Il vento sta cambiando e oggi si cerca di riappropriarsi della propria naturalezza. In questo la medicina estetica può aiutare
Nello scorso numero abbiamo parlato dei nuovi trend estetici e di come essi siano dettati e amplificati dai social network, condizionando, ancor più di come facevano in passato televisione e riviste, i gusti dei giovani e dei meno giovani. Un fenomeno che, come spiegato durante l’ultimo congresso della Società Italiana di Medicina Estetica, ha avuto due conseguenze principali per il professionista. Da una parte si assiste al fatto che la popolarità di alcuni trattamenti, a prescindere dalla loro reale utilità o dalla necessità del paziente, è direttamente proprozionale a quanto ne parlino i cosiddetti influencer, ossia le “star” di internet, paradossalmente capaci di influenzare gli utenti dettandone stili di vita, abitudini e consumi. Dall’altra è stato evidenziato come siano oggi moltissimi coloro che chiedono al medico di assomigliare alla propria foto pubblicata su internet, ossia un’immagine precedentemente migliorata tramite filtri fotografici. Senza volerci addentrare di nuovo nell’argomento, una lettrice ci ha fatto notare come il discorso non sarebbe completo se non parlassimo anche di un altro fenomeno emergente: quello degli “anti-influencer”. Non lasciatevi ingannare dal prefisso “anti”, non stiamo parlando di coloro che si scagliano contro il potere dei social e della rete, e per i quali forse, restando in tema, sarebbe più appropriata la definizione di haters, bensì di quanti opponendosi all’immagine stereotipata delle foto “fashion”, che vanno per la maggiore su internet, propongono un tipo di esteriorità non alterata. Non più capelli dalla messa in piega esemplare, pelle così liscia da sembrare sintetica e primi piani perfettamente simmetrici (tra l’altro la completa simmetria del viso non esiste e quando appare in una foto è sempre frutto di un ritocco), ma al contrario volti normali, illuminati da una luce che non nasconda rughe e segni di espressione. Insomma la parola d’ordine per gli anti-influencer è “naturalità” contrapposta ad artificio. Una tendenza che, non poteva essere altrimenti, si è subito tradotta nella creazione di un ulteriore social, chiamato BeReal e definito come “la pagina delle foto oneste”. L’assurdo è che, come sempre accade in queste occasioni, anche la ricerca di “verità” ha finito col diventare una moda, generando un eccesso “al contrario”. Migliaia di utenti postano ogni giorno immagini di sé senza trucco, con i brufoli bene in evidenza, con i capelli spettinati, riprese in ambienti che, molto spesso, definire sporchi è un eufemismo. Come se essere autentici significasse anche apparire sciatti o trascurati. La sensazione è che l’esposizione mediatica e la voglia di diventare un “personaggio” popolare, finisca sempre col contagiare l’onestà intellettuale di chi si ritiene depositario di determinati valori, esasperando i toni e finendo col corrompere anche chi ha le migliori intenzioni. Per completare questo discorso, impossibile non citare anche quegli utenti che ogni giorno, attraverso i loro profili instagram, pagine facebook o blog, parlano della propria beauty routine quotidiana e illustrano ai propri “lettori” i loro trucchi di bellezza. In questo caso i trucchi e gli accorgimenti condivisi sono alla portata di chiunque voglia adottarli e i risultati appaiono visibili anche nella quotidianità, quando si cammina per strada, momenti in cui è difficile ricorrere a luci, cerone e programmi digitali per apparire ciò che non si è. Siamo arrivati al nocciolo della questione: da cosa deriva la paura di mostrarsi per come si è veramente? Secondo qualcuno, alla base di questi comportamenti vi sarebbe un “Disturbo d’ansia sociale”, ossia una condizione di disagio e paura di sperimentare situazioni sociali nelle quali vi è la possibilità di essere giudicati negativamente dagli altri. Lo stesso tipo di fobia che si prova nel parlare davanti a un gruppo di persone oppure nel far leggere i propri pensieri a qualcun altro. Se rapportato all’estetica, questo disturbo può scatenare problematiche serie generando forme di dismorfofobia, non accettazione del proprio aspetto, disturbi alimentari, modifiche anche clamorose del fisico e dei propri lineamenti nel vano tentativo di uniformarsi ai canoni estetici più diffusi, in modo da sentirsi accettati. Una ricerca di apparente perfezione che, anche quando non patologica, ha comunque provocato tanti danni specie in passato, basti pensare al famigerato “effetto mascherone”, o alle esagerate labbra a canotto, eseguite con la complicità di chirurghi plastici disposti a superare i limiti della decenza pur di accontentare i capricci del paziente. Storture che fortunatamente oggi vengono stigmatizzate dalla comunità medica e dal senso comune generale, valga come esempio le tante critiche a livello globale incassate dalla popstar Madonna, resa irriconoscibile a causa dei troppi ritocchi estetici, durante i recenti Grammy Awards. Il chirurgo estetico è consapevole ormai che, nel proprio bagaglio di conoscenze, dovrebbe includere anche qualche nozione di psicologia per riuscire a distinguere, sin dalla prima visita conoscitiva, quando il ritocco desiderato nasce da una condizione di vero disagio intimo e non da un bisogno sociale. E, nel caso, deve saper dire di no, spiegando al paziente che non sempre quanto richiesto lo renderà felice. Per farlo ha oggi strumenti tecnologici sempre più sofisticati che possono semplificare il suo lavoro andando a mostrare, per esempio tramite proiezioni 3D, quelli che saranno i reali risultati di un trattamento rispetto a quelli invece auspicati; oppure strumenti che permettono un confronto immediato dalla condizione di partenza a quella post trattamento, utile in special modo se il paziente tende alla cosiddetta “dipendenza da ritocco” rischiando un “overtreatment”. In parole povere, il professionista è chiamato a vestire egli stesso i panni di un influencer ma di diverso tipo rispetto a quelli dei social: un consulente che sappia spiegare che il trattamento migliore in distretti delicati come quelli del volto, è quello che ne preserva i lineamenti reali senza modificare la propria identita, che rimpolpi i vuoti volumetrici provocati dal tempo riportando alla luce il suo aspetto originale, senza insomma privarlo di ciò che lo rende unico nel mondo. Si tratta di un cambiamento di percezione che si è sviluppato lentamente ma che ormai rappresenta lo standard etico per ogni professionista che si ritenga tale e che ha finito con il dare una nuova e più alta valenza a tutto il settore della medicina e della chirurgia estetica, trasformandole in branche di quella che potremmo definire “medicina sociale”. Del resto lo stesso concetto di bellezza ha ampliato i propri orizzonti finendo col corrispondere a quello di benessere inteso come soddisfazione interiore, un più sano stile di vita, un appagamento emotivo che ha ripercussioni positive in tutte le sfere della vita. Il medico estetico sa che il processo di guarigione da alcune patologie o da traumi che trasformano un corpo e un volto può essere accelerato da un miglioramento esteriore della parte lesa e da un riappropriarsi della propria identità ferita. Sa, anche, che il suo compito è anche quello di informare sulla prevenzione di alcuni fenomeni come l’aging cutaneo o gli accumuli adiposi, e di gestire questi processi, accompagnandoli attraverso micro interventi di correzioni che abbiano come obiettivo principale il raggiungimento dell’equilibrio delle forme e dei volumi oltre che della ricerca dell’eleganza. Interventi che non si prefiggono di dare nuova forma a ciò che già esiste ma aiutano a far emergere quella bellezza che è lo specchio dell’anima di ognuno di noi.