Secondo alcuni studi, la dieta chetogenica avrebbe numerosi benefici nel combattere e prevenire le infiammazioni croniche
Il nostro stile di vita segnato da un’alimentazione spesso scorretta, sedentarietà, fumo, alcool ci espone al rischio di elevati livelli di infiammazione. Il fenomeno è al centro di moltissimi studi perché è fra i meccanismi che determinano una lunga serie di malattie. Si pensa, infatti, che i meccanismi infiammatori siano l’elemento comune a patologie diverse fra loro come infarto, cancro, obesità, diabete, malattie neurodegenerative. Nell’obesità, per esempio, si registra la produzione di molecole pro-infiammatorie che provocano conseguenze negative, compresi i tumori. Questa infiammazione viene detta “a combustione lenta” per cui la sua presenza può non essere individuata immediatamente, ma rivelarsi molto pericolosa in quanto rende più probabile che le placche aterosclerotiche, contenenti una grande quantità di cellule infiammatorie, si rompano provocando un infarto. Un altro fattore che incrementa molto il livello di infiammazione generale nei vasi è il colesterolo alto. Tornando alle ipotesi sulle cause di questo fenomeno, molte sono legate allo stile di vita occidentale il quale, per esempio, riduce il contatto con i germi durante l’infanzia non consentendo al sistema immunitario di svilupparsi e modulare le sue risposte in modo corretto, facilitando perciò la comparsa di reazioni infiammatorie esagerate o improprie. Un ruolo importante sarebbe rivestito anche dal microbiota nel quale il contatto con elementi che arrivano dall’esterno è continuo e ciò provoca una reazione infiammatoria che di solito è controllata e localizzata ma in alcune persone, può essere esagerata, cronica e quindi patologica. Tutto ciò, si ipotizza che provochi la comparsa di malattie infiammatorie croniche a carico dell’intestino o di altri organi e sistemi più a contatto con l’esterno e con stimoli che inducono una reazione immuno-infiammatoria che colpisce anche la pelle e le vie aeree con lo sviluppo di patologie come le allergie, l’asma, la psoriasi, la dermatite atopica. Ricerche in tutto il mondo stanno evidenziando il rapporto tra microbiota e malattie dell’apparato digerente quali Morbo di Crohn e Retto colite ulcerosa, ma si stanno approfondendo anche le relazioni con quasi tutti gli altri sistemi e apparati e le patologie collegate, a esempio la malattia di Alzheimer, l’autismo e la sclerosi multipla. Il rapporto fra l’intestino e l’infiammazione porta in primo piano l’importanza delle dietoterapie, fra cui oggetto di studio da alcuni anni è il trattamento chetogenico.Unostudio condotto dalla Clinica Neurologica del Dipartimento di Area Medica DAME dell’Università di Udine, presentato al recente convegno “Nutrizione, neuro-infiammazione e neuro-degenerazione”, conferma l’utilità della chetogenesi per fronteggiare gli stati infiammatori. La Professoressa Valente, responsabile scientifica del progetto, ha dichiarato che i corpi chetonici rappresentano un super carburante per tutte le cellule, comprese quelle nervose, perché producono più energia con meno scarti. Le cellule nervose, inoltre, riescono a utilizzare l’energia dei corpi chetonici in maniera particolarmente veloce e questo si tradurrebbe in un effetto antinfiammatorio. Proviamo ora a spiegare come i trattamenti chetogenici possano risultare efficaci nel contrasto della neuro-infiammazione e della neuro-degenerazione. Come è noto, la chetogenesi è una funzione fisiologica del nostro organismo che viene indotto a consumare le riserve di grassi, mediante la cosiddetta “liposuzione alimentare” perché, non assumendo più zuccheri come fonte di energia, si ricorre ai depositi di grasso che vanno incontro a un rapido esaurimento. Esistono più condizioni fisiologiche in cui l’organismo utilizza grassi e proteine al posto del glucosio, per ottenere l’energia di cui necessita. Si distingue una chetosi alimentare e una chetosi patologica tipica, a esempio, del diabete insulino – dipendente. Nella prima, il pancreas interrompe la secrezione di insulina o la riduce al di sotto del 50% nelle prime 12 ore per cui il corpo attinge dalle ultime riserve di zucchero presenti nei muscoli e nel fegato. Dopo 12 – 24 ore si sviluppa la gluconeogenesi: il fegato utilizza gli amminoacidi presenti nel muscolo per trasformarli in glucosio che viene utilizzato dagli organi vitali come cervello, cuore, reni. Dopo 36 ore, i trigliceridi delle cellule adipose vengono rilasciati nel sangue e si trasformano nel fegato per il 10% in neo-glucosio e per il 90% in corpi chetonici. Questi ultimi fungeranno da carburante per gli organi vitali. La forma più elementare di chetosi è legata al digiuno perché si instaura in assenza di zucchero a prescindere dall’apporto proteico, è inappropriato quindi considerare la dieta chetogenica come un’alimentazione basata quasi esclusivamente sulle proteine, al punto che spesso viene indicata anche come “dieta proteica” o, addirittura, “iper proteica”. Nello specifico, la quantità di proteine da somministrare varia da soggetto a soggetto e dipende dalla massa magra esistente e dal livello di attività fisica. Accanto a proteine di origine naturale, è possibile utilizzare degli integratori proteici che hanno il vantaggio di fornire proteine di qualità, senza apportare grassi. Gli integratori, però, non sono tutti uguali e la differenza consiste nella biodisponibilità, ossia la capacità del preparato di essere effettivamente disponibile. Il consiglio, quindi, è di affidarsi a un professionista esperto di chetosi che inizierà valutando lo stato nutrizionale del paziente, scegliendo la fonte migliore di proteine di natura alimentare e gli integratori più adatti, accompagnandolo durante il percorso, monitorandone lo stato di chetosi e minimizzando gli eventuali effetti collaterali. Va infatti ricordato che senza un corretto apporto proteico, dopo alcuni giorni il muscolo tenderà a perdere fibre e consistenza in modo significativo per produrre zuccheri, per cui è indispensabile fornire al fegato una quantità sufficiente di proteine per risparmiare la massa muscolare. Nella parte finale del trattamento, infine, va gestita la fase della reintroduzione dei carboidrati scongiurando picchi insulinemici, consentendo così di ottenere il massimo risultato in piena salute. Poiché il processo di chetosi dipende soprattutto dal metabolismo che è diverso per ognuno soggetto, si registra una variabilità individuale anche nei risultati. Sperimentazioni recenti dimostrano che la VLCKD (very low calorie ketogenic diet) induce una rapida riduzione dei principali fattori di rischio cardiovascolare e – come sostiene il professore Massimiliano Caprio, responsabile Laboratorio di Endocrinologia Cardiovascolare IRCCS San Raffaele Roma, Professore ordinario di Endocrinologia, Università Telematica San Raffaele, nonché redattore delle linee guida della SIE sull’uso delle diete chetogeniche – ha effetti positivi sull’andamento clinico di diverse cardiomiopatie”. Da anni l’obesità e l’insulino-resistenza sono considerate alcuni dei principali fattori di rischio, e le diete chetogeniche ( VLCKD) hanno dimostrato di essere efficaci e sicure favorendo la perdita di peso nei pazienti obesi, legata principalmente alla riduzione del grasso viscerale e non della massa muscolare, e un significativo miglioramento del quadro lipidico, della riduzione della pressione arteriosa e dello stress ossidativo e, in generale, dell’infiammazione cronica di basso grado. “Si sono dimostrati anche effetti molto favorevoli in pazienti con obesità e diabete mellito tipo 2 – afferma il Prof. Caprio – ove si è osservato un rapido e significativo miglioramento del compenso glicometabolico, superiore a quello ottenuto con diete ipocaloriche standard, oltre alla marcata riduzione della necessità di farmaci anti-diabetici e, in alcuni casi, la remissione della malattia. Tutti questi meccanismi determinano una rapida ed efficace riduzione dei principali fattori di rischio legati a queste patologie”. Sulla dieta chetogenica si sono registrate anche polemiche e fraintendimenti, ma attualmente ne stanno emergendo altre potenzialità. Il trattamento offre infatti altri due vantaggi: la soppressione dell’appetito e un effetto psicotonico. Da molto tempo, inoltre, si è osservato che il digiuno ha un effetto «sedativo» nei confronti delle crisi epilettiche tanto che è stato suggerito il ricorso a una dieta chetogenica per i pazienti che ne sono affetti. Alla base del meccanismo d’azione di questo trattamento nell’epilessia, sembrano esserci proprio i corpi chetonici. Un regimechetogenico sembra avere una sua efficacia e utilità anche nell’emicrania, che nuove acquisizioni scientifiche fanno apparire come una malattia ad alterato metabolismo cerebrale, e pure nella sclerosi multipla, malattia neuro-infiammatoria nella cui patogenesi la neuro-degenerazione pare sostenuta da un’infiammazione cronica di basso grado. Studi molto recenti dimostrerebbero, infine, che la dieta chetogenica agisce positivamente sul microbiota che, tra le varie funzioni controlla l’infiammazione e la risposta immunitaria.