La facile accessibilità a forme di cibo relativamente economiche come snack, dolciumi, pizze e panini, tutti prodotti con farine raffinate, ha portato a un aumento dei problemi di salute legati all’obesità, rendendo le società – paradossalmente proprio quelle più sviluppate – sempre più malate. La sovrabbondanza e il consumo di cibi “spazzatura”, carenti di sostanze nutritive come vitamine e sali minerali, non può essere certamente considerato un progresso. Ogni dieta, con la propria visione e il proprio credo, parte da concetti base come: gestire la stima del fabbisogno di calorie, controllare la percentuale di grassi, carboidrati e proteine, e infine selezionare bene gli alimenti. I regimi dietetici, qualunque essi siano, mirano a migliorare il metabolismo, inteso come l’insieme delle reazioni biochimiche che consentono a una molecola introdotta nel corpo di essere assorbita, modificata e poi espulsa. L’organo deputato principalmente al metabolismo degli alimenti è, com’è noto, il fegato. Il problema principale è che comunemente vi è l’errata convinzione che per dimagrire serva mangiare meno, ma in realtà sappiamo che un insufficiente apporto calorico e proteico potrebbe portare a uno stallo nel dimagrimento. Questo avviene tipicamente in chi, più volte nel corso della sua vita, si è sottoposto a diete dimagranti, fortemente restrittive, che hanno fatto perdere peso erodendo la massa muscolare, la quale non è stata contemporaneamente sollecitata da una opportuna attività fisica. Come per ogni dieta è consigliabile quindi accompagnare il proprio nuovo regime alimentare con piccoli programmi di allenamento. Fare una vita sedentaria, infatti, pensando di dimagrire semplicemente mangiando meno, non funziona, perché sappiamo bene che è la massa magra che viene usata dal nostro organismo per il fabbisogno giornaliero. Per questo motivo molte diete puntano sull’aumento dell’apporto proteico, anche perché, come già ricordato, le proteine attivano la macchina metabolica. Tra le diete più conosciute c’è la dieta chetogenica, ricca di proteine e grassi, che punta a far perdere proprio quest’ultimi con un meccanismo che agisce sulla funzione ormonale in maniera più mirata rispetto a una semplice dieta ipocalorica, rappresentando così una terapia metabolica. Meno conosciuta è la variante di questo regime alimentare, costituita dalla modalità vegana che sfida i principi della dieta stessa che prevedono il consumo di formaggi, pesce grasso (come il salmone), avocado o alti consumi di carni, per sostituirli con altri prodotti alimentari come verdure, legumi, frutta secca. Stabilendo la chetosi, ossia la reazione fisiologica che avviene in situazioni di bassa disponibilità di glucosio e che fornisce una fonte di energia aggiuntiva sotto forma di chetoni, lo si può ottenere infatti con alimenti inserite nelle categorie fissate dal credo vegano.
Il libro, Keto Veg, scritto dalla biologa e nutrizionista Roberta Baldocci, ( edizioni Vegcoach Company srl, Euro 17,5) le basi scientifiche della dieta chetogenica vegana con una parte dedicata alle ricette e ai dosaggi degli alimenti, con l’attenzione a non sgarrare, soprattutto nei primi giorni, in modo da verificare come risponde il proprio organismo. Ricorda l’autrice che, se da un lato le proteine animali sono alla base delle diete ipocaloriche, molti studi scientifici hanno dimostrato che un eccesso di proteine animali, a lungo termine può rivelarsi controproducente, in relazione al fatto che questi alimenti contengono diversi elementi cancerogeni e grassi insalubri, in grado, tra l’altro, di minare la corretta azione dell’insulina. Per questo, alla luce del fatto che la moderna scienza considera come perfettamente succedanee le proteine vegetali, molto più salutari per l’essere umano, chi voglia adottare una dieta chetogenica può considerare l’alternativa vegana come dieta a basso contenuto di carboidrati, alto in grassi, correttamente pianificata, che corrisponderebbe all’inglese low carb/high fat well planned ketogenic diet. Senza ignorare il potenziale epigenetico dei corpi chetonici, ovvero la capacità di influire positivamente sul DNA e quindi di riflesso proprio sulla salute e la grande quantità di antiossidanti contenuta nei cibi vegetali, come a esempio la grande famiglia dei polifenoli (flavonoidi, antociani, isoflavoni e molti altri). Al di là della perdita di peso, è fondamentale ricordare che da queste molecole deriva il forte potenziale protettivo anche nei confronti di diverse patologie: lupus, diabete, cancro, artrite reumatoide, e il loro importante potere antinfiammatorio.