L’inesorabile processo di aging, al quale vanno incontro le diverse regioni del viso, rende evidenti i suoi effetti con caratteristiche specifiche. Se le rughe d’espressione coinvolgono soprattutto la fronte e il contorno occhi, e un progressivo “svuotamento” interessa guance e zigomi, la linea del mento e del collo deve invece fare i conti con la drastica caduta dei tessuti. I contorni del mento, della mandibola e del collo hanno un’importanza determinante nella percezione dell’armonia e della freschezza di un viso. Perché è proprio lì che l’invecchiamento cutaneo, assieme a quello strutturale di ossa e muscoli e all’impoverimento di tessuto adiposo, manifestano i propri ineluttabili effetti. E mentre la pelle perde la sua lucentezza, le fasce muscolari iniziano ad allungarsi, alcune strutture ossee a ingrandirsi, altre a perdere spessore (la mandibola e l’osso zigomatico) così come accade ai depositi di grasso che via via diminuiscono di volume. L’esito è un progressivo svuotamento del volto, il rilassamento e la ptosi dei tessuti che minano i tratti di un’area particolarmente delicata e delle più difficili da correggere. La regione del collo, poi, con la sua cute sottile e la scarsa quantità di tessuto adiposo, è destinata a mostrare precocemente tutta la sua vulnerabilità. Si dice, infatti, che il collo – in buona compagnia di mani, gomiti e ginocchia – sia uno dei primi distretti corporei a mostrare i segni del tempo che passa. Quest’area è sorretta e avvolta dal platisma, quel muscolo che si estende dalle clavicole al mento e che, negli anni, perde elasticità, diventa più sottile, si allunga, mostra gli antiestetici “cordoni” verticali e rivela impietosamente l’età anagrafica. Un fenomeno che spesso inizia prima del tempo. Se è indubbio che la Medicina Estetica si dimostra oggi un valido alleato nel venire in soccorso nel processo di aging del volto con metodiche conservative e tecnologie all’avanguardia, è pur vero che, in presenza di importanti lassità e cedimenti dei tessuti, l’intervento chirurgico detiene sempre un ruolo centrale. Dal canto suo, la chirurgia estetica continua la propria ricerca mettendo a punto strategie di intervento sempre più performanti, meno invasive e con tempi di recupero più rapidi per il ritorno alla vita sociale. Ne abbiamo parlato con il Prof. Gasperoni, Specialista in Chirurgia Plastica, già Professore di Chirurgia Estetica presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma e Docente del Master in Chirurgia della Faccia all’Università Tor Vergata di Roma.
Prof. Gasperoni, come è cambiato negli anni l’approccio chirurgico sul terzo inferiore del viso?
In passato, fino agli anni ‘70-’80, i lifting del volto venivano eseguiti praticando lo scollamento, la trazione e la rimozione della cute in eccesso. I risultati, però, non erano convincenti: la pelle scollata e distesa creava solo un effetto di “ viso tirato”. In seguito, con gli studi anatomici portati avanti sul platisma, la chirurgia si è spinta a intervenire anche su questo muscolo che veniva così sollevato e riposizionato. Una tecnica che, ovviamente, richiede una conoscenza puntuale dell’anatomia e l’acquisizione di un’abilità manuale impeccabile. Il punto è che sotto al platisma, innervato dal nervo facciale, decorrono anche i filamenti nervosi che si estendono verso i distretti della bocca e della guancia. Occorre, quindi, avere una buona conoscenza della posizione dei nervi per non correre il rischio di lesionarli. Questo procedimento, comunque, non presenta difficoltà nel caso di interventi primari. Diverso è, invece, il discorso se parliamo di reinterventi, perché l’anatomia avrà subito qualche modifica. Andare, quindi, a scoprire i nervi, senza sapere se in precedenza siano stati rispettati i piani chirurgici, può costituire un’incognita. Anche in mani esperte. Ecco che, a quel punto, la chirurgia plastica si è indirizzata verso approcci meno rischiosi, per non incorrere in complicanze a livello nervoso. In buona sostanza, la scelta di non andare più a intervenire sotto la muscolatura – e quindi nel piano dei nervi – equivaleva a un ritorno alla mini invasività. Si è arrivati, così, ad adottare tecniche che consentano di intervenire solo sulla superficie della fascia muscolare, effettuando delle plicature che ripiegano il muscolo su se stesso. Una metodica, ormai molto in voga, che permette di ottenere lo stesso risultato ma senza andare in profondità.
Pro e contro di questa metodologia?
Quando si va ad agire mettendo in tensione la muscolatura del volto, anche con la tecnica sottomuscolare, si può eseguire un bel lifting. Anzi, lì per lì si ottiene un effetto strepitoso! Tuttavia, a distanza di qualche mese, la pelle tenderà ad allentarsi e anche il muscolo inizierà a cedere. Insomma, si va a risollevare tessuti che presentano ormai una graduale perdita di tono e non rispondono più in modo adeguato. In particolare nella regione del collo, sul quale riappariranno quei solchi verticali. Il rischio, insomma, è un risultato non soddisfacente. Dal canto mio, grazie all’esperienza maturata in tanti anni di professione, sono arrivato a mettere a punto una tecnica di plicatura per fronteggiare in modo ancora più incisivo la migrazione verso il basso dei tessuti molli.
Di cosa si tratta?
è una procedura che si avvale ancora di una plicatura della fascia muscolare sulla sua superficie esterna, ma intende contrastare ulteriormente la forza di gravità. Semplificando, dopo l’apposizione di punti di sutura posti in senso verticale per piegare il muscolo e farlo risalire verso l’alto, si pensa a rendere il platisma più “consistente” mettendo una serie di punti anche nella regione sottomentoniera al fine di ottenere una migliore definizione dell’angolo cervico-facciale. L’inserimento di tutti questi punti sulla superficie del muscolo determinerà, naturalmente, un trauma che porterà alla formazione di tessuto connettivo fibroso. Proprio queste piccole zone di fibrosi saranno in grado di ridare consistenza e compattezza al tessuto muscolare. La metodica consente di intervenire, in particolare nell’area del collo-mento, in maniera meno aggressiva ma, allo stesso tempo, più efficace. Inoltre, ha dato modo di raggiungere risultati più stabili e duraturi.
Si ritorna al concetto di mini invasività?
Esattamente. Poi, mi lasci dire, è quello che tutti i pazienti desiderano. Sa qual è la domanda più frequente: ”Dottore, ma quanto è invasivo l’intervento?”
Le incisioni dove vengono praticate?
Avvengono sempre nelle aree nascoste. Quello che cambia è ciò che viene effettuato all’interno. Si incide a livello della zona temporale, circondando l’orecchio e tornando dietro ai capelli. La risalita e l’eliminazione dei tessuti avviene qui.
Quali complicanze possono subentrare?
Sono sempre le stesse: l’infezione – rarissima nella regione del viso, talmente irrorato che l’organismo porta tutte le proprie difese con molta facilità – e l’ematoma, nel caso non si sia riusciti a individuare un vaso durante l’intervento. Ma come diceva Ivo Pitanguy “se fai il chirurgo, devi sapere dove stanno i vasi e li coaguli”. E poi, se compare un ematoma, vuol dire che la causa è da ricercare perlopiù altrove, tra i fattori che appartengono alla sfera della salute del paziente.
Quali sono i tempi di decorso postoperatorio e quali manifestazioni si possono evidenziare?
Direi che si tratta di un decorso più rapido. Da anni, poi, utilizzo una colla biologica che fa riaderire i tessuti. Non ci sono drenaggi e il paziente può tornare a casa senza bendaggi, che vengono tenuti solo la notte successiva all’intervento. Si potranno verificare ecchimosi, che hanno un tempo di riassorbimento variabile da persona a persona. Ma, in linea di massima, in un paio di settimane spariscono.
È una procedura che può trovare indicazione in tutti i lifting cervico-facciali?
Non sempre. Per esempio, non è adatta a chi presenta muscoli spessi. Certamente, in questi casi il muscolo non si può plicare, altrimenti si ottiene un raddoppio degli spessori. Io, lo consiglio ai pazienti che hanno una muscolatura sottile.
E per quanto concerne i punti critici degli altri distretti del viso, qual è il suo approccio?
Ogni chirurgo segue linee guida elettive nella scelta delle tecniche operatorie da adottare. In particolare, per risollevare la zona dello zigomo, se si seguono i piani chirurgici anatomici, si può intervenire dalla zona temporale fino allo zigomo con una certa facilità e senza rischi di lesioni nervose. Questa è una procedura che si fonda sugli studi anatomici della faccia portati avanti dal chirurgo australiano Bryan Mendelson. A quel punto, procedendo lungo l’osso zigomatico, vengono risollevati e riposizionati tutti i tessuti molli, conferendo un effetto ringiovanente sulla zona zigomatica è un passaggio importante, perché molti pazienti presentano anche occhiaie e borse sotto gli occhi. Se le occhiaie consistono, generalmente, in una colorazione scura dell’epidermide, altra cosa è, invece, l’avvallamento del solco sottoorbitario che spesso si manifesta nel tempo per la caduta verso il basso dei tessuti molli dello zigomo. Riempire quel “vuoto” può non essere risolutivo: la causa di quell’inestetismo è la discesa dei tessuti che, quindi, andrebbero tirati su. Riguardo, poi, all’area del terzo superiore, la mia visione dell’estetica mi porta a sostenere che oggi per trattare la regione della fronte e delle sopracciglia si può evitare di impiegare le tecniche chirurgiche tradizionali – con estese resezioni della cute – ricorrendo al lifting endoscopico che, attraverso micro incisioni praticate sul cuoio capelluto, è in grado di riposizionare i tessuti. In questo modo è possibile ripristinare anche la posizione naturale della linea del sopracciglio e ridare freschezza allo sguardo. E senza lasciare cicatrici visibili. La tossina botulinica, poi, che permette di attenuare la forza della muscolatura per via iniettiva, ha reso possibile non intervenire più chirurgicamente sul muscolo frontale – responsabile delle rughe orizzontali – e risolvere questi inestetismi con una procedura molto meno traumatica. I chirurghi americani, invece, ancora enfatizzano il ruolo delle sopracciglia nei trattamenti antiaging, indicando persino i millimetri che dovrebbero essere raggiunti nel sollevare un arco sopracciliare. Non sono proprio d’accordo. Dal mio punto di vista, le sopracciglia che salgono molto non apportano un vero vantaggio estetico. E, non mi stancherò mai di ripeterlo, se è vero che questa è una branca artistica della chirurgia, non potrà mai prescindere dall’arte e dall’armonia.