I reumatismi tra storia miti e riclassificazioni

Quante volte dopo aver manifestato un dolore alla schiena sarà capitato di sentirvi dire: “Tranquillo sono solo reumatismi”. Un termine ombrello con il quale si indicano disturbi e problematiche diverse tra loro, che viene inopportunamente utilizzato, a qualsiasi età, ogni qual volta si avverte un qualsiasi tipo di dolore agli arti o alla schiena. Il termine reumatismo deriva dal greco rheuma ossia “fiume” o “scorrere”, e sembra risalga allo stesso Ippocrate, che lo coniò per indicare delle sindromi dolorose che possono colpire ogni parte del corpo. Secondo il padre della medicina, infatti, il nostro corpo era pieno di fluidi negativi che scorrevano liberi per poi concentrarsi, a volte casualmente, in determinati punti causando dolore. Supposizioni che, con le dovute eccezioni, non sembrano discostarsi molto dalle teorie proprie di alcune delle più antiche scuole di medicina e pensiero orientali come quella ayurvedica o cinese, secondo le quali il nostro organismo sarebbe percorso da correnti energetiche la cui “dissonanza” o interruzione causerebbe appunto il malessere o il dolore. Se però l’accezione comune di reumatismo sembra rimandare storicamente a un concetto piuttosto nebuloso, non è così per chi i reumatismi li cura quotidianamente nello svolgimento della propria professione. Proprio di recente anzi, si è tenuto un incontro organizzato dalla Società Italiana di Reumatologia, di concerto con il Collegio dei Professori di Reumatologia/Unireuma, durante il quale è stata effettuata una revisione della classificazione delle malattie reumatologiche. I lavori della Commissione sono partiti da una definizione del termine malattie reumatologiche con il quale vanno intese “le malattie mediche dell’apparato locomotore e quelle autoinfiammatorie e autoimmuni sistemiche”. Con questa definizione si abbandona il comune termine “malattie reumatiche” in quanto ritenuto poco scientifico, in accordo con quanto deciso anche da altri organismi scientifici internazionali. Fanno parte delle malattie reumatologiche un ampio spettro di condizioni patlogiche: le forme infiammatorie articolari e periarticolari, le connettiviti e le vasculiti sistemiche, artitriti infettive e post infettive, le artopatrie da microcristalli, le artrosi, le malattie e le sindrome dolorose extra-articolari, le sindromi neurologiche neurovascolari, le malattie dell’osso, quelle ereditarie del tessuto connettivo, le neoplasie sinoviali e le sindromi paraneoplastiche, le malattie e le sindromi autoinfiammatorie e altre malattie con possibili manifestazioni reumatologiche. Nella maggior parte dei casi, comunque – e qui sfatiamo un mito – le malattie reumatologiche non sono legate al clima come pensa il 90% di chi ne soffre e avverte un riacutizzarsi del dolore in concomitanza con le variazioni del tempo. In termini epidemiologici, fra quelle citate, le più diffuse sono sicuramente le malattie infiammatorie articolari e periarticolari che a loro volta sono suddivise in tre gruppi: le artriti primarie (artrite reumatoide e spondiloentesoartriti), la polimialgia reumatica e la sindrome RS3PE (Remitting Seronegative Symmetrical Synovitis with Pitting Edema). Le malattie reumatologiche, ricorda il dott. Mauro Galeazzi, Presidente della Società Italiana di Reumatologia, sono nella maggior parte dei casi, legate all’età e quindi destinate ad aumentare con l’aspettativa di vita. Basti pensare che nel nostro Paese, che ricordiamo è uno dei più longevi d’Europa, superati i 65 anni, a soffrirne sono circa una persona su tre. L’artrite e l’artrosi, in particolare, interessano il 16% degli italiani mentre l’osteoporosi il 7,6%. Colpiscono soprattutto le articolazioni, lo scheletro e l’apparato muscolare, ma a volte coinvolgono anche organi interni e altri tessuti. Le patologie reumatologiche sono oltre 150 e si differenziano sia per come si manifestano, sia per le cause che le determinano. Proprio questa molteplicità, rende difficile capire quando si è nelle prime fasi di alcune di queste malattie. In molti casi però, a sintomi lenti e blandi nella entità, segue un loro rapido peggioramento e i dolori che si avvertono soprattutto nelle zone articolari possono diventare forti e provocare difficoltà nel movimento. Un’attenzione particolare la merita la sindrome miofasciale che rientra tra le sindromi dolorose extra-articolari. Con questo termine si intende una condizione clinica caratterizzata da una sintomatologia dolorosa cronica muscolare associata a contrattura, limitazione funzionale e occasionalmente a sintomatologia di tipo nevralgico quali parestesie e formicolio e disfunzione vegetativa. All’interno di questo quadro, può trovare una sua collocazione anche la fibromialgia, che è una patologia meglio definita e con specifici criteri diagnostici. Queste sindromi sono estremamente comuni e rappresentano una delle cause più frequenti di dolore. Un elemento comune caratterizzante delle diverse patologie che ne fanno parte, fu individuato nel 1954 da Janett Travell: il cosiddetto trigger point (punto grilletto), un’area di ipersensibilità o punto scatenante, localizzato nel contesto di uno o più muscoli (banderella palpabile), spesso esteso al tessuto connettivo, indurito e dolente alla palpazione. Parlando di dolori, comunque, bisogna sempre tener conto che la loro intensità cambia da soggetto a soggetto e a volte è avvertito in modo diverso dallo stesso individuo a seconda del periodo. La quantità di stimolo percepita, infatti, a livello cerebrale è mediata anche da un fine equilibrio neuro-endocrino (serotonina, ecc.) che influisce sulla cosiddetta soglia del dolore. Equilibrio che può variare in determinate condizioni fisiologiche e patologiche. Infine parlando di terapie, e mantenendoci su un piano generale, si può affermare che esistono diversi approcci per la maggior parte delle malattie reumatologiche ma spesso il paziente si rivolge al professionista quando il quadro locomotorio è ormai compromesso. Tant’è che le malattie che colpiscono le ossa e gli organi di locomozione rappresentano la terza causa di invalidità in Italia. Secondo una recente indagine della Società Italiana di Reumatologia, più della metà degli italiani ignora (54% su una rilevazione effettuata su 2000 persone) che è possibile prevenire le malattie reumatologiche. Come ha ricordato il dott. Luigi di Matteo, vicepresidente SIR, durante la presentazione del suddetto report: «Gli stili di vita sono fondamentali per la prevenzione di molte malattie, comprese quelle reumatologiche. Numerosi studi scientifici hanno ormai accertato che il fumo è coinvolto nell’insorgenza dell’artrite reumatoide, del lupus e di altre patologie autoimmuni sistemiche. Si calcola che, in una persona geneticamente predisposta, fumare aumenta di ben 15 volte il rischio di artrite reumatoide. Anche l’obesità è un fattore di rischio: è tipica di chi soffre di artrite psoriasica e determina un forte aumento del pericolo di artrosi (soprattutto quella che interessa colonna vertebrale e ginocchia). Senza considerare che i chili di troppo causano un sovraccarico delle articolazioni e a lungo andare possono danneggiarle. Mentre l’attività fisica aiuta a conservare il tono muscolare e difende la mobilità articolare».