Leggere rende la vita più normale

L’esperienza intima e toccante di una madre che con l’intelligenza e la sua volontà ha saputo aprire un varco nel mondo inaccessibile di sua figlia.

Quando 4 anni fa ho proposto un laboratorio di lettura per i ragazzi disabili del Centro Speranza (Fratta Todina, PG), credo di aver provocato stupore, curiosità, riflessione sia agli educatori che al piccolo, sparuto gruppo di volontari facenti parte del Circolo di Lettura ad Alta Voce di Perugia. Leggere negli ospedali o nelle carceri erano esperienze già note e vissute, ma farlo con i disabili? Avrebbero mai capito il senso di quello che sarebbe stato loro letto? Empiricamente avevo voluto riproporre quello che avevo fatto con mia figlia, la cui diagnosi, anni prima, non aveva lasciato nessuna speranza di una vita dignitosa. La prima risonanza magnetica cerebrale, fu paragonata a un cielo stellato, ma aveva molto poco di poetico. Mi ero trovata di fronte una situazione drammatica con la quale mi sarei dovuta confrontare ogni giorno della mia vita. Durante la gravidanza avevo fantasticato sulle cose che avremmo fatto insieme, alle passioni che avrei condiviso con lei, prima tra tutte la musica e poi la lettura. Leggere un libro ti consente di volare con la fantasia, di vedere posti nuovi, di vivere le vite degli altri. Si sperimenta la gioia di entrare nella storia e il dispiacere quando l’ultima pagina viene voltata. Ero stata una bambina che aveva trovato nella lettura il modo di fuggire la solitudine, di ampliare la propria voglia di sapere, di dare sfogo alla fantasia, di guarire le proprie irrequietezze, quel sentirsi diversa tra i coetanei. Perché non poteva funzionare con mia figlia? Le parole autismo e ritardo mentale non mi fermarono, sicura del fatto che se anche fosse rimasto un solo neurone funzionante, lo avrei stimolato a più non posso, creando nuove connessioni e operando una sorta di rivoluzione cerebrale. Follia? Forse. Lettura bambini-2Disperazione? Tanta. Come far capire a mia figlia che è bello leggere e cosa è la lettura? Questa è stata la sfida più impegnativa; avevo da poco vinto quella impossibile di farla parlare, che mi sembrò poca cosa. Ho iniziato leggendo brevi storie, fiabe della tradizione popolare. L’astrazione è un procedimento mentale modificato o totalmente assente in persone con disturbi cognitivo-comportamentali ed è stato un muro contro il quale mi sono imbattuta molte volte. Ho perciò cambiato tipo di storie privilegiando quelle dalle quali era stato tratto un film che lei aveva visto. Il passaggio dal visivo al solo sonoro ha impegnato ogni mia energia emotiva. La storia entrava in me, si arricchiva di ogni sfumatura data dalla mia esperienza e sensibilità per essere restituita a lei, piena di senso. Non era facile farla entrare nella magia, ma quando capitava, lo sentivo a pelle. Mi veniva da piangere per la gioia e cercavo di prolungare il più possibile quel momento. Alle volte funzionava, altre si richiudeva nel suo mondo del quale lei era l’unica cittadina. La mia irrequietezza di fondo è stata la sua salvezza; qualsiasi altra persona, nella stessa situazione, si sarebbe fermata, avrebbe goduto del traguardo accontentandosi. Non io. Se ero riuscita a farle raggiungere quel risultato, perché non continuare? Il secondo obiettivo, il più difficile, è stato quello di farle capire il senso della lettura e far sì che fosse anche per lei un piacere leggere. Ho sfruttato il suo amore per me, la simbiosi emotiva che ancora ci caratterizza. Mi mettevo sdraiata sul letto, in una posizione di assoluto relax e lei seduta accanto che leggeva. Sottolineare con lo stupore le cose che ascoltavo da lei e chiedere di continuare a leggere perché curiosa di sapere come finiva, sono state la chiave di volta. Il libro è diventato dapprima un atto d’amore verso di me e poi uno strumento di gratificazione personale nel momento in cui è comparso Harry Potter, il personaggio che è più vicino al suo sentire, tanto da diventare l’amico al quale confidare le emozioni e nel quale trasformarsi quando l’ansia è difficile da gestire. Leggere per gli altri è un atto d’amore, il donarsi incondizionatamente. Chi legge si mette a nudo, privo di ogni sovrastruttura culturale, libero dai condizionamenti che la vita sociale impone, è vero ed è questa veridicità che viene recepita dalle persone con disturbi cognitivo-comportamentali. È la prima picconata contro il muro della incomunicabilità. La storia narrata può diventare un linguaggio comune, lo spazio neutro condiviso nel quale esprimersi. Su questo ultimo concetto si fonda la mia nuova esperienza di lettura agli adulti del Centro di Salute Mentale di Marsciano (PG), una sfida che ha molti punti in comune con la precedente. Anche qui ci sono solitudine, disagio sociale, isolamento emotivo. Il gruppo, che ha scelto di chiamarsi Gruppo del Libero Pensiero, ha altresì scelto democraticamente di leggere “Sopravvivere coi lupi”, proiettando inconsciamente la propria esperienza di vita. Mi sono calata nel nuovo ruolo di tutore di resilienza avendo sempre ben chiara la mia esperienza di vita, in modo da ascoltare e accogliere, da essere sia super che cum partes. Ho fatto un grosso sforzo per imparare da subito i loro nomi in modo che si sentissero immediatamente riconosciuti e da questo semplice passo abbiamo tutti iniziato a camminare. La letteratura, come parte dell’Arte, cura l’anima. La storia narrata viene elaborata e ognuno si sente emotivamente coinvolto senza sapere bene il perché. È il vissuto, il trauma taciuto che cerca di scardinare la porta dell’inconscio per esprimersi tramite il protagonista della storia. In quello che può essere semplicisticamente definito un incontro di lettura, si realizza un setting terapeutico nel quale muoversi con estrema cautela. Il ruolo del tutore di resilienza è quello di favorire l’espressione di ognuno sfruttando la creatività, contravvenendo ogni preconcetto che stupidamente non la contempla nei soggetti con disturbi cognitivo-comportamentali. Nell’incontro di lettura ognuno è protagonista, è ascoltato in quello che vuole esprimere con i mezzi a lui più congeniali, che può essere la semplice parola o l’emissione di suoni apparentemente inarticolati; si stimola la curiosità, primo importante passo per la rinascita di chi ha subìto traumi o per l’apertura di chi non comunica. Ricordo ancora la volta in cui un bambino con grossi problemi di comunicazione, una specie di enfant sauvage di Itard, che era solito vagare senza una meta intorno alla stanza, si fermò ad ascoltarmi, io seduta a terra per essere più vicina a lui, per poi mettersi sdraiato su di me e leccarmi per tutta la durata della lettura. Avevo stabilito un contatto, la comunicazione era possibile. Niente è così grave da non poter essere trattato con l’Arte. L’Arte è inclusiva, è il mezzo per stare insieme. In una delle ultime volte al Gruppo del Libero Pensiero si è aggiunto un adolescente, libero dalla scuola e forse inizialmente poco interessato a partecipare. La sua presenza è stata importante. Al termine ha chiesto alla madre di poter leggere il libro perché incuriosito e affascinato dalla storia. Inconsapevolmente anche in lui si è operato un atto educativo.