Vengono dette ancora troppe inesattezze sull’approccio chetogenico al dimagrimento che non adrebbe considerato semplicemente una dieta
Recentemente, in una trasmissione molto seguita dal pubblico televisivo, è andato in onda un servizio sulle “diete chetogeniche” pieno di confusione, superficialità e inesattezze espresse addirittura dagli esperti chiamati a sviscerare l’argomento. A tutti loro andrebbe ricordato che il trattamento chetogenico è oggetto di studio in centri di ricerca e Università in tutto il mondo fin dagli anni ’70, quando il professor George L. Blackburn di Harvard, per il suo dottorato, trattò centinaia di pazienti con questo regime dietetico. L’errore più grande che viene ripetuto nel corso di presentazioni superficiali è quello di parlare genericamente di dieta chetogenica riferendosi solo alla Atkins e alla Dukan: una informazione non completa da cui derivano molti fraintendimenti. Una ulteriore precisazione che va fatta è che la definizione “dieta chetogenica” non è del tutto esatta in quanto la parola dieta si riferisce a uno stile di vita corretto, e non andrebbe quindi usata per un trattamento di durata limitata come appunto quello in oggetto. Senza dimenticare che non esiste una sola dieta chetogenica ma che vi sono diversi approcci che differiscono tra di loro sotto molteplici aspetti: per indicazione terapeutica, per apporto di proteine, di lipidi e di calorie ma anche per la durata stessa del protocollo, nonché per il possibile utilizzo di integratori o cibo naturale. In effetti, sarebbe più corretto parlare di dietoterapie chetogeniche. Proviamo allora a fare chiarezza in questo mare magnum di imprecisioni appena segnalate. La dieta chetogenica, definita anche con un pò di confusione dieta proteica, è un regime alimentare la cui componente principale è costituita da proteine, una quota variabile di grassi e una componente molto limitata di carboidrati che non devono superare i 50 grammi. Questo regime dietetico, escludendo eventuali patologie, consente all’organismo di entrare in uno stato assolutamente fisiologico, la chetosi, nel giro di 48/72 ore (con sparizione del senso della fame) seppure con una forte variabilità individuale. Ciò avviene perché quando i carboidrati vengono ridotti a un livello molto basso, le cellule cominciano a utilizzare i grassi per ricavare l’energia necessaria alle loro funzioni. Si attiva così la chetosi che provoca la formazione di molecole chiamate corpi chetonici, utilizzabili da tutte le cellule, anche quelle del cervello. Questo processo porta l’organismo a consumare le sue riserve di grasso, compreso quello addominale. Sappiamo bene che l’obesità addominale è considerata uno dei più importanti fattori di rischio per le malattie cardiovascolari, per il diabete di tipo II e che è associata alle complicazioni metaboliche e cardiovascolari tipiche della sindrome metabolica (ipertensione, iperlipidemia, steatosi epatica). Il grasso addominale, infatti, espleta i suoi effetti sull’equilibrio endocrino-metabolico dell’organismo e gli adipociti bianchi del grasso viscerale sono particolarmente attivi nel rilascio di adipochine, sostanze che controllano l’appetito, il bilancio energetico, il sistema immunitario, la sensibilità all’insulina e il metabolismo lipidico. Va precisato che per ottenere un risultato ottimale è fondamentale assicurare un corretto apporto proteico, capace di mantenere la massa muscolare del soggetto e, contemporaneamente, di sostenere la gluconeogenesi, il noto processo fisiologico che ha lo scopo di sostenere i livelli di glicemia e che prevede il consumo di una notevole quantità di aminoacidi. Questi ultimi, introdotti attraverso le proteine assunte, hanno una funzione sia plastica che energetica ma i professionisti esperti sanno che un eccessivo apporto proteico può determinare sovraccarico renale, mentre se l’apporto proteico è insufficiente può determinarsi deperimento. Allo stesso tempo, come è facile evincere, la dietoterapia chetogenica, risulta carente di diversi macro e micronutrienti e per questo è necessaria una integrazione adeguata alle esigenze individuali. In sintesi, come si parla moltissimo di medicina personalizzata va ricordato che anche un trattamento dietetico dev’essere assolutamente personalizzato. Un altra informazione, talvolta sottovalutata quando si parla in modo generalistico dell’approccio chetogenico, è quella inerente la scelta delle fonti proteiche. Bisogna tenere sicuramente in considerazione il valore biologico, ossia la maggiore o minore presenza di aminoacidi essenziali, nonché la biodisponibilità, cioè la frazione che l’organismo è in grado di assorbire e di utilizzare quotidianamente per le sue funzioni fisiologiche. L’apporto proteico dovrebbe provenire principalmente da pesce, mentre il consumo di carne rossa, soprattutto se processata, dovrebbe essere scarso. Le migliori proteine, rispetto alla biodisponibilità, sono quelle del siero del latte. Per combinare qualità nutrizionale e gestibilità della dietoterapia chetogenica, si può allora prevedere un menù basato principalmente su piatti freschi, evitando i pasti sostitutivi, prodotti di sintesi che non possono sostituire un pasto vero per non parlare della diseducatività di questa pratica, soprattutto fra i più giovani. Ma come garantire una eventuale e fondamentale integrazione proteica, quantitativamente adeguata e di alta qualità? Tramite bevande o barrette che forniscano un migliore e completo apporto di aminoacidi, specialmente di quelli essenziali (di cui anche il cibo fresco può essere deficitario), ma non solo, così da arrivare a un’integrazione proteica qualitativamente adeguata.
Esiste un integratore ideale? La regola aurea per una dietoterapia chetogenica a fini dimagranti si rifà a linee guida internazionali utili da seguire: deve avere una proporzione tra gli aminoacidi vicina il più possibile a quella raccomandata come ottimale; la componente lipidica dev’essere estremamente ridotta così come l’apporto calorico totale. Non basta però dire povera di grassi, perché è fondamentale distinguere tra grassi in saturi, mono insaturi e poli insaturi, cis e trans. Privilegiare fonti lipidiche ricche di acidi grassi mono e poli insaturi consente di prevenire l’insorgenza di patologie cronico degenerative. Una fonte di acidi grassi mono insaturi è, a esempio, l’olio di oliva EVO, mentre troviamo grassi polinsaturi in alcune specie di pesce come il salmone e il pesce azzurro oppure in molti semi come quelli di lino. Riassumendo: il trattamento fin qui delineato non è solo iperproteico, ma deve tener conto delle esigenze plastiche ed energetiche dell’organismo; è basato sulla forte riduzione dei carboidrati senza un consumo eccessivo di grassi; aggredisce la massa grassa e il pericolosissimo grasso addominale, senza intaccare la massa magra; con un adeguato supporto proteico sotto il profilo quantitativo e qualitativo, diminuisce l’infiammazione, i valori della sindrome metabolica e della steatosi epatica. In conclusione, sovrappeso e obesità costituiscono un grave problema, sempre più diffuso a livello planetario, che mette a rischio la nostra salute. Nella battaglia contro questi pericolosi nemici, non si dovrebbe rinunciare a un metodo fisiologico e sicuro per perdere il grasso superfluo, un metodo, quello chetogenico, che vanta un’alta percentuale di successo purché sia adottato sotto il controllo di professionisti realmente esperti.