Nella storia dell’igiene intima maschile si va dalla semplice acqua a detergenti troppo aggressivi che possono mettere a dura prova la mucosa degli organi genitali
del dott. Giulio Biagiotti Urologo, Perugia
Volendo scrivere una storia dedicata all’uomo e alla sua igiene, si dovrebbe trovare una data certa da cui partire. I testi classici ci dicono che al tempo dei Romani, con la parola igiene s’indicavano, in termine generale, non solo le abluzioni e i lavaggi, ma tutte le strategie per il mantenimento e miglioramento della salute. I nostri antenati, che erano gente pratica, avevano infatti intuito come l’abbondanza di acqua pulita e le fogne dessero dei vantaggi alla salute collettiva. Tutto ciò almeno duemila anni prima che si scoprisse l’esistenza del contagio microbiologico. In diverse opere, poi, si trova segnalata anche l’esigenza della pratica di lavarsi nelle parti intime, anche maschili. Ciò avveniva nelle Terme ma, siccome non si ricorreva al sapone e visto che lo strumento deputato al raschiamento dello sporco (lo strigile) non doveva essere molto delicato, si presume che si lavassero il membro con la sola acqua. I Romani, a differenza degli Ebrei, non praticavano la circoncisione nella convinzione che l’asportazione del prepuzio potesse provocare la collera degli Dei (leggasi setticemia). Un altro capitolo del nostro ideale libro sull’igiene maschile, andrebbe dedicato al sapone, prima fatto in casa, nelle sue varie versioni regionali di cui il sapone di Marsiglia è la più famosa. Queste formulazioni, a differenza di quelle industriali, contenevano poco o nulla in termini di tensioattivi, oggi definiti anche EDC (endocrine-disruptors), ma l’attuale loro produzione è diventata marginale rispetto alle quantità richieste da una società che a partire dal dopoguerra utilizza ogni giorno tonnellate di detergenti. Un fatto che, se da una parte è un sintomo e uno strumento di salute e benessere, dall’altro ha notevolmente contribuito a inquinare l’ambiente in cui i detergenti vengono riversati. Oggi si pensa, inoltre, che un altro effetto collaterale della diffusione dei detergenti possa costituire un danno per la fertilità maschile, a causa di una ormai riconosciuta attività xeno-estrogenica. Per un urologo, poi, a livello di igiene intima maschile la detersione crea anche dei problemi finora sconosciuti: lavaggi con molecole troppo aggressive espongono le mucose – meno protette dal naturale film idrolipidico – all’azione di germi, batteri e insulti fisici tali da far risultare la locale pulizia fonte di perenni arrossamenti se non di vere e proprie Balanopostiti. I dermatologi riferiscono infine di un aumento delle diagnosi di Lichen. D’altronde, tutto ciò non può mettere in discussione la necessità maschile di avere un pene sano, pulito, inodore e non arrossato. Una indagine mostra che circa il 50% dei pazienti intervistati sul tipo di detergente usato per la propria igiene intima parla di quello della moglie, un 30% usa il bagnoschiuma o il sapone liquido per le mani, un 10% usa solo l’acqua e un altro 10% detergenti contenenti tensioattivi in eccesso. Come superare questa apparente contrapposizione fra bisogno di igiene e rischi per la salute dell’area genitale maschile? La risposta sta nella maggior attenzione da darsi alle formulazioni specifiche, che dovrebbero essere ben mirate alla manutenzione di un organo fondamentale.
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