Dott.Pietro Mignano, Farmacistae Biologo Nutrizionista; Docente Nutrizione Umana presso Chinesis IFOP
La dieta chetogenica, che oggi riscuote molto successo e nel contempo anche molte critiche, è un tipo di alimentazione con origini antichissime che dagli anni ‘90 è stata ‘riscoperta’ in particolare come trattamento per i bambini epilettici e farmaco-resistenti. Nonostante l’esistenza di pareri contrastanti, ci sono alcune evidenze che correlano questo tipo di alimentazione con una riduzione dei sintomi infiammatori. Prima di addentrarci nell’applicazione clinica è necessario fare un passo indietro, rispolverando le origini di questo tipo di dieta, troppo spesso confusa con quella iperproteica.
Basso contenuto di carboidrati nella dieta chetogenica
Come è noto si tratta di un’alimentazione a bassissimo contenuto di carboidrati netti (20 gr/die), ad alto contenuto di grassi e moderato contenuto di proteine. La vulgata vuole che un suo primo abbozzo venne messo a punto da Sir William Banting, un imprenditore di pompe funebri inglese gravemente obeso che provò moltissime diete senza mai aver successo. Insieme al suo medico di base decisero di tentare un nuovo approccio dimagrante che prevedeva un consumo di zuccheri giornaliero bassissimo. Sir Banting ebbe ottimi risultati che decise di registrare giornalmente all’interno di un diario personale che pubblicò in seguito con il titolo: “Letter of Corpulence, adressed to the public“ (1863). Fu così che dalla metà dell’800 fino a fine secolo, la dieta chetogenica (non ancora nota sotto questo nome) divenne pian piano popolare e soprattutto iniziò a essere utilizzata da moltissimi specialisti come un valido ed efficace strumento perla cura del diabete di tipo II. Tuttavia, dagli inizi del ’900, per motivi ancora oggi poco chiari, questo stile alimentare iniziò, nonostante i successi, a essere trascurato e al suo posto nel tentativo di far perdere peso andarono imponendosi diete alimentari a basso o addirittura bassissimo contenuto di grassi. Fino a quando, intorno alla prima metà del ‘900, un famoso cardiologo Dott.Pietro Mignano, Farmacista e Biologo Nutrizionista; Docente Nutrizione Umana presso Chinesis IFOP americano, il Dott. Robert Atkins, trovando per caso fortuito in una biblioteca il manoscritto del Sir William Banting, decise di iniziare una sperimentazione, sulla falsariga dello stile alimentare adottato da Banting, seguendo uno specifico protocollo ad alto contenuto di grassi e bassissimo contenuto di carboidrati. Lo studio stava dando così origine alla arcinota dieta “Atkins”.
Un regime alimentare che andava in assoluto contrasto con quelli prescritti e adottati più frequentemente all’epoca. Comprensibilmente, e per questo motivo, questa dieta fu molto criticata da più scuole di medicina, ma ciò non impedì l’accumularsi di una consistente letteratura scientifica sul tema. In tempi più recenti (1990-2000) la dieta Atkins è stata ripresa e rilanciata da Westman e Yancy, rispettivamente direttore della Duke Lifestyle University (NC, USA) e direttore della Duke Diet And Fitness Center (NC, USA) i quali hanno continuato a sperimentare e scrivere articoli scientifici a riguardo. Pertanto, possiamo certamente affermare che oggi la letteratura sugli effetti della dieta chetogenica nel trattamento del diabete di tipo II, sindrome metabolica e obesità è cospicua e solida e stanno cominciando ad arrivare le prime evidenze scientifiche circa il trattamento di patologie infiammatorie. Come insegna la patologia generale, la flogosi è un meccanismo di difesa che si manifesta nel nostro organismo per eliminare un fattore esterno nocivo: chimico, fisico o biologico. L’infiammazione locale, scolasticamente, si manifesta con cinque fenomeni clinici conosciuti sin dall’antichità: rubor, tumor, calor, dolor e functio lesa (rossore, gonfiore, calore, dolore e compromissione funzionale della zona colpita). Se si diffonde in maniera sistemica può coinvolgere l’intero organismo e se non trattata correttamente, mirando all’eradicazione della causa, l’infiammazione può diventare cronica creando uno squilibro all’organismo con inevitabili ripercussioni e talvolta forti dolori.
Tra i tipi di infiammazione cronica che si manifestano più comunemente c’è l’artrite, una condizione di origine sconosciuta a carico del sistema muscolo-scheletrico che genera un coinvolgimento del sistema immunitario. Sono tante le infiammazioni croniche cutanee per cui si pensa che la dieta chetogenica possa essere utile ed efficace. Il razionale sta nel fatto che gli zuccheri e i carboidrati, in quanto zuccheri complessi, avrebbero un ruolo di mediatori infiammatori che possono peggiorare le patologie croniche di natura infiammatoria. Inoltre, è stato evidenziato che un’alimentazione a bassissimo contenuto di grassi è in grado di aumentare la produzione di adenosina: un nucleotide la cui espressione è in grado di inibire la funzione infiammatoria dei neutrofili. Nella sperimentazione clinica si è visto che molti pazienti che seguono un corretto regime alimentare chetogenico spesso registrano una diminuzione nei dolori osteo-articolari di natura infiammatoria e ciò avviene anche in pazienti che soffrono di emicrania. Questo regime a bassissimo contenuto di zuccheri, ridurrebbe l’infiammazione pure nelle patologie infiammatorie del tratto gastro intestinale (morbo di Chron e colite ulcerosa) migliorando la sintomatologia e aiutando a ripristinare la mucosa lesa. Dati importanti ma, bisogna riconoscere, controversi. Un recente studio che ha messo in contrapposizione gli effetti di una dieta chetogenica isocalorica con le comuni linee guida alimentari (50% carboidrati, 35%grassi, 15%proteine) nel trattamento dell’infiammazione avrebbe infatti dimostrato che l’adozione di tale dieta non apporterebbe nessun miglioramento del quadro infiammatorio. Anzi, i risultati registrati a distanza di quattro settimane nel gruppo in esame che seguiva la dieta chetogenica hanno segnalato un aumento dei marcatori infiammatori (ES. Proteina C reattiva, FGF21 etc.), del colesterolo totale e una netta diminuzione dei trigliceridi e della glicemia rispetto al gruppo che seguiva le normali linee guida alimentari. È però importante rilevare che i benefici della dieta chetogenica si registrano a lungo termine e forse quattro settimane non sono sufficienti a ottenere dei netti miglioramenti. Tale circostanza è determinata dal fatto che l’organismo deve completamente cambiare il modo di reperire energia, passando dal glucosio ai corpi chetonici che inducono la chetosi, durante la quale il nostro organismo usa il grasso corporeo come fonte energetica anziché il glucosio. Tutto quanto detto, si può concludere evidenziando purtroppo l’attuale inesistenza di studi a lungo termine che indichino una forte correlazione tra dieta chetogenica e infiammazione ma si evidenzia, altresì, come l’attenzione nell’ambito del settore scientifico sul tema sia in continua crescita specie negli Stati Uniti dove, nel mese di maggio, a Las Vegas, si è tenuta una conferenza con i massimi esperti del settore.