Il Professor Antonio Costanzo è stato recentemente chiamato a dirigere il Dipartimento di Dermatologia del Sant’Andrea di Roma. Scopriamo perché..
Nel mondo scientifico anglosassone, la bravura di un medico o di un chirurgo non si misura solo nelle loro capacità professionali e cliniche, ma soprattutto per le pubblicazioni internazionali e per quanti finanziamenti riescono ad attirare verso il proprio Istituto. Un principio tutto racchiuso in una drammatica intimazione che sembra essere diventato l’imperativo categorico all’interno delle Università d’oltre Atlantico: publish or perish!. Ovvero, in altre parole, solo chi pubblica bene ha successo e sopravvive. Anche da noi, da tempo si discute di come far valere la meritocrazia o in altre parole, di come valutare al meglio le attività scientifiche e cliniche di coloro che devono essere chiamati a ricoprire incarichi sempre più importanti all’interno di Università e Cliniche universitarie. Lo si sente come una necessità condivisa ma il problema non è affatto semplice perché per valutare un docente o nominare un primario in Italia mancano ancora regole generali, e spesso si predilige solo un criterio anagrafico che rischia di penalizzare i professionisti più giovani, e coloro che non sono soliti frequentare i corridoi della politica. Eppure, anche da noi, ogni tanto qualcosa succede e la novità colpisce tanto più quanto appare imprevista. È quanto è successo a Roma nell’ambito di una selezione bandita dall’Università Sapienza per il posto di Professore Associato e Responsabile del Dipartimento di Dermatologia dell’Ospedale S. Andrea, dove sono stati adottati i criteri suggeriti dall’Agenzia Nazionale di Valutazione del Sistema Universitario e della Ricerca (ANVUR) approvati dal Consiglio dei Ministri il 22 giugno 2011. Ne è risultato vincitore, un professore sorprendentemente giovane per gli standard italiani, appena quarantre anni, ricercatore universitario nella Università di Roma Tor Vergata, e quindi proveniente da un campo diverso dal Policlinico della Sapienza, finora tradizionalmente in grado di controllare le nomine sul Sant’ Andrea.
Professor Costanzo, come ha fatto a vincere il concorso?
La risposta che mi sento di darle è molto semplice: presentando i miei titoli. Sono autore di 102 pubblicazioni su Pubmed, 8 capitoli di libri, oltre 100 abstract presentati in congressi nazionali e internazionali, posters e presentazioni orali. Il mio Impact Factor è di 695.6, sono oggetto di 4942 citazioni e il mio h-index è pari a 31.
Impressionante. Possiamo ripercorrere insieme la sua carriera?
Sono nato a Roma nel 1970 e mi sono laureato con lode in Medicina a 24 anni nell’Università La Sapienza. Prima ancora di terminare gli studi ho iniziato a frequentare la Prima Clinica Medica dell’Università Sapienza e il Laboratorio di Espressione Genica della Fondazione Cesalpino dove successivamente avrei iniziato a muovere i primi passi della mia futura ricerca scientifica. Nel 1999 mi sono specializzato in Medicina Interna, sviluppando tre particolari capacità che mi sono risultate molto utili nella carriera: utilizzare la clinica e il contatto col paziente per identificare i problemi non risolti; utilizzare le tecniche di biologia molecolare per capire la patogenesi delle malattie, e saper scrivere le domande per grant e finanziamenti pubblici.
Come avviene l’incontro con la dermatologia?
Facendo ricerca su alcuni fattori di trascrizione essenziali per lo sviluppo della pelle, in particolare i difetti del gene P63, la cui alterazione è responsabile di alcune malattie genetiche con coinvolgimento cutaneo. Mi sono allora trasferito nel Dipartimento di Dermatologia dell’Università di Tor Vergata dove ho conseguito la specializzazione in Dermatologia ed ho iniziato a occuparmi di sicurezza ed efficacia dei trattamenti per la psoriasi e l’artrite psoriasica, e nell’ambito dei tumori cutanei, di nuovi farmaci topici per il carcinoma basocellulare, quali gli inibitori delle istone deacetilasi. Insieme ai gastroenterologi ho anche ricercato i fattori patogenetici della infiammazione del colon, tipo l’interleukina 21, dimostrando che sono comuni anche ai malati di psoriasi. Per i risultati raggiunti sono stato nominato prima Responsabile dello Skin Research Laboratory e poi Professore Associato in Dermatologia.
Si sente più un ricercatore di base o un clinico?
Credo di poter rappresentare un buon modello d’integrazione fra clinica, terapia e genetica. Ed è quello che mi accingo a fare nel mio nuovo incarico al Sant’Andrea: trasferire le competenze di ricerca di base all’applicazione clinica. A tale proposito abbiamo già iniziato una intensa collaborazione con il Centro di Medicina Personalizzata creato dal Prof. Maurizio Simmaco con cui vogliamo provare ad approfondire particolari studi sulla psoriasi, per identificare alcuni marcatori genetici che ci permettano di individuare i farmaci più efficaci e sicuri per ogni singolo malato. Un primo lavoro è già stato pubblicato sul BJD in cui dimostriamo che la presenza o meno dell HLA-CW6 indica il tipo di farmaco biologico più efficace. È mia convinzione che la medicina personalizzata rappresenti uno dei grandi traguardi del futuro, purché si passi attraverso una conoscenza che dal genoma conduca alla valutazione dell’individualità psico-emozionale dell’individuo per identificare le reali necessità terapeutiche del paziente.
Il suo lavoro ha ricevuto numerosi riconoscimenti internazionali
Siamo stati i primi in Italia a ricevere un finanziamento della National Psoriasis Foundation (200mila dollari, n.d.r.) e siamo anche finanziati da AIRC e Thelethon. Per fare ricerca ci vogliono impegno e dedizione, ma anche risorse e oggi c’è da trovarsi i soldi da soli. Donare per la ricerca gode di benefici fiscali irrisori: io ho cinque collaboratori che vengono pagati con fondi non pubblici e fortunatamente c’è ancora chi pensa che il denaro sia meno importante che far parte di un gruppo che pubblica. Il rischio, però, è che prima o poi, imparato il lavoro si decidano di accettare una offerta economica che arriva proprio da fuori Italia.
Quali sono state le sue esperienze all’estero?
Sono stato più volte visiting scientist negli Stati Uniti, ma mi pregio di poter dimostrare che si può essere buoni scienziati anche rimanendo in Italia. Un riconoscimento di ciò è che io vengo regolarmente chiamato a far parte delle commissioni che valutano i docenti in Svizzera e Grecia.