di Arianna Urbani
Quando si parla di inquinamento atmosferico occorre sempre effettuare una distinzione tra quello outdoor e quello presente a casa nostra.
Era il 1985 quando per la prima volta si iniziò a parlare a livello globale di Buco nell’Ozono. La catastrofe ambientale, prevista all’epoca come imminente, doveva portare secondo i più allarmisti alla fine della vita come noi la conoscevamo, con un aumento esponenziale delle temperature e il susseguente scioglimento della calotta polare artica. A questo sarebbe seguito l’innalzamento delle acque e la scomparsa di intere zolle continentali. Fortunatamente tali scenari apocalittici sono rimasti solo il frutto della penna di scrittori particolarmente ispirati. All’epoca prevalse il buon senso e come si sa vennero stretti diversi accordi internazionali che riducevano in maniera importante l’emissione nell’atmosfera di sostanze inquinanti ponendo fine di fatto all’emergenza (secondo alcune statistiche il buco sparirà definitivamente attorno al 2080). Tuttavia anche se verrebbe da dire che il più è fatto, resta ancora molto alto il livello di inquinamento atmosferico esistente e naturalmente i rischi per la salute ad esso legati. Se da un lato infatti è risultato un impegno condiviso affrontare quello che a tutti gli effetti potrebbe essere definita una patologia del nostro pianeta, dall’altro ancora durissima sembra la lotta per riuscire a diminuire il surriscaldamento globale che invece pare inarrestabile, con conseguenze non ancora del tutto definibili.Come dire che l’allarme resta lo stesso ma cambia la fonte della paura. La moderna concezione di benessere che include valori quali la qualità della vita, l’assenza di malattie, l’appagamento emotivo, ecc… dai grandi temi sembra aver spostato l’attenzione verso nuove problematiche ambientali meno macrospiche e più vicine all’individuo. Oggi a spaventare non sono solo i fumi neri che escono dai comignoli delle fabbriche ma soprattutto le sostanze invisibili come le polveri sottili, le modificazioni ambientali susseguenti alle perdite di carburanti e petrolio greggio nel mare davanti alle nostre spiagge, nuove forme di inquinamento derivanti dalle moderne tecnologie che sembrerebbero intaccare (ma è ancora tutto da dimostrare) persino il nostro cervello. Tuttavia per quanto se ne parli, esiste ancora un pò di confusione su cosa si intende per inquinamento atmosferico. La definizione che appare più completa è quella che lo identifica come la presenza nell’atmosfera di sostanze che non dovrebbero essere presenti nella normale composizione dell’aria, e che possono causare effetti negativi e misurabile su uomini, animali, vegetazione o sui diversi materiali. Questi agenti inquinanti possono essere divisi in base alla loro origine. Se sono stati prodotti dall’uomo allora si parla di inquinanti di origine antropica altrimenti di origine naturale. Un’altra suddivisione può essere fatta distinguendo tra i contaminanti liberati direttamente nell’ambiente, come ad esempio il monossido di zolfo, che prendono il nome di primari, e quelli che invece si formano nell’atmosfera a seguito di reazioni chimiche e fisiche e che sono identificati come secondari. A seconda che l’inquinamento prodotto da questi agenti sia in un ambiente chiuso o, viceversa, in luoghi aperti si può parlare di inquinamento indoor o outdoor.
Anche se entrambi i tipi di inquinamento meriterebbero la stessa attenzione per molti anni l’interesse dell’opinione pubblica e della ricerca si è concentrato maggiormente su quello esterno con l’eccezione di quello presente in luoghi chiusi come le fabbriche, in cui la presenza di sostanze volatili ha spinto il legislatore a formulare normative specifiche, e negli ospedali dove per il rischio di diffusione di agenti patogeni si presta particolare attenzione all’aria che si respira. In realtà, però, molti studi sembrano dimostrare che negli ambienti limitati che abitualmente frequentiamo, l’esposizione a inquinanti atmosferici può essere superiore a quella che avviene negli ambienti esterni o industriali. Va infatti tenuto conto che ormai si trascorre il 90% della propria vita in ambienti chiusi e che gli inquinanti presenti in essi sono nella maggioranza dei casi gli stessi che si ritrovano all’esterno dato che penetrano negli edifici per infiltrazione o aerazione. Lo scarso ricambio d’aria, poi, fa sì che tali sostanze si concentrino anziché diffondersi. Ma quali sono nella fattispecie queste sostanze e come vi si entra in contatto? La più diffusa nelle nostre case è sicuramente il gas dei fornelli o dello scaldabagno che origina sempre vapore acqueo, anidride carbonica (CO2) e vari sottoprodotti perché la combustione non è mai perfetta. Tra questi sottoprodotti si trovano il monossido di carbonio (CO), il biossido di zolfo (SO2), vari composti organici volatili (COV) e il monossido di azoto (NO), che dà origine al biossido di azoto (NO2), all’ozono e ad altri derivati idrocarburici per mezzo di reazioni complesse. Si tratta di sostanze volatili molto pericolose la cui concentrazione può aumentare e superare livelli di guardia nel caso di piccoli problemi agli impianti del riscaldamento. Un’altra fonte di inquinamento può essere il garage se collegato all’abitazione. Da qui infatti possono arrivare i gas di scarico delle automobili in esso chiuse. Infine non va dimenticata un’altra causa di inquinamento, perennemente sottovalutata ma tra le più nocive: il fumo delle sigarette.
Quest’ultimo è infatti composto da una miscela complessa che comprende oltre quattromila composti chimici diversi, in fase gassosa o nel particolato che si libera con la combustione. Molti di questi sono irritanti, tossici, cancerogeni, mutageni e teratogeni. L’impatto sulla qualità della vita degli inquinanti sopra elencati è notevole e dipende da diversi fattori quali la pericolosità dell’agente specifico, la grandezza dell’ambiente in cui vi si entra a contatto, la durata del tempo in cui tale contatto avviene ecc. Gli effetti prodotti sononumerosi. Vari studi epidemiologici confermano che l’inquinamento riduce di 15 anni l’aspettativa media di vita, aumenta il rischio di patologie cardiovascolari, ictus e insufficienza cardiaca congestizia, riduce significativamente la funzionalità polmonare, aumenta il rischio di patologie della cute oltre a causarne un invecchiamento precoce. Parlando di quest’ultimo è stato dimostrato come una esposizione continuativa ad agenti inquinanti causa un incremento del 22% nella comparsa di macchie cutanee, aumenta la profondità delle rughe e il numero delle efelidi, comporta una perdita di elasticità della texture cutanea, aumenti la visibilità dei vasi sanguigni. Danni che aumentano esponenzialmente se associati a una non corretta esposizione solare. Insomma non resta che augurarsi, esattamente come 30 anni fa, che questi rischi per la salute vengano limitati da nuove e più stringenti normative di produzione di piccoli e grandi elettrodomestici. Da parte nostra, però, va fatto uno sforzo per tenersi informati su cosa possa mettere in discussione la salubrità delle nostre case.