di Maria Cristina Bonghina
Un nuovo concetto per definire una strategia volta a ridurre la formazione del tessuto adiposo che determina l’insorgere della cellulite edematosa.
La cosiddetta cellulite, in termini scientifici “Pannicolopatia edematofibrosclerotica” è uno dei problemi che maggiormente conduce all’ambulatorio di medicina estetica. È ormai convinzione comune che questo inestetismo abbia una causa multifattoriale, con una chiara predisposizione genetica, ma negli ultimi anni si è sempre più affermata una interpretazione metabolica che pone sul banco degli imputati una serie di alimenti e alterazioni energetiche nell’ambito della cellula dell’adipocita, che hanno come conseguenza l’innesco di un processo che porta anche per cause meccaniche all’istaurarsi della fase iniziale della patologia. È inoltre accertato che se l’attività fisica non è costante e soprattutto non viene accompagnata da una sana alimentazione, qualsiasi risultato ottenuto è destinato a durare pochissimo. Sotto accusa, quindi, gli alimenti cotti ad alte temperature, bevande e cibi ricchi di zuccheri raffinati che costituiscono la principale fonte di A.G.E.s, complessi molecolari formati da glucosio e proteine, in particolare il collagene, che rendono la cute rigida e fragile. È possibile ridurre il loro apporto con una dieta a basso contenuto di zuccheri, privilegiando cibi crudi o cotti al vapore, riducendo il consumo di bevande zuccherate e cibi industriali ma restano dubbi che solo la scelta di un particolare regime alimentare ristretto possa aiutare a evitare la progressione della cellulite, che rimane così uno dei più grandi crucci delle donne. Limitando infatti le porzioni di cibo a quelle strettamente necessarie, o almeno facendo attenzione alla loro qualità – preferendo quindi alimenti ricchi di acqua e fibre e poveri di grassi – si può certo ridurre il peso e le adiposità localizzate, ma i risultati sugli stadi già avanzati della cellulite, nella sua forma fibrosa e in quella più conosciuta come “a buccia d’arancia”, sono purtroppo drammaticamente scoraggianti. Ciò mette in luce una scomoda realtà: gli interventi più efficaci per combattere la cellulite sono quelli finalizzati a prevenirla, specie nella prima fase, quella edematosa, quando l’ingrandimento degli adipociti agisce sui capillari
del microcircolo,
danneggiandoli e ostacolando il drenaggio dei liquidi. La conseguente ritenzione idrica rende la pelle meno soda ed elastica ma fortunatamente non si sono ancora determinati a livello dermico quei processi infiammatori e fibrotici irreversibili che daranno luogo a noduli, arrossamenti, buchi e indurimento della cute. Partendo da questa ipotesi patogenetica, che vede proprio nell’aumento di volume degli adipociti e del tessuto adiposo le cause iniziali della cellulite, ogni possibile intervento si confronta con tre aspetti del problema: il primo riguarda i dermocosmetici che vantano un’azione diretta contro il grasso, ma che evidentemente devono essere in grado di arrivare in profondità, anche con l’aiuto di tecniche di massaggio che favorendo l’eliminazione delle adiposità agiscono indirettamente e in maniera meccanica su almeno una delle cause della cellulite edematosa. I prodotti migliori prevedono nella loro formulazione ingredienti che, in inglese, sono definiti transdermal penetration enhancers: ovvero sostanze, quale p.e. l’ethoxydiglycol, che consentono ai principi attivi di arrivare proprio dove servono oltre il derma. Il secondo punto ha a che fare con la netta distinzione fra il processo della Lipogenesi, che determina la formazione del grasso, e il meccanismo della Lipolisi che ne stimola la riduzione o ne re-impedisce la formazione dopo una perdita di peso. È solo così, infatti, che si può ricorrere ai principi attivi più adatti a quello che ci si prefigge di ottenere. Un brevissimo ricordo della biochimica dei due processi metabolici. Per Lipolisi (catabolismo lipidico) s’intende la scissione dei trigliceridi in 3 molecole di acidi grassi liberi (FFA) e una di glicerolo (o glicerina) mediata dalle lipasi ormonosensibili HSL, un processo che è invece inibito dall’insulina. La Lipolisi fisiologica continua finché c’è abbastanza ATP endogeno disponibile per produrre AMP ciclico (cAMP), poi però il processo rallenta e una piccola percentuale di acidi grassi vengono trattenuti dagli adipociti per formare nuovi trigliceridi nel tessuto adiposo, in un processo chiamato riesterificazione. Ciò rende autolimitante il meccanismo della lipolisi stimolata fisiologicamente; l’effetto lipolitico, cioè, è direttamente proporzionale ai livelli di cAMP all’interno della cellula adiposa. Diverso il risultato, in quella che viene definita Lipolisi Ultrastimolata Localizzata. In questo processo si sfrutta una molecola ancora poco nota, ma avvalorata da ampia letteratura scientifica internazionale, la Forskolina (che si ricava dalle radici di una pianta ornamentale: il Coleus forskoli). Questa sostanza naturale attiva direttamente e unicamente l’enzima Adenilato Ciclasi che consuma ATP e lo trasforma in cAMP, il quale stimola la Proteina Chinasi A che a sua volta fosforila e attiva la Lipasi Ormone Sensibile che degrada gli acidi grassi (immagine in basso). L’effetto viene massimizzato se si somministra in situ un’elevata quantità di ATP esogeno. Infine, per far sì che la concentrazione di cAMP rimanga elevata prolungando l’effetto nel tempo, si somministra della Caffeina (Trimetilxantina) che, inibendo l’enzima Fosfodiesterasi, rallenta la degradazione dell’cAMP, facendo procedere al massimo la Lipolisi. Vediamo ora come si può contrastare la Lipogenesi ovvero la sintesi degli acidi grassi che è alla base della formazione del tessuto adiposo. Gli amminoacidi e gli zuccheri assunti con il cibo vengono degradati attraverso la via glicolitica e la decarbossilazione ossidativa del piruvato, a produrre acetil-CoA che sotto l’azione dell’enzima ACC (Acetil CoACarbossilasi) si trasforma in Malonil Coenzima A e poi, con diversi passaggi enzimatici si arriva al palmitato, un acido grasso saturo a 16 atomi di carbonio, da cui derivano le differenti tipologie di acidi grassi. È chiaro che qualunque composto sia in grado di bloccare l’azione dell’ACC, inibisce fin dall’inizio la Lipogenesi, cioè la formazione ex-novo di depositi di grasso.