Le discromie e la soft surgery

Il dr. Raffaele Soccio intervista il Dott. Giorgio Fippi, docente di Elettro-Laser Chirurgia,
Presidente della Società Italiana di Medicina Estetica e Chirurgia non Ablativa (S.I.M.E.C.N.A.).

In quale modo la soft surgery interviene su problematiche quali le discromie cutanee e quali sono i meccanismi di azione?

Molto interesse hanno suscitato gli articoli dedicati alla chirurgia non ablativa pubblicati negli scorsi numeri. Abbiamo quindi pensato di continuare la trattazione di questo tipo di tecnica concentrandoci questa volta sul suo utilizzo nella cura delle macchie cutanee e delle discromie. Come per gli articoli precedenti abbiamo chiesto di fare il punto sulla questione al Prof. Giorgio Fippi, docente di Elettro-Laser Chirurgia e Presidente della Società Italiana di Medicina Estetica e Chirurgia non Ablativa (S.I.M.E. C.N.A.).

Può illustrarci in che modo la “soft surgery” interviene su problematiche complesse quali le discromie cutanee?

Il grosso capitolo delle macchie cutanee e delle discromie è forse quello che meglio fa apprezzare la soft surgery. La sublimazione dei tessuti epidermici operata dal plasma (gas ionizzati dell’aria) e, realizzata grazie all’apparecchiatura denominata Plexer, ci consente di intervenire con successo su questi inestetismi. Una volta escluse dal trattamento tutte le lesioni a rischio, potremo affrontare allo stesso modo sia le iperpigmentazioni epidermiche che quelle dermiche. La sola differenza consisterà nel fatto che le iperpigmentazioni dermiche dovranno essere trattate più volte e per un numero di volte proporzionale alla loro profondità. Infatti, se insistessimo durante la seduta fino a veder sparire la macchia, produrremmo degli inestetici avvallamenti che si andrebbero a sommare a quelli che sono già presenti in molte macchie dermiche.

Come funziona esattamente il trattamento con il Plexer?

Si tratta di un tipo di proceduta estremamente semplice e di grande effetto. La tecnica da eseguire nelle discromie è quella spray in quanto se operassimo con la tecnica spot avremmo un accorciamento delle fibre cutanee con aumento di spessore della parte trattata. La tecnica spray si effettua con passate molto rapide a sfiorare appena la cute senza mai toccarla. Si osserverà allora la macchia colorata in grigio scuro per il carbonio depositato. A questo punto si applica, sulla macchia, del cotone intriso con abbondante acqua distillata e disinfettante al benzalconio in uguali proporzioni. Con dei delicati movimenti a X del cotone si asporteranno i residui carboniosi e la cute apparirà dello stesso colore di quella circostante. Se si osservano queste regole elementari si evita di arrossare la parte o peggio di farla sanguinare, rovinando l’effetto scenico di una macchia che scompare senza reliquati. Nel caso in cui si dovesse vedere ancora la parte pigmentata, non dovremo insistere per evitare scalini. Ci limiteremo a reintervenire 28 giorni dopo con le stesse modalità sulla parte precedentemente trattata. La zona dovrà essere lavata con sapone di Marsiglia, asciugata tamponando delicatamente e disinfettata con disinfettanti al benzalconio. Come protezione è consigliabile applicare uno strato spesso di fondotinta fluido solo sulla parte trattata per almeno due mesi.

Si può agire anche sulle ipocromie?

Un discorso a parte meritano le discromie causate dalla mancanza di melanina. Queste ultime, come si sa, si osservano frequentemente in persone che esagerano con l’esposizione al sole. In questo caso la soluzione non è semplice come per le macchie scure. In effetti, qualsiasi trattamento praticato in una zona priva di melanina e di melanociti sarebbe un fallimento. Abbiamo pertanto messo a punto una metodica diversa

In cosa consiste questa tecnica?

Partiamo da una constatazione: quando si trattano le macchie scure e si asporta il deposito carbonioso se ci si dimentica di una piccola parte iperpigmentata ai margini, si ha la quasi certezza che la macchia si riformerà tale e quale. Da questa semplice osservazione si è provato a trattare le perdite di melanina da eccessiva esposizione solare e in patologie quali i nevi di Sutton e alcune forme di vitiligo, creando con il Plexer una corona circolare nella periferia della macchia bianca, allargandosi a coinvolgere anche la cute circostante dove sono presenti i melanociti fisiologici. Dato che la parte bianca anche se trattata resterebbe tale, creando una lesione al confine con la cute sana, si ottiene una epitelizzazione concentrica che al controllo permette di apprezzare il risultato quasi incredibile nel trattamento di queste lesioni. A nostro giudizio questa è una prova che nella chirurgia dermatologica con il Plexer è fondamentale applicare la tecnica appropriata per ciascun tipo di intervento perché un uso ragionato e creativo dello strumento permette di risolvere casi che apparentemente sembrerebbero impossibili da trattare.