Una nuova luce nella cura della pelle: fotobiostimolazione e terapia fotodinamica con LED atermici.
di Calderhead R.Glen MD
Cercando su qualsiasi motore di ricerca o su un dizionario tecnico scientifico, ci si accorge subito che, in senso allargato, con il termine Fototerapia s’intende l’applicazione di qualsiasi dispositivo che produce una luce utile nel campo medico e chirurgico. Questo concetto che fino a qualche anno fa sarebbe certamente bastato, oggi appare però insufficiente a descrivere tutto ciò che con la luce si può fare in campo biologico, clinico e chirurgico. Infatti, sarebbe perlomeno necessario distinguere fra una foto-chirurgia distruttiva e invasiva e una fototerapia atermica e non-invasiva, quella che più recentemente viene definita con un termine molto appropriato: fotobiomodulazione. Quest’ultima, a differenza delle altre fototerapie (v. laser ablativi, IPL e laser non-ablativi) che per ottenere il risultato clinico desiderato si avvalgono di un programmato e volontario danno termico, è una applicazione della fototerapia che si caratterizza per l’uso di luci atermiche che non provocano alcun danneggiamento alle cellule del tessuto target.
La fotobiomodulazione fornisce, infatti, a livello cellulare l’energia necessaria perché abbiano luogo una serie di reazioni differenti: cellule danneggiate o compromesse possono essere riparate; cellule mitotiche possono essere indotte a un livello maggiore di replicazione; oppure cellule con funzioni specifiche eseguono il loro compito in modo più veloce ed efficiente. Ma come succede tutto ciò? I fotoni emessi dalla luce con lunghezze d’onda specifica per le cellule bersaglio, stimolano dei fotorecettori o dei substrati cellulari provocando una catena di reazioni biochimiche o biofisiche che portano a una risposta cellulare, detta biostimolazione specifica. Qualcuno potrebbe obiettare che anche i laser con una particolare frequenza possano dare gli stessi risultati, ma è pur sempre vero che per esercitare un’azione atermica sul tessuto target essi devono essere disposti per emettere una bassa intensità di fotoni e comunque presentano il grande limite di poter trattare solo piccole aree per volta richiedendo un notevole dispendio di tempo e di lavoro da parte di un operatore qualificato. Lo sviluppo della fotobiomodulazione è legato allo sviluppo recente di una serie di fonti di luci non-laser rappresentata dai Light Emitting Diodes.
L’uso in campo medico dei LED è stato reso possibile solo alla fine degli anni ’90 grazie alla nascita di LED superpotenti e quasi-monocromatici da parte del dr. Whelan e del suo gruppo di ricercatori della NASA. Partendo da questa innovazione tecnologica, la ricerca è stata in grado di sviluppare Led con differenti lunghezze d’onda e con una densità di fotoni clinicamente utili per il trattamento di un’area estesa del tessuto target e senza necessità di un operatore durante la sessione di trattamento. In particolare per la loro efficacia e duttilità si sono messe in evidenza tre lunghezze d’onda specifiche: 633 – 415 e 830 nm.Inizialmente l’uso dei LED con luce rossa a 633nm (la stessa lunghezza d’onda del ben documentato laser HeNe) ha trovato impiego nella PDT, in quanto in grado di attivare l’acido aminolevulenico applicato topicamente per il trattamento dei tumori cutanei (non melanoma) e delle cheratosi attiniche. Lo sviluppo di un pannello flessibile di LED con lunghezza d’onda di 633 nm, con intensità di 105 mW/cm2 e dose di 126 Joules è stato realizzato, dopo 10 anni di ricerche intense condotte dal ”Cancer Research Institute UK” dalla società inglese Photo-Therapeutics. Questo sistema LED viene connesso a un braccio articolato in modo da poter trattare adeguatamente anche superfici estese e/o non perfettamente piane fornendo al tessuto bersaglio una intensità e dose uniforme. Importanti ed eccellenti risultati clinici, ben documentati da numerose pubblicazioni scientifiche, ne hanno dimostrato validità ed efficacia terapeutica. Passando dal trattamento di lesioni gravi, ad altre applicazioni dermatologiche, si è dimostrato che la combinazione di luce a 633nm più un fotosensibilizzante, era efficace anche nella cura dell’acne volgare con una concentrazione molto più bassa di 5-ALA e con un tempo di incubazione molto più breve, così come per il ringiovanimento cutaneo, un’altra applicazione dermatologica attualmente emergente.
Curare la pelle fotobiomodulazione e terapia fotodinamica Curare la pelle fotobiomodulazione e terapia fotodinamica Il meccanismo d’azione della luce rossa 633nm con il 5-ALA (Terapia Fotodinamica) è la conversione nel ciclo EMA del 5-ALA esogeno che è penetrato nella cute, in una porfirina (Protoporfirina IX, PpIX) che si forma in elevata quantità nell’area interessata e il cui spettro d’azione contiene un picco a 633nm. Una dose appropriata di luce a 633nm attiva la PpIX e ne consegue una produzione transitoria di forme reattive dell’ossigeno (ROS) le quali causano uno stress ossidativo nelle cellule e la loro conseguente morte. Poichè la reazione dura solo pochi nanosecondi, il danno è limitato alle cellule target. Il trattamento, comunque, può essere doloroso, dare una risposta infiammatoria severa e necessitare di un lungo tempo di recupero, pertanto la PDT viene scelta principalmente come terapia d’elezione nel trattamento dei tumori cutanei (non melanoma) e nell’acne severa. Passiamo ora a parlare della Luce blu 415nm e del suo utilizzo per il trattamento dell’acne volgare moderata, un protocollo sviluppato partendo dal presupposto che oltre al picco relativamente piccolo di 633nm, la Ppt IX in comune alla Coprorfirina III ha il suo più largo picco nello
spettro di luce visibile molto più vicino a 415 nm e che entrambe queste due porfirine sono presenti nel Proponibacterium acnes, il batterio maggiormente responsabile del ciclo infiammatorio nell’acne volgare. Con l’impiego di luce blu 415nm è risultato possibile ottenere una PDT endogena dalle porfirine naturalmente presenti nel Proponibacterium acnes.
Il solo sistema LED che opera attualmente a una banda stretta di 415nm è Omnilux blue, anch’esso sviluppato da Photo Therapeutics. Sebbene la luce blu da sola abbia dimostrato di essere efficace nel trattamento dell’acne, risultati nettamente superiori e più duraturi sono stati riportati dalla combinazione della luce blu per la distruzione del P.Acnes con la luce rossa 633nm, di cui sono ben documentati gli effetti anti-infiammatori e di riparazione tessutale. Il grado di risoluzione di lesioni infiammatorie a 8 e 12 settimane dopo l’ultimo trattamento va dal 78% a circa l’87% in pazienti con grado di acne secondo Burton da 3 a 5. Un altro campo di applicazione dei LED è senz’altro il ringiovanimento cutaneo: a seconda della gravità del foto e/o crono-invecchiamento è possibile scegliere il protocollo specifico: che può andare dall’uso di una sola lunghezza d’onda (633nm) alla combinazione di due luci LED (633nm e 830nm); per i casi più compromessi i protocolli prevedono l’uso della luce rossa 633nm con fotosensibilizzanti classici o di ultima generazione per una PDT controllata, oppure ai peeling di fotobiomodulazione sviluppati espressamente dai laboratori Renophase di Parigi. Come per i laser non-ablativi, la selezione dei pazienti è molto importante: con l’utilizzo solo di Luci LED non si cancellano rughe e solchi di cuti con grado elevato di foto-aging, mentre si ottengono ottimi risultati in casi di cute mediamente compromessa. Il miglioramento estetico visibile è ottenuto per un ringiovanimento sostanziale delle strutture dermiche. Uno studio clinico recente, presentato all’EADV di Vienna 2007 ha dimostrato sia con microscopio a scansione elettronica che con esami immunoistochimici come la terapia LED induce fibroplasia nei fibroblasti senza alcun segno di danneggiamento alla cute umana irradiata in vivo e che richiama un numero elevato di ”skin Homing T cells” nell’area trattata. Quest’ultimo effetto ha interessanti implicazioni nel trattamento di condizioni immunomodulate e correlate alle Cellule T quali l’acne o la psoriasi. Da studi effettuati con il solo uso delle luci LED, il miglior approccio per il ringiovanimento cutaneo risulta essere la combinazione del near Infrared 830nm e della luce rossa 633nm. Infatti la luce rossa a 630 nm svolge una importante azione sui fibroblasti in quanto il suo target principale è la catena respiratoria del mitocondrio, mentre la luce near Infrared a 830nm attiva significativamente le cellule normalmente presenti nella fasi infiammatorie (mastociti, neutrofili e macrofagi) e nella fase di rimodellamento (miofibroblasti), senza che però ci sia stato alcun danno tessutale. Questo comporta una conseguente fase proliferativa, in quanto i macrofagi e i mastociti attivati producono una grande quantità di fattori trofici, insieme alle sostanze proinfiammatorie, creando un ambiente positivo per i fibroblasti. Partendo da queste evidenze scientificamente dimostrate, la fototerapia con i LEd trova valido impiego anche nel campo della riparazione tessutale post-chirurgico e post-ustione/resurfacing.
In quest’ultimo caso si è notato che i Led hanno rinnovato per esempio la procedura del resurfacing completo del viso in quanto dimezzano i tempi di guarigione e riducono drammaticamente il ricovero del paziente: l’eritema si risolve in 3 settimane post-laser resurfacing. La riparazione tessutale viene accelerata in modo esponenziale e migliorato il controllo del dolore, per esempio dopo la rimozione di verruche plantari con laser Er:YAG. In attesa che anche i vocabolari tecnico scientifici aggiornino la voce fototerapia, ci supporta sapere che la validità dei trattamenti con i LED della Photo Therapeutics è garantita dalla pubblicazione di numerosissimi studi clinici e da 5 approvazioni da parte della FDA nordamericana.
Per maggiori approfondimenti si rinvia all’articolo “Phototherapy in the New Millennium Implications in Everyday Dermatological Practice, articolo apparso su US Dermatology Review 2006