Malattia di Paget

La localizzazione extramammaria della malattia di Paget costituisce circa l’1% delle neoplasie vulvari.

S. Contini, F. Anglana, G. Ferranti, P. Lippa, Servizi di Patologia vulvare AIED e Osp. S. Filippo Neri – Roma, Servizio di Anatomia Patologica IDI, Roma

Immaginate che una vostra paziente vi riferisca di un prurito e di un bruciore a livello vulvare che persiste da diversi mesi e che recentemente le si sia manifestata una chiazza, o meglio, una placca eritematosa di colorito rosso vivo, dai margini netti e infiltrati, di aspetto eczematoide. La donna vi racconta di aver provato inutilmente a curarsi prima con una crema steroidea topica e successivamente con un prodotto antimicotico e antibiotico. All’osservazione la lesione potrebbe farvi pensare a una dermatosi vulvari, per esempio a un lichen simplex, o a una vulvite irritativo-allergica, o anche a un lichen scleroatrofico. Che cosa può spingervi a diagnosticare una localizzazione extramammaria della malattia di Paget evitando un inutile e poco piacevole ritardo diagnostico?

In primo luogo proprio la sede di questa rara neoplasia cutanea: non colpisce primitivamente le mucose e le semimucose, ma le zone più colpite sono la cute delle grandi labbra e della regione perineale, aree ricche di ghiandole apocrine. Le cellule di Paget sono una varietà rara di differenziazione delle cellule primitive epidermiche e si possono riscontrare isolate oppure raggruppate a nidi negli strati intermedi dell’epitelio o nel contesto degli annessi cutanei, principalmente delle ghiandole apocrine. Molto più raramente la malattia può coinvolgere il cavo ascellare, le palpebre, il condotto uditivo esterno e la regione ombelicale. La localizzazione a livello vulvare rappresenta però una entità clinica ben definita. Fra le forme extramammarie è la più frequente e costituisce un pò meno dell’1% di tutte le neoplasie vulvari. Un altro aiuto alla diagnosi viene anche dall’età della nostra paziente: si manifesta generalmente in età postmenopausale, specialmente in età compresa fra i 60 e i 70 anni. malattia di Paget
malattia di Paget La sintomatologia pruriginosa insistente, anche se di intensità non grave, è segno di una spansione graduale ed evolutiva della dermatosi, e anche questa informazione può confermare la necessità di un rapido ricorso a una biopsia con esame istologico e immunoistochimico.

La diagnosi si basa sulla presenza delle cellule di Paget nel contesto dell’epitelio. Nonostante le cellule di Paget siano presenti prevalentemente negli strati intermedi e profondi dell’epitelio, secondo alcuni autori è possibile arrivare alla diagnosi anche mediante brushing citologico della superficie vulvo-perineale.
In circa il 20% dei casi la malattia di Paget vulvare si associa a un adenocarcinoma degli annessi o delle ghiandole del Bartolino, mentre in un 10-20% dei casi è associato a una neoplasia a distanza più frequentemente mammaria e più raramente a neoplasie dell’apparato genitourinario e gastrointestinale. Dal punto di vista strutturale, nei tessuti pagetoidi è stata dimostrata una totale carenza di espressione dei recettori per gli estrogeni e il progesterone, mentre è presente un’aumentata concentrazione di recettori per gli androgeni suggerendo un loro possibile ruolo nella patogenesi del Paget extramammario vulvare. Riguardo alla possibile etiopatogenesi diverse le ipotesi finora avanzate.

Ci potrebbe essere una diffusione epidermica di cellule tumorali provenienti da organi regionali, oppure una derivazione da tumori degli annessi in particolare delle ghiandole apocrine ed eccrine, oppure una derivazione da cellule di origine mammaria ectopiche (le cosiddette cellule di Toker del capezzolo). Per finire si è anche sostenuto che si potrebbe trattare di una trasformazione in situ di una cellula staminale pluripotenziale epidermica. La malattia di Paget vulvare presenta solitamente una prognosi favorevole poichè è caratterizzata da una progressione molto lenta e un basso potenziale evolutivo verso un cancro invasivo. Raramente causa metastasi locoregionali o a distanza, generalmente quando si associa a un adenocarcinoma annessiale. Il trattamento chirurgico è considerato nella maggior parte dei casi il trattamento elettivo anche se gravato da un tasso di recidive di circa il 40% dovute alla natura multifocale della neoplasia e alla tendenza delle lesioni di estendersi oltre i margini clinicamente visibili e negli annessi. In letteratura si parla di altre possibili terapie tentate con escissione tramite Laser CO2, Radioterapia, Chemioterapia, Fototerapia dinamica con acido delta aminolevulinico, Imiquimod e Terapie combinate. Concludiamo con un suggerimento: l’elevato tasso di recidiva rende necessario un follow up particolarmente lungo. è interessante sottolineare come le recidive possano manifestarsi anche dopo molti anni dal trattamento primario. I controlli dovrebbero essere eseguiti ogni 3-4 mesi durante i primi 3 anni dall’intervento e successivamente ogni 6 mesi.