Il linguaggio dell’oncologia

Tumore, cancro, neoplasia sono tre termini quasi equivalenti ma il cui utilizzo presuppone una differente relazione fra medico e paziente.

libro donghiCi sono parole che fanno paura solo a nominarle. Cancro è una di queste. Non è un caso, infatti che si tenda a esorcizzarne la drammaticità della diagnosi indicandolo via via come male del secolo, malattia incurabile oppure come mostro, corpo alieno, spietato killer, ecc. “Di cosa Parliamo quando Parliamo di Cancro”, è un libro appena uscito in libreria (Raffaello Cortina Editore) che prova a dare una diversa “descrizione” e “interpretazione” della malattia, che ne legittimi, e anzi imponga, una semantica alternativa: una costruzione del discorso sul “tumor”, sulla tumescenza di cui già parlavano gli antichi, che non però autorizzi la metafora del maligno. “Non si tratta di un gioco di parole né solo di sostituire il lessico – scrivono i due Autori, Pino Donghi semiotico ed esperto di linguaggio e Gianfranco Pelusodirettore di ricerca presso il CNR – ma di capire che l’ignoranza di ciò che il tumore effettivamente è ci ha portato, per slittamenti progressivi, a rassegnarci a un linguaggio deformante che costruisce la gravità indiscutibile della malattia sul racconto di una consapevole e spietata volontà. Quello che vogliamo dimostrare è che il tumore, invece, ancorché patologia difficilmente trattabile e in molte sue varietà di fatto incurabile, non assomiglia ad alcun soggetto dotato di “grandezza superiore”, non è né “intelligente” né dotato di volontà, positiva o negativa che sia”. Tumore, cancro, neoplasia: in un contesto discorsivo generale, una parola può valere l’altra. Non nel vissuto di chi ne è oppresso. E questo è dovuto soprattutto a un processo antropo-morfizzazione della malattia, non solo nel senso della mostruosizzazione dei suoi lineamenti, ma anche nell’insistenza con la quale la si descrive dotata di una già ricordata volontà distruttiva e di morte. Ma dov’è, nella letteratura medica, la “volontà” del cancro? Dove si può leggere della sua cosciente determinazione? Il cancro non è un virus, un batterio, un essere vivente più o meno elementare dotato di qualche rudimentale forma di organizzazione cosciente. “E se invece non fosse maligno e nemmeno cattivo? Non dal punto di vista della diagnosi ma della semantica? È da qui che si deve ripartire – continuano gli autori – perché se i più recenti e moderni approcci clinici suggeriscono una possibile strategia di cronicizzazione del cancro bisogna cambiare il modo di parlare della malattia, di raccontare il cancro non più come un ospite indesiderato, di cui avremmo fatto volentieri a meno, né come uno spietato killer che si è introdotto in maniera subdola quanto fatale. Cambiare narrazione non è un diversivo ma può essere utile, così da abituarci al momento in cui la sua ingombrante presenza potrà comunque essere contenuta tra le mura della nostra esistenza”. Un libro che ci sentiamo di suggerire perché aiuta scientificamente a capire di cosa parliamo quando parliamo di cancro. Lo si legge facilmente ma nel farlo è innegabile una certa dose di sofferenza, propria dell’esperienza di chiunque abbia visto una persona cara morire di questa malattia. Un dolore che, purtroppo, va al di là della scelta delle parole.