare, oppure tramite una sostanza fotosensibilizzante penetrata per via topica o accumulatasi per via sistemica nella cute. (Mallory lo definisce, per entrambi i casi, come il presupposto fotochimico perché venga a verificarsi l’effetto fotobiologico. Non è superfluo ricordare che sulla terra giungono solo radiazioni (REM) non-ionizzanti la cui lunghezza d’onda (λ) è compresa fra i 290 e i 780nm. Al di sopra dei 400 nm e fino a 780 nm si trova la luce visibile (VIS) mentre nella gamma di radiazioni solari, al di sotto ci sono i raggi ultravioletti (290 – 400 nm) che si suddividono in corti (UVC 200-290 nm), medi (UVB 290-320 nm) e lunghi (UVA 320-400 nm). Quest’ultimi sono a loro volta differenziati in UVA1 (340-400 nm) e UVA2 (320-340 nm). Accurate ricerche di fotospettrometria hanno appurato che la proporzione delle radiazioni non-ionizzanti che impattano sulla cute umana è la seguente: 10% UV (di cui 0,5% UVB e 9,5% UVA), 40% VIS e 50% raggi Infrarossi, ma quelli che provocano la maggior parte degli effetti sulla cute sono gli ultravioletti. Per comprendere come ciò avvenga bisogna tener presente due regole: 1) l’impatto delle radiazioni UVB sull’epidermide è più forte perché esse hanno un’energia fotonica superiore di quella degli UVA, in quanto l’energia dei singoli fotoni è inversamente proporzionale alla loro lunghezza d’onda. Ciò spiega come mai, anche se quantitativamente più ridotti, gli UVB hanno un effetto acuto, superiore e più superficiale. 2) Al contrario le radiazioni UVA, hanno una capacità di penetrazione nel derma e nei tessuti più alta, in quanto essa è direttamente proporzionale alla lunghezza d’onda. Ne consegue che la luce visibile (VIS) penetra nella cute più in profondità degli UVA, che arrivano al derma, e ancor di più degli UVB (che rimangono nell’epidermide) e dei raggi infrarossi. Ricordiamo, che quest’ultimi sono onde elettromagnetiche invisibili all’occhio umano. la cui lunghezza d’onda è superiore ai 780 nm, valore che segna il passaggio dallo spettro della luce visibile (zona del rosso) a quello con le onde radio e le microonde (1.000.000 nm) e che una volta penetrati nel nostro organismo forniscono, sotto forma di energia, il calore necessario ai processi biologici, e, in ultima analisi al suo funzionamento. Alla luce di queste informazioni, in sintesi si può ritenere che: gli UVC sono in gran parte bloccati dall’ozono atmosferico, le radiazioni UVB sono eritematogene e quindi causano i danni diretti come le scottature, ma sono responsabili anche della fotosensibilità indiretta mediata da sostanze esogene ed endogene, e dell’esacerbazione delle fotodermatosi autoimmuni e delle genodermatosi. Le UVA, invece, sono la causa principale dei danni cronici tipici del fotoaging, e di alcune neoplasie cutanee. La luce visibile, generalmente considerata benefica per la pelle, in particolare per il metabolismo della vitamina D, è ora considerata in grado di causare lesioni a carico del DNA cellulare (Blue light) e può aggravare una particolare dermatite da contatto, la reticuloide attinica, provocata da un fotoallergene con meccanismo cellulo-mediato, che può creare qualche difficoltà nella diagnosi differenziale istologica con il Linfoma tipo Micosi fungoide. I raggi infrarossi, infine non sembrano svolgere alcuna azione nel processo del fotoinvecchiamento, ma possono causare invece il cosiddetto eritema ab igne, molto comune nella popolazione anziana che si scalda le gambe davanti ai camini o alle stufette elettriche. Interessante notare che a livello istologico il derma mostra una forma di degenerazione delle fibre elastiche e una displasia dell’epidermide molto simile a quella riscontrabile nella cute fotodanneggiata. Concludendo, il danno imputabile ai raggi solari dipende da due fattori: la dose di raggi UV assorbita e la protezione naturale (fototipo) ed esterna adottata.