Respirare nel modo giusto può essere la base di una cura efficace per molti stati di malessere e un aiuto importante per ripristinare l’equilibrio
La domanda mi coglie di sorpresa e, forse, per questo non so rispondere rapidamente. “In Italia, durante una visita medica si controlla la frequenza e la qualità della respirazione dei pazienti?”. A pormi il quesito è la responsabile del programma breathing, che sono venuto a seguire in Thailandia dopo aver sofferto di una pesante forma di Covid19. Le lezioni si tengono nello spazio benessere dell’hotel Cannacia a Pukhet. Me ne ha parlato un amico di mezza età che lamentava stress e colon irritabile e un lieve grado di depressione. Il suo medico curante, e dopo di lui vari specialisti, gli avevano prescritto diversi farmaci per la pressione e vari antidepressivi, con scarsi risultati. Quando si era reso conto della frustrazione dei sanitari cui si rivolgeva, che apparentemente mostravano di non aver tempo per trattare i suoi problemi minori, “non abbastanza disperati”, si era rivolto alle medicine naturali, scoprendo l’importanza della pratica respiratoria e i suoi benefici. Ho fatto mia questa sua riflessione e ho cominciato a leggere, a indagare, a chiedermi se realmente imparando a respirare meglio si possa restare in salute senza ricorrere a farmaci, sonniferi o antiacidi. Nessuno pensa di negare il valore della medicina moderna, degli antibiotici e dei vaccini oppure l’efficacia straordinaria della chirurgia e delle altre tecnologie mediche e diagnostiche che hanno contribuito a migliorare in maniera indiscussa la qualità nostra della vita salvando anche un numero incalcolabile di individui in tutto il mondo. Spesso però ci si dimentica di chiedersi perché si da meno importanza ai tredici chili e mezzo di aria che transitano quotidianamente nei nostri polmoni, e di conseguenza ai 750 grammi di ossigeno utilizzati dalle cellule del nostro corpo, di quanto si faccia con il cibo che mangiamo o l’attività fisica che svolgiamo. Perché la respirazione, fino a che non ci si ammala di una patologia polmonare, è considerata meno importante per la salute e la prevenzione di tanti disturbi cronici e sistemici? Forse perché sono poco noti gli studi del Premio Nobel Albert Szent-Gyorgyi, oggi mostriamo poca attenzione a capire come il corpo assimila, elabora e trae energia dall’aria e come l’aria che inspiriamo influisce sulle nostra ossa, sul cervello, sul sangue, sulla nostra pelle. Siamo così abituati a pensare che le allergie e le congestioni croniche facciano parte delle malattie tipiche dell’infanzia che raramente si pensa che alla base di queste condizioni ci possa essere principalmente una respirazione orale cronica., spesso ansimante. “Le persone respirano più frequentemente con la bocca, eppure – mi dice l’istruttrice tailandese esperta di medicina orientale e tecniche respiratorie – il corpo umano si è evoluto sviluppando due canali, perché questo ha aumentato le probabilità di sopravvivere. La bocca è solo un sistema secondario di riserva, e l’ampiezza delle fosse nasali ne è una dimostrazione. Una espirazione completa che utilizzi entrambi i canali non si pratica quasi mai. Normalmente usiamo solo una piccola frazione della nostra capacità polmonare a ogni respiro. L’obiettivo di espirare secondo uno schema coordinato aumentando l’efficienza, le prestazioni e lo stato di salute, è quello di estendere i nostri respiri, alzando e abbassando di più il diaframma per far uscire tutta l’aria prima di ispirarne altra”.
L’istruttrice mi guida nell’apprendere il più elementare dei cicio di respirazione ottimale: inalare tramite il naso per 5,5 secondi, trattenere e poi espirare lentamente con la bocca per gli stessi secondi. Sembra facile ma, per esperienza so che dopo qualche respiro ho cominciato ad avvertire fame d’aria, sono diventato nervoso, la sensazione sgradevole e soffocante mi portava ad alterare lo schema. Studiando ho capito, poi, quello che succedeva nel mio organismo. I chemorecettori periferici, localizzati nella carotide e nell’aorta, registravano alcuni cambiamenti nella quantità di ossigeno ematico in uscita dal cuore, ma ciò che determina il ritmo della respirazione è il livello di anidride carbonica nel sangue arterioso che viene monitorato dai chemiocettori centrali situati nel tronco encefalico, che quando respiriamo troppo lentamente aumenta e fa scattare l’allarme, per cui il cervello comanda ai polmoni di respirare più in fretta e più a fondo. Al contrario, quando si respira troppo velocemente gli stessi chemiocettori spingono a rallentare e respirare più lentamente. La chemiocezione è una delle funzioni essenziali della vita e le tecniche di respirazione servono ad allenare i propri chemiocettori ad affrontare le fluttuazioni dell’anidride carbonica senza andare nel panico. “Per controllare l’ansia e le paure croniche – mi dice l’istruttrice – bisogna imparare l’arte di trattenere il fiato”. Vado in crisi e chiedo: ridurre o negare al nostro cervello un flusso costante di ossigeno, come avviene nell’apnea da sonno, non è potenzialmente dannoso perché può determinare ipertensione, disturbi neurologici, malattie autoimmuni? “ Si, quando l’apnea è inconscia, non quando s’impara a farlo in modo corretto e conscio, come nello yoga e nella meditazione”. (Continua).