A cura della dr.ssa Gabriella La Rovere
Katherine Anne Porter è l’unica scrittrice americana degli inizi del XX secolo che descrisse l’epidemia di influenza del 1918. Il suo racconto “Bianco cavallo, bianco cavaliere” è considerato una delle migliori opere di narrativa medica. Nacque a Indian Creek, in Texas, nel 1890. Si trasferì a Chicago nel 1914 dove lavorò come attrice e ritornò in Texas l’anno seguente per essere ricoverata in un sanatorio a causa di una grave bronchite. Quando scoppiò la pandemia, Porter viveva a Denver, in Colorado, e scriveva per il Rocky Mountain News. Contrasse l’influenza e il suo fidanzato, il tenente Alexander Barclay, si prese cura di lei. La scrittrice rimase in ospedale per sei mesi; quando guarì ebbe l’amara scoperta che il suo fidanzato era morto proprio di influenza. Nel 1939 pubblicò il racconto, che sarebbe diventato la sua opera più conosciuta. La storia segue la ventiquattrenne Miranda, che cura la rubrica degli spettacoli di un giornale locale, attraverso la sua storia d’amore con un giovane soldato di nome Adam. Nelle conversazioni dei personaggi, e poi il dialogo interno di Miranda, la scrittrice permette ai lettori di accompagnare il percorso complesso e sconosciuto della ragazza attraverso la sua malattia, con un oscuro senso di presagio e perdita quando l’influenza inizia e si sviluppa. C’è qualcosa che non va, mi sento troppo di traverso: non può essere soltanto il tempo e la guerra. Intanto che Miranda cede lentamente, il lettore viene a conoscenza di una crisi più ampia che coinvolge la comunità. È tanto grave quanto qualsiasi cosa possa essere… tutti i teatri e quasi tutti i negozi e ristoranti sono chiusi, e le strade sono state piene di funerali tutto il giorno e ambulanze tutta la notte. Nella redazione del giornale dove Miranda lavora, si rincorrono le voci riguardo l’epidemia, a dimostrazione che niente cambia in tema di diffusione delle notizie. Dicono che dipenda da germi portati da una nave tedesca a Boston […] Qualcuno afferma d’aver visto una nuvola, densa e grossa, fluttuare su dal porto e diffondersi adagio su quel quartiere. Quando Miranda cade nei sogni febbrili, passando avanti e indietro dalla coscienza all’inconscio, Porter fa sperimentare ai lettori la pace e il terrore, la coerenza e la confusione. La maggior parte della storia si svolge nelle 24 ore prima del crollo fisico di Miranda; dopo è un susseguirsi di periodi di lucidità ed altri di oblio nei quali il suo monologo interiore fa riferimento a eventi condivisi con Adam. Il loro ricordo agisce come uno scudo contro la guerra e il virus. Come una sopravvissuta, Miranda si sente obbligata a ricordare. Quando lei ed Adam discutono di un canto spiritual “Bianco cavallo, bianco cavaliere” nel quale la morte porta via l’amante della cantante, e poi la madre, il padre, i fratelli e l’intera famiglia nell’arco di quaranta versi, l’affermazione di Miranda Ma non quello che canta, ancora no: la Morte lascia sempre uno che canta, a piangere… da il senso a tutto il racconto. Lo storico Joseph Yerushalmi afferma: i gruppi possono solo dimenticare il presente, non il passato. Ciò vuol dire che gli individui che compongono il gruppo, possono dimenticare eventi della loro vita recente ma sono incapaci di scordare i lutti passati. Con la narrazione della pandemia, la scrittrice ha creato una memoria duratura dell’evento, una memoria che unisce la sua esperienza personale a quella di milioni di altre vittime, che connette i sopravvissuti ai morti, che mette in relazione il passato al presente. Condividere i ricordi è importante alla formazione e alla conservazione dell’identità sociale. L’assenza relativa di una memoria della pandemia determinerebbe una doppia perdita, sia quella delle vittime che dei sopravvissuti. Finita la guerra, finita la spagnola, soltanto il silenzio che segue il cessare dei cannoni; case mute con le imposte chiuse, strade vuote, la luce fredda e morta del domani.