Fu un filosofo, politico e progettista, forse Asperger, a cambiare il sistema di sorveglianza per i detenuti con il modello panottico
della Dott.ssa Gabriella La Rovere
Chi visita l’antico penitenziario di Santo Stefano dove fu rinchiuso anche Sandro Pertini, costruito dai Borboni nel 1795 su una delle isole pontine e ormai abbandonato, dovrebbe sapere che la struttura fu progettata sul modello panottico di Tom Jeremy Bentham (1748-1832), filosofo e giurista britannico. Bentham l’aveva pensata come il carcere ideale, in cui un unico sorvegliante, posto in alto e al centro, poteva osservare tutti i carcerati senza che questi potessero capire se in quel momento erano controllati o no. L’idea del panottico era per Bentham una metafora del potere invisibile, in grado di imporre comportamenti disciplinati in modo quasi automatico, capace allo stesso tempo di rappresentare il rapporto fra il singolo individuo e le regole del sistema sociale in cui esso è inserito. Dopo anni di comportamenti imposti dalla sensazione di essere sempre sotto osservazione, i prigionieri li avrebbero interiorizzati come unico modello di comportamento possibile, modificando così il proprio carattere. Il vantaggio principale attribuito a questo modello di sorveglianza è l’utilitarismo, ovvero la riduzione minima dei costi e l’aumento massimo dell’utilità della detenzione. In realtà, molti scrittori, hanno successivamente sostenuto che il concetto panottico fosse scaturito dalla mente di Bentham, tipo eccentrico e solitario perché se fosse vissuto in questo secolo, avrebbe avuto una diagnosi di sindrome di Asperger. Da piccolo Jeremy era un bambino fragile, nervoso facilmente impressionabile, preda degli incubi e spaventato dai fantasmi; su questo argomento, da grande scriverà: “La questione dei fantasmi è stata tra i tormenti della mia vita, il diavolo era dappertutto ed anche in me […] quanto meno infelice sarei stato se avessi riconosciuto le mie paure”. Sua madre morì che aveva dieci anni; il padre gli voleva bene ma era esigente e insensibile. Aveva un fratello, Samuel, di nove anni più piccolo, al quale era molto legato; altri cinque fratelli erano nati in quell’arco di tempo ma non erano sopravvissuti. Ricavava piacere dalla lettura dei libri, dai fiori e dalla musica, aveva pochi amici ed era estremamente sensibile. Camminava con un bastone da passeggio che chiamava Dapple, un gatto cui aveva dato il nome reverendo, e un proprio vocabolario con neologismi da lui inventati. Bentham pur studiando legge non divenne mai avvocato perché lo trovava intollerabile ma sviluppò un interesse sulla filosofia legale e la teoria della legislazione. Il New Monthly Magazine nel 1824 gli dedicò la storia di copertina con il titolo “The Spirit of the Age” (Lo spirito del tempo). Per chi ha conoscenze sull’autismo e sulla sindrome di Asperger, la lettura del saggio di William Hazlitt (1778-1830) non può che confermare il sospetto che Bentham fosse neurodiverso. Hazlitt descrive la sua stranezza sociale: “Nelle abitudini generali ed in tutto tranne che nelle sue attività professionali è un bambino. Ha vissuto gli ultimi quaranta anni in una casa a Westminster, affacciata sul parco, come un anacoreta nella sua cella riducendo la legge a un sistema e la mente dell’uomo ad una macchina. Raramente esce e vede poca gente. I pochi favoriti, che hanno il privilegio di far parte di una cerchia ristretta, sono ammessi uno alla volta. Non gli piace avere testimoni alle sue conversazioni. Parla molto ma non ascolta nient’altro che i fatti”. Ed ancora: “Considera le persone intorno a lui non più delle mosche di un’estate […] La sua visione della mente umana assomiglia ad una mappa, piuttosto che ad un’immagine: il contorno, la disposizione è corretta ma manca di colore e rilievo”. John Stuart Mill (1806-1873) scrisse invece che Bentham non capiva gli stati emotivi, sia propri che degli altri. Una caratteristica che oggi sappiamo essere tipica di ogni persona con neurodiversità. Marx lo descrisse come “l’oracolo insipido, pedante, dalla lingua di cuoio, della intelligenza borghese comune del diciannovesimo secolo, un genio sulla via della stupidità borghese”. A ciò Hazlitt aggiunse: “il suo stile è impopolare, per non dire inintelligibile. Scrive una lingua tutta sua che oscura la conoscenza. Le sue opere sono state tradotte in francese – avrebbero dovute essere tradotte in inglese […] scrive in maniera cifrata, di cui il volgo non ha la chiave. La costruzione delle sue frasi è una curiosa cornice con pioli e ganci su cui appendere i suoi pensieri, per uso e guida personale, ma quasi fuori dalla portata di chiunque altro. È un barbaro gergo filosofico, con tutte le ripetizioni, le parentesi, le formalità, la rozza nomenclatura e la verbosità del diritto latino […] il signor Bentham scrive come se gli fosse concessa solo un’unica frase per esprimere tutta la sua visione di un argomento […] La cosa migliore è che pensa che il suo attuale modo di esprimersi sia perfetto e che qualunque cosa si possa obiettare alla sua legge o logica, nessuno può trovare il minimo difetto nella purezza, semplicità e perspicuità del suo stile”. John Bowring nel suo “Memoirs of Jeremy Bentham” aggiunge: Lo strano linguaggio che ha inventato è stato il risultato di notevoli sforzi e riflessioni. Quando l’aveva adottato, il riderne lo rendeva ancora più ostinato nel metterlo tra le sue invenzioni più preziose”. Il problema di Bentham con l’amicizia era ovvio e sconcertante: “Era impossibile avere un amico, un ammiratore o un alleato più devoto, ma bastava una minima offesa o dimenticanza per annullare tutto”. Bentham diceva di sé stesso: “Sono un animale così tanto mei generis che le persone devono sopportare da me ciò che non vorrebbero da altri”. Non fu mai scoraggiato dalla paura e dal senso del ridicolo che sembra non gli appartenesse. L’eccentricità, il desiderio di evitare gli altri, la mancanza del senso del ridicolo e il pensare per immagini sembrano ancora una volta coerente con la sindrome di Asperger. Un altro aspetto della sua autosufficienza di natura autistica era la sua propensione a isolarsi e lavorare intensamente, da solo. Molte volte si riferiva a sé stesso come un eremita e, quando poteva si rifugiava in collegi, camere e cottage anonimi. Anche quando andava a visitare suo fratello in una parte piuttosto remota della Russia, dove stava supervisionando la costruzione di un carcere panottico a San Pietroburgo, sceglieva di vivere lontano, al sicuro da ogni interruzione, dove poteva lavorare dall’alba al tramonto. Il rapporto con il fratello minore, divenuto poi suo socio, è stato il più importante della sua vita, e l’amore per Samuel fu probabilmente l’emozione più forte nella sua vita. Lo voleva proteggere, guidare e sostenere economicamente. Bentham era un eccezionale sistemista e la sua disfunzione comunicativa appare chiara anche nel suo modo di scrivere. Per questo vale l’osservazione di Snyder, appropriata per i metodi di lavoro di Bentham, secondo cui “la mente autistica sembra adatta a lavorare algoritmicamente all’interno di un sistema chiuso di regole specificate”. L’ipotesi che egli possa essere stato neurodiverso avrebbe senso proprio nel suo bisogno ossessivo di controllo per “riempire tutte le lacune ed esplorare tutte le vie secondarie rilevanti”. Un esempio di tutto ciò si ritrova proprio nel progetto Panottico. Per più di due decenni, e usando proprie risorse, Bentham si sforzò di realizzare il suo sogno di un penitenziario che credeva sarebbe stato un modo per ottenere potere, potere della mente sulla mente. Fu un tentativo di rafforzare questa strutturazione delle relazioni umane attraverso l’architettura e “un’opportunità per la pratica dell’onniscienza e dell’onnipotenza, poiché come carceriere sarebbe stato la divinità in un microcosmo di sua creazione”. Un modello di detenzione e sorveglianza che in pochi decenni subì feroci critiche filosofiche, ma in pochi hanno valutato a pieno l’angoscia che Bentham riversava nella sua progettazione, e ciò gli ha procurato poca simpatia. Il suo disagio però era più che reale, ma all’epoca, purtroppo, non si era ancora pronti per una diagnosi clinica dell’autismo.