Riportiamo l’estratto di un libro che raccoglie lettere dell’anima scritte durante la recente pandemia da persone disabili e dai loro familiari
della dottoressa Gabriella La Rovere
La pandemia ha improvvisamente rivoluzionato la nostra esistenza, mettendoci di fronte alla caducità della vita. Un microrganismo piccolissimo, di dimensioni 600 volte inferiori il diametro di un capello, è stato in grado di annientare milioni di vite in maniera drammatica, sia per i sintomi paurosamente ingravescenti, che per la assoluta solitudine che ha accompagnato i malati fino alla morte. Nonostante i tanti progressi in campo scientifico degli ultimi cento anni, i medici si sono confrontati con la frustrazione di non riuscire a salvare i pazienti, per l’estrema variabilità genetica del virus e per la rapida evoluzione dovuta all’improvviso coinvolgimento di più organi. La nostra vita ha cambiato ritmo e direzione, con le abitudini stravolte, le priorità sostituite; anche il lessico ha subito una modifica e ogni parola ha acquisito un significato diverso, spesso più profondo. Prima del Covid-19 era di gran moda il termine “resilienza”, vessillo del popolo della disabilità. Sono state spese parole, fatte analisi, aperte discussioni psico-pedagogiche. Essere resiliente è stata una medaglia al merito che, come tutte le onorificenze, ha brillato di importanza per un solo giorno. La fatica dei genitori e la sofferenza delle persone disabili sono rimaste le stesse, le loro richieste di aiuto sempre inascoltate. Nel momento in cui la speranza sembrava finita e il mondo raccontato dai telegiornali presentava scenari apocalittici, ecco che una parola ha ripreso valore: perseveranza. La perseveranza è un agire faticoso e quotidiano dentro e contro le difficoltà (Salvatore Natoli) La perseveranza non è insistenza, perché chi insiste, lo fa spesso in maniera ossessiva, quasi senza riflettere e questo lo porta a esaurire tutte le energie, costringendolo a rinunciare. Chi persevera lo fa con intelligenza, dosando le forze, riposando corpo e mente, perché raggiungere un obiettivo è vincere una battaglia; e questa ha bisogno di tattiche, non di azione fine a se stessa. Raggiungere uno scopo è quindi un impegno ragionato, dove niente deve essere sprecato e ogni variabile considerata. Per secoli la perseveranza ha indicato lo stile morale necessario per tenere fede alle proprie convinzioni. Un genitore con figlio disabile ha, più che una convinzione, una sola certezza, che per il figlio sia sempre possibile un miglioramento e l’acquisizione di nuove competenze, perché in natura non c’è niente che non evolva, che rimanga nella staticità. Anche la morte è un’evoluzione, con qualsiasi credo religioso la si voglia considerare. Per questo il genitore non smette mai di osservare e stimolare il proprio figlio, favorendo il progressivo inserimento nella società e perseverando nel combattere i pregiudizi, le ingiustizie sociali, le oppressioni senza l’uso della violenza, ma con la pacifica rivendicazione dei diritti civili e di quelli umani. La perseveranza non è rigidità, ma flessibilità. Si persevera verso un obiettivo e, siccome è imprescindibile l’uso della ragione, necessariamente si diventa flessibili, malleabili. Chi persevera tiene duro nel presente; è una barca che affronta con determinazione onde gigantesche perché l’obiettivo è l’approdo, il porto sicuro. Alcune volte è necessario seguire il corso degli eventi, quasi essere parte della tempesta che sconvolge la nostra esistenza. Non è debolezza, ma la giusta pausa che consente di riprendere in mano la rotta. È un abbandono consapevole perché non sempre si sa cosa fare e questo succede quando le forze esterne sono tante e la nostra emotività ha preso il sopravvento, quando la mente, ormai esaurita, non riesce più ad analizzare i dati che arrivano. Se la mente è stanca, svuotata, si rischia di perdere su tutti i fronti.
Senza fretta ma senza tregua (Lev Tolstoj) La perseveranza deve fare i conti con il quotidiano, con il qui et nunc, perché si procede per piccoli passi; la fretta non è routinaria per chi convive con la disabilità. Ogni traguardo viene raggiunto con la lentezza necessaria alla consapevolezza. Chi persevera è paziente, anche con se stesso, non si rassegna, non si ribella, né si consuma in uno sterile risentimento, ma si dà tempo. E quando raggiunge l’obiettivo, gioisce della propria conquista e riposa, perché ciò che lo aspetta dopo è diverso, mente e corpo devono giocare una nuova partita e impararne le regole. La perseveranza non conosce disperazione, vince sulla paura di non farcela. Non è una dote innata, ma si costruisce giorno dopo giorno sulle difficoltà. Nel momento in cui si diventa genitore di un figlio con disabilità, la nuova realtà opera una lenta modifica comportamentale, necessaria alla sopravvivenza di entrambi. Anche l’ambiente nel quale si vive subisce una trasformazione: tutto tende verso l’essenzialità, perché ciò che è superfluo, confonde e rende insicuri. L’uomo che sposta la montagna comincia portando via piccole pietre (Confucio) La perseveranza di oggi è un passaggio di testimone di chi ci ha preceduti; non si può che andare avanti, la nostra marcia diventa di esempio agli altri. Rispetto a un secolo fa con la pandemia di “spagnola”, c’è stata la possibilità di sentirsi più vicini grazie ai social network e così di raccontare la costanza di ogni giorno, semplicemente con una foto, un breve video, una parola, perché questo è ciò che impone la comunicazione online. La perseveranza è un insieme di emozioni, strategie, creatività, che non può essere costretta nell’essenzialità del linguaggio, ma ha bisogno della narrazione, del resoconto giornaliero di vittorie e sconfitte, per lasciare traccia di sé, per essere il punto di partenza o di svolta delle altrui esperienze. La natura dell’evento traumatico non dipende solo dall’intensità e dalla durata, ma anche dalla possibilità di accedere alle informazioni e tutto quello che è capitato durante la pandemia da Covid-19 non è solo un importante documento storico, ma una fonte di informazioni preziose per elaborare nuove strategie pedagogiche e rimodulare il comportamento.