Il nome della rosacea non è del tutto casuale

Nella scelta del nome di una patologia spesso prevalgono criteri che nulla hanno a che fare con i suoi sintomi, ma non è il caso della rosacea

Come si assegna il nome a una malattia o a una sindrome? Il processo è piuttosto complesso e la nomenclatura medica ha spesso subito aggiustamenti nel tempo onde addivenire a un comune vocabolario medico di facile comprensione in ogni parte del mondo. Non sempre però la modalità risulta efficace. Specie se le patologie, come doveroso attestato di stima nei confronti dei ricercatori, portano il nome di coloro che per primi le hanno identificate. Sono proprio questo tipo di malattie a risultare più complicate da ricordare, perché il cognome di uno scienziato, anche se la sua scoperta gli garantirà una celebrità universale e duratura, difficilmente comunica qualcosa che ricorda l’organo colpito o il tipo di decorso acuto o cronico della patologia. Il discorso non cambia se al posto di un nome reale si usa quello di un personaggio letterario come nella Sindrome di Munchausen. Il nome è semplice da memorizzare perché il personaggio scelto è il protagonista di libri e film, ma quanto a rammentare al medico di che tipo di disturbo si parla siamo in alto mare. Nei casi dei virus, fino a qualche anno fa, il criterio più in voga era di assegnare loro il nome della zona geografica di prima rilevazione. Consuetudine oggi considerata discriminatoria (pensate alla valle di Ebola in Congo) superata nel 2015 quando la World Health Organization (WHO) ha pensato bene di fornire delle linee-guida su come orientarsi per dare dei nomi socialmente accettabili alle malattie. Niente più zone geografiche e niente nomi che non possono essere disgiunti da significati politici complessi, attraverso cui si possa offendere una popolazione o un Paese. Le condizioni mediche possono infatti caricarsi di un significato legato anche all’identità, in particolare, quando la diagnosi denota condizioni sociali o tipologie di persone, il nome della malattia può avere forti conseguenze sulla vita di coloro che ne sono etichettati. In origine, il termine consunzione, era utilizzato per chiamare la malattia polmonare che oggi conosciamo come tubercolosi, e poiché era associata a poveri, immigrati e disadattati, portava con se il concetto di fallimento sociale o morale. Quello che oggi si vuole evitare è che i nomi e i concetti della medicina migrino dal linguaggio scientifico a quello più generale, influendo sugli immaginari e, in ultima analisi, su pazienti incolpevoli. La dermatologia, non sfugge alle nuove prescrizioni che arrivano dall’WHO di Ginevra, e per il futuro le eventuali nuove denominazioni mediche tenderanno a prendere il nome dalle loro principali caratteristiche e manifestazioni cliniche (sintomi, la modalità di trasmissione, la vulnerabilità di specifici gruppi d’età). Si perderà quindi, anche quell’aspetto creativo e di tipo fantasioso, che ha portato a indicare l’epidermolisi bollosa col nome sindrome dei bambini farfalla, oppure a scegliere sindrome del babbuino per descrivere un eritema simmetrico della zona anale e delle pieghe inguinali sottoposte a flessione con intertrigine correlato all’assunzione di farmaci (SDFE), o a utilizzare rosacea per indicare la dermatite cronica benigna caratterizzata dalla presenza di capillari dilatati, che colpisce soprattutto le carnagioni chiare e interessa per lo più il viso delle donne. Il nome rosacea, con la sua sfumatura naturalistica e romantica, deriva dal colore simile al fiore di una rosa, il che ha fatto sì che il mese di aprile, epoca di fioritura dei roseti, sia internazionalmente dedicato alla malattia. Il rossore è una caratteristica sempre presente nel sottotipo eritemato-telangectasico, in cui si nota la tendenza al flushing, vampata calda sulla pelle del viso, delle orecchie, petto, collo e scalpo, già particolarmente sensibile, reattiva e secca. Per la stessa analogia la si chiama couperose, dal francese goutte rose, goccia rosa, o anche dal latino: cupri rosa, ovvero rosa di rame. Secondo un consensus di una commissione scientifica degli Stati Uniti, però, l’eritema persistente è solo uno dei criteri diagnostici primari per la rosacea, insieme a papule, pustole, dilatazione dei capillari e teleangectasie, (almeno uno di essi deve essere presente) mentre esistono anche criteri secondari (persistente sensazione di prurito, calore e bruciore, presenza di placche, secchezza o edema della cute, manifestazioni oculari, lesioni in zone lontane dal volto, e fimatosi. Va ricordato che questa dermatosi è già andata incontro a una revisione terminologica, perché la coesistenza di arrossamento ed eruzioni papulo-pustolose nella parte centrale del viso, in donne di mezza età, l’avevano confusa con una forma di acne “rosacea”. Oggi, in base alla revisione dei criteri diagnostici che ridimensionano il ruolo dell’arrossamento, permane ancora nella pratica clinica il nome couperose o rosacea, ma in base alla rilevanza e all’associazione dei sintomi si tende a distinguere più sottotipi. Oltre alle già ricordate forme: eritemato-telangectasica e papulo-pustolosa, si riconosce una forma fimatosa, più frequente i maschi in età avanzata, caratterizzata dall’ispessimento della pelle del volto, noduli irregolari, ipertrofia e iperplasia delle ghiandole sebacee, associati a ispessimento della cute del volto, sul naso, (rinofima), ma anche su mento (gnatofima), fronte (metofima), palpebre (blefarofima) o sulle orecchie (otofima). La rosacea può essere anche di tipo oculare, se prevalgono congiuntivite con secchezza oculare, blefarite e fotofobia. Nella complessità clinica così descritta, c’è da chiedersi perché nella terminologia prevalga ancora il riferimento al rossore. Probabilmente la risposta va trovata nel fatto che negli stadi più gravi la forte dilatazione dei vasi sanguigni sviluppa un afflusso maggiore di sangue, che alimenta l’eritema, e può provocare il formarsi dell’acne e dell’ipertrofia del tessuto cutaneo. Questa patogenesi ha portato a interrogarsi sulla multifattorietà della malattia, le cui cause non sono ancora del tutto definite in quanto la rosacea può insorgere in persone con predisposizione familiare, fototipi chiari, squilibri ormonali, (nelle donne per l’assunzione di contraccettivi orali o in prossimità della menopausa), stressate e sottoposte a terapie cortisoniche. Motivi di aggravamento sono l’ eccessiva esposizione al sole e il conseguente stress ossidativo, il passaggio da ambienti caldi a freddi e viceversa. Per quanto detto e per i fastidi indotti dalla patologia, sorprende come le si sia potuto dare un nome così leggiadro, che evoca uno dei fiori più belli, delicati e profumati che si trovano in natura. Forse ci si è dimenticati di un altro noto proverbio che ben si applica a questa fastidiosa condizione e che i pazienti possono confermare: “non c’è rosa senza spine” come “non c’è rosacea senza fastidi”.