Fra le diverse terapie utilizzate per trattare la vitiligine si sta affermando il ricorso alla fototerapia LED
E’ innegabile che la vitiligine, sebbene sia una malattia cronica, abbia una rilevanza clinica soprattutto per le sue importanti conseguenze estetiche, particolarmente gravi nei soggetti di carnagione scura. Ciò è reso ancor più grave dal fatto che, nella maggior parte dei casi, la patologia interessa zone esposte quali il volto (specialmente le zone periorifiziali), le dita e il dorso delle mani; anche se, ad essere colpiti sono anche le superfici flessorie dei polsi, i gomiti, le ginocchia, i piatti tibiali, le superficie dorsali delle caviglie, le ascelle, la regione inguinale e quella anogenitale, l’ombelico e i capezzoli, con un decorso clinico imprevisto. È ben noto, infatti, che le lesioni possono rimanere stabili o progredire lentamente per estensione e distribuzione nel corso della vita a causa di un loro accrescimento centrifugo e/o della comparsa di nuove lesioni. La progressione è più comune nei pazienti che hanno una storia familiare di vitiligine non segmentale, una maggiore durata della malattia, e coinvolgimento mucosale, ma il tasso di progressione nel singolo paziente non è comunque determinabile. In virtù del carattere cronico della patologia, il paziente è alla ricerca di un trattamento efficace e rapido ma allo stesso sicuro se perdurato nel tempo. Queste caratteristiche non sono sempre attribuibili a tutte le terapie attualmente disponibili. La maggior parte di esse chiede, oltre che molto tempo, pazienza e costanza. Inoltre è necessaria una strategia personalizzata i cui obiettivi dipendono dalla condizione individuale, e tendere alla stabilizzazione della malattia attiva e alla ripigmentazione delle chiazze. Nella consapevolezza che le risposte ai vari trattamenti (Fototerapia con UV A e B; immunosoppressori topici e sistemici come i cortisteroidi e gli inibitori della calcineurina) possono rallentare la progressione della vitiligine, stabilizzarne la depigmentazione e stimolare la ripigmentazione, sono per lo più lente e molto variabili tra i pazienti, e tra le diverse aree del corpo nello stesso paziente. È purtroppo così anche per il trattamento che più frequentemente viene utilizzato: la terapia con la luce ultravioletta (UV) (320-400 nm).
La fototerapia con luce UV richiede infatti trattamenti prolungati e l’esposizione continua ai raggi UV può provocare effetti di fotocarcinogenesi. Un altro approccio prevede l’utilizzo di laser (ad esempio eccimeri) anche in combinazione con trattamenti topici. Tuttavia, di più recente introduzione, e senza apparenti effetti collaterali, è la luce blu (400-500 nm) che, con uno spettro di circa 415 nm, molto vicina alla lunghezza d’onda dei raggi UV, si è mostrata efficace nel trattamento della vitiligine. La luce blu utilizza meccanismi diversi dall’UVB per indurre la ripigmentazione e, per questo motivo, è più sicura e non induce la carcinogenesi. Nello specifico, interagisce con una particolare opsina, Opsin-3 (OPN3): un fotorecettore presente sulla superficie melanocitaria che è altamente espresso nei melanociti epidermici umani (HEM). OPN3 è il sensore cruciale sui melanociti ed è responsabile dell’iperpigmentazione indotta dalle lunghezze d’onda più corte del vicino visibile. La melanogenesi stimolata da questo fotorecettore è calcio-dipendente e porta alla fosforilazione di MITF (Melanocytes Inducing Transcription Factor) e, infine, all’aumento degli enzimi della melanogenesi: tirosinasi e dopacromo tautomerasi. In questo modo, la luce blu induce la formazione di un complesso proteico formato da tali. Tale complesso multimerico tirosinasi/proteina indotta da tirosinasi si forma nei melanociti e induce un’attività tirosinasica più sostenuta. I dati raccolti in diversi studi mostrano come OPN3 e il complesso multimerico tirosinasi/proteina, indotta da tirosinasi dopo la loro attivazione, possano apparire come nuovi potenziali bersagli per la regolazione della melanogenesi. Inoltre diverse ricerche dimostrato come la luce blu sia ben tollerata e il trattamento che la utilizza possa indurre la ripigmentazione in pazienti di tutte le età e differenti fototipi, tramite un numero di sedute inferiore rispetto agli altri tipi di fototerapia e senza effetti collaterali rilevanti.
Articolo a cura dei Prof.i Giovanni Cannarozzo e Mario Sannino, Unità di Laserterapia, Clinica Dermatologica, Università tor Vergata, Roma Prof. Steven Paul Nisticò, Dottori Luigi Bennardo, Chiara Del Re, Dipartimento di Scienze della Salute – Università della Magna Grecia, Catanzaro Dott. Giuseppe Lodi, Clinica Dermatologica Università della Campania Vanvitelli, Napoli Dott. Vincenzo Marino, Masterclass di Laserterapia Dermatologica