di Martina Oliviero
Dopo quattro edizioni di Dermart, i suoi creatori hanno dato alle stampe un libro che raccoglie i contributi più emblematici del Convegno annuale
Sono passati 4 anni dalla nascita di Dermart, il Congresso nazionale fautore di un nuovo modo di interpretare la disciplina dermatologica, basato sull’associazione tra le manifestazioni della pelle e l’arte visiva. Un progetto che al suo lancio non mancò di suscitare curiosità e anche qualche perplessità da parte di molti professionisti del settore legati a una visione più classica della medicina, ma che nel corso degli anni ha saputo conquistare sempre più consensi e soprattutto proporre al professionista un modello realmente valido di memorizzazione visiva delle patologie cutanee. Del resto sia l’arte che la dermatologia sono discipline “visive”, ovvero basate sull’osservazione. Notare le forme di una lesione, focalizzarsi sulle sfumature, sulle linee che la contornano è molto vicino a compiere ciò che ogni giorno fanno i critici d’arte e gli esperti del settore quando cercano di capire il periodo di esecuzione di un dipinto. L’esperienza maturata in questi anni in cui si è provato a tracciare questi parallelismi tra arte e dermatologia, è ora raccolta in un libro, pubblicato da poco dalla casa editrice Mazzotta (30 euro), scritto a quattro mani dai due creatori del Congresso: i dermatologi Massimo Papi e Biagio Didona. Un testo che riporta anche una traduzione inglese a testimonianza di quanto le tematiche di Dermart siano state capaci di affascinare negli ultimi anni un pubblico internazionale e che si propone di analizzare la pelle con la sensibilità dell’artista attraverso un escursus di opere provenienti da tutto il mondo, tra paragoni avventati e similitudini sbalorditive, in un gioco di rimandi che spesso lascia a bocca aperta. Scritto in modo professionale, ricco di citazioni letterarie ed eruditi rimandi storiografici, il libro è suddiviso, proprio come fosse un Congresso, in sessioni/capitoli a loro volta comprensivi di diversi paragrafi. Si inizia con “La cute come tavolozza” in cui si parla di colori: da quelli dei ritrovati galenici che fanno bene alla pelle, fino a quelli di microbi e funghi, quelli utili per le diagnosi e quelli dell’acne nell’arte. Sempre di colori ma stavolta in relazione alle patologie, si scrive invece nel secondo capitolo initiolato “Pelle e pennelli: i pigmenti”. “Le linee e le forme nelle malattie cutanee”, è l’argomento che dà vita al terzo capitolo in cui gli autori prendono in considerazione le dermatosi lineari, quelle reticolate, quelle anulari, le micosi figurate, la maschera e il volto in dermatologia, il disegno e le localizzazioni dell’orticaria. “Il rapporto tra pelle e pittori” è il tema del quarto capitolo, a nostro parere uno dei più interessanti, in cui si analizzano tra l’altro la vita e le esperienze professionali del pittore Paul Klee, affetto per gran parte della sua vita da sclerodermia sistemica. Ma l’arte non è solo figurativa, come ci viene ricordato nel capitolo intitolato “La pelle nella letteratura, nel cinema e nella storia dell’iconografia dermatologica”. I due capitoli finali sono dedicati al rapporto tra cute e aspetti sociali, dove si parla di mode e tatuaggi, voglie, pelle e rete, ecc. e “L’arte della cura” incentrato, come si può intuire, sulle manifestazioni artistiche che riguardano le cure, dai disegni dei cosmetici sino ai riti e alle magie nella cura delle verruche. Un mondo di informazioni curiose e preziose che riguardano la nostra storia e il modo di percepire il nostro corpo e le sue malattie. Perché in fondo, viene da pensare, non esiste opera d’arte più riuscita dell’uomo e belli e brutti che ci si senta, la natura con la nostra pelle ha creato il suo quadro più bello.